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“Numerosi palazzi. Strade per lo più ampie e dritte. Scarsamente popolata”: Ferrara secondo Michel de Montaigne. Il filosofo appassionato all’umana natura descrive così nel diario del proprio viaggio in Italia la città sul Delta del Po, a quel tempo governata dalla dinastia degli Este.
Decisamente più approfonditi sono ovviamente i suoi appunti da Firenze, Venezia, e soprattutto Roma. Ma anche in questo caso si sofferma sui dettagli particolari, che per lui, persona a cui “niente di umano risulta estraneo”, sono tuttavia molto importanti. Per esempio, quante prostitute ci sono in città e quanto chiedono per le loro prestazioni?
“Quel giorno (a Firenze) andai a vedere, per il solo piacere di farlo, quelle signore che sono solite mostrarsi a chiunque lo desideri, e nonostante ebbi modo di incontrare le più conosciute, devo dire che non erano niente di particolare… ad ogni modo niente in confronto a quelle romane e veneziane”.
Oppure ancora qual è lo stato in cui versano le locande.
In fin dei conti, Michel de Montaigne non parte per l’Italia nell’anno 1580 per godere dei suoi bei paesaggi e delle sue preziose opere d’arte. E’ spinto in terre lontane da qualcos’altro, da qualcosa di puramente conforme alla natura umana. A partire dal 1577 circa, Montaigne soffre spesso di forti dolori dovuti a coliche renali e spera di trovare una cura al suo male soggiornando in località termali, come i famosi bagni di Lucca. Soffre di coliche renali durante tutto il suo viaggio verso l’Italia. Non tiene nascosta la malattia che lo affligge e non la cela dietro sentenze fiorite sulla bellezza dei diversi monumenti architettonici. No, registra di volta in volta con acribia il suo stato di salute e non rifugge neanche dalle descrizioni più intime, che finiscono alla fine in versi prosaici e dettagliati sulla bellezza del paesaggio.
“Il diciassette marzo ho avuto di nuovo le mie coliche renali per cinque o sei ore… poco tempo dopo ho evacuato un calcolo che aveva la forma e la grandezza di un pinolo. In questa stagione a Roma sbocciano le rose”. E poi subito un’altra frecciata su qualcosa di orripilante in cui si imbatte: “Quanto al castrato di montone, è veramente immangiabile e anche per questo non piace”. A volte, la tipica riservatezza cortese, lontana da espressioni troppo dirette abbandona il distinto gentiluomo: “Le flatulenze mi danno ancora filo da torcere, anche se senza dolore; questo è probabilmente il motivo per cui l’urina che produco è molto spumosa e ha un sacco di bollicine che spariscono soltanto dopo tanto tempo. Talora vi si trovavano dentro anche dei filamenti neri, seppure in esigue misura; ricordo che prima ne emettevo molti di più. Solitamente la mia urina era torbida e piena di fiocchi, lo strato superiore oleoso”.

L’odierno lettore dei suoi appunti, abituato alle descrizioni letterarie delle parti più intime del corpo e dei dolori più riposti, si ritrova a trattenere il fiato leggendo alcuni passaggi di Montaigne. Racconta a un certo punto di un commerciante di Cremona recatosi ai bagni di Lucca perché gli “uscivano le flatulenze dalle orecchie”. Oppure, in un altro passo, scrive contento: “Andavo felicemente di corpo, eppure dal primo giorno mi sentivo pieno di aria, il mio intestino gorgogliava in continuazione”. Ma non è forse proprio in questa libertà, in questa assoluta dimestichezza con la natura dell’uomo, con acciacchi, sofferenza e desiderio, che trova espressione la grande modernità di questo primo illuminista. A lui niente è veramente estraneo, ha mantenuto la curiosità di un bambino e non si lascia abbagliare da niente e da nessuno.
Montaigne è anche un cattolico credente a tutti gli effetti e inizia alcune giornate di viaggio recandosi alla prima messa. Annota non senza stupore, ma senza ribrezzo morale, gli atti peccaminosi all’ombra del Vaticano: “Mentre il signor Tal dei Tali stava godendo appieno delle arti amatorie di una prostituta, intorno alle ore ventiquattro iniziò a rintoccare l’Avemaria. Ed ecco che, nel mezzo della faccenda, essa balzò, saltellò giù dal letto e si inginocchiò per terra mettendosi a pregare”. Magnifico anche il suo racconto di una rissa scalmanata fra preti nella chiesa di San Francesco a Pisa.

Montaigne è semplicemente estraneo a ogni moralismo e pedagogismo, a ogni arrogante saccenteria e ipocrisia. Ci si può e deve lamentare casomai del fatto che il mondo è così com’è. Noi, e Montaigne esattamente come noi lettori di oggi, nel bene e nel male siamo parte di questo mondo. Capire questo semplifica immensamente la nostra breve e spesso futile vita su questa terra. “Eliminare le imperfezioni naturali, sarebbe come commettere un tradimento”, si legge nei Saggi. E questo significa anche che quando si viaggia non è necessario per forza andare vedere ciò che altri credono necessiti una visita: “Il signor de Montaigne affermava che in vita sua ha sempre diffidato del giudizio di altri riguardo gli agi e le comodità di terre straniere, poiché ognuno sa apprezzare soltanto ciò che rispecchia gli usi e i costumi del proprio paese. Per questo ha sempre dato poco conto agli ammonimenti degli altri viaggiatori”.

Per questo la lettura di Montaigne affascina ancora, perché ci mostra quanto si può rimanere delusi da grandi promesse e, al contrario, quanto il quadro della vita possa anche presentare momenti maledettamente brutti, banali, quotidiani. In questi questi appunti di viaggio risalenti al 1500 si trovano passaggi di una modernità e attualità impressionanti. Il diario del viaggio di Montaigne non sostituisce la lettura del viaggio in Italia di Goethe, ma sposta lo sguardo su qualche macchia di cecità nella percezione del mondo del ‘Grande di Weimar’. Durante il suo viaggio in Italia – il paese dove fioriscono i limoni – Goethe si è forse mai preoccupato del prezzo di una prostituta, della propria defecazione e dei materassi delle bettole a buon mercato? Proprio per questo i testi del gentiluomo di campagna di Bordeaux si leggono sempre con rinnovato interesse, perché ci ritroviamo con le sue stesse preoccupazioni.
Goethe è una guida erudita e colta, che confonde le nostre modeste conoscenze sulla bellezza di paesaggi e palazzi. Anche Montaigne è capace di trasmetterci molto sulle città, la gente e i monumenti, ma conosce per l’appunto anche ciò che solitamente invece affligge il viaggiatore quando si incammina per terre lontane. L’uomo non vive soltanto di pane e monumenti, di tanto in tanto lo infastidiscono anche flatulenze e pasti mal digeriti. E noi saremmo ben curiosi di conoscere i luoghi della Ferrara estense in cui Montaigne si doveva muovere per far visita alle sue amate prostitute…

Traduzione di Monica Scutari

Libro consigliato: Michel de Montaigne, “Viaggio in Italia”, Bur, Rizzoli, Milano, 2003

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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