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di Gianfranco Marzola

Sono un promotore finanziario e leggo tutte le mattine il Sole 24 Ore per dare un’occhiata ai mercati e a notizie che possano essere utili alla mia professione. Così l’altro giorno, spulciando le pagine online del quotidiano, mi capita sotto gli occhi un interessante articolo di qualche anno fa firmato da Riccardo Barlaam che parla di Germania e dell’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, che nel suo libro appena pubblicato aveva scritto: “E’ sorprendente che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa le cancellò buona parte dei debiti di guerra. Senza quel regalo non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico.”
Fischer rincarava la dose spiegando che, col pretesto del risanamento economico, la coppia Merkel-Schaeuble ha imposto un regime di austerità usando lo spauracchio dei debiti contratti dai paesi area euro. Ha imposto un rigore che ha provocato una deflazione dei salari e dei prezzi che ha di fatto impedito a questi paesi di sviluppare la propria economia per uscire dalla crisi, un ossimoro economico che lo stesso ex ministro definì devastante, finendo per accusare la coalizione tedesca di euroegoismo e di dimenticare con troppa disinvoltura la storia della Germania dal dopoguerra ad oggi. Per Fischer, una posizione, quella tedesca, certamente di comodo. “Se la Bce non avesse seguito le decisioni di Draghi ma le obiezioni dei tedeschi a quest’ora l’euro non esisterebbe più. Il più grande pericolo per l’Europa – scriveva Fischer – attualmente è proprio la Germania.
Passiamo ai fatti storici che Barlaam, nel suo vecchio articolo, ci riassume: alla Conferenza di Londra del 1953, la Germania, attuale portabandiera europeo di stabilità e rigore che durante lo scorso secolo ha rischiato il default due volte, cioè nel 1923 e nel secondo dopoguerra, con un animo del tutto estraneo all’attuale atteggiamento di rigore assoluto, chiese ed ottenne d’essere aiutata a ripartire proprio attraverso il condono del proprio debito. Poiché è noto che i debiti tedeschi di due guerre mondiali, provocate e perse entrambe, le avrebbero reso impossibile la ripresa economica.
E, leggendo l’articolo, non mi sorprende più di tanto apprendere che tra i paesi che in quella conferenza internazionale decisero di non esigere il conto vi fossero anche l’Italia di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa e la Grecia, paese che aveva subito per mano dell’esercito tedesco danni immensi a impianti produttivi, infrastrutture stradali e portuali che ne hanno minato l’economia per sempre (senza dimenticare il pesante tributo di vite umane e di inestimabili opere artistiche) e che in questi anni è uscita con le ossa a pezzi nella missione impossibile di allinearsi ai parametri stabiliti e imposti proprio dalla Germania.
Dopo il 1945 la Germania aveva un debito colossale (23 miliardi di dollari di allora) che, tenendo conto del loro prodotto interno lordo (circa la stessa cifra), senza il generoso intervento del 24 agosto 1953 in cui ventuno paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito, Francia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Sudafrica e Jugoslavia) le avevano consentito di dimezzarne l’ammontare e dilazionarlo in trent’anni, non avrebbe mai potuto pagare.
Di tutto ciò rimane traccia di questa buona disposizione d’animo nella storia recente degli smemorati tedeschi?
Come ricorda sempre Barlaam, l’altro 50% doveva essere restituito dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie ma, a riunificazione avvenuta, nel 1990 il cancelliere Helmut Kohl evitò il terzo collasso tedesco semplicemente opponendosi alla rinegoziazione del debito. E ovviamente Grecia e Italia accettarono di buon grado, consentendo ai tedeschi di “regolarizzare” con 69,9 milioni di euro quanto stabilito dallo sciagurato (per tutti i paesi area euro), e pur ottimo (per i Tedeschi), accordo di Londra, senza il quale avrebbero avuto debiti da rimborsare per altri cinquant’anni.

Per leggere l’articolo di Riccardo Barlaam sul Sole 24 Ore del 15 ottobre 2014:
La Merkel ha dimenticato quando l’Europa dimezzò i debiti di guerra alla Germania

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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