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Da una separazione imposta, da uno strappo nasce la ricerca di unità e ricomposizione del tutto. Lo sosteneva anche Platone, nel Simposio, che le due metà cercheranno sempre quell’interezza che chiamiamo amore. Questo spasmo verso una cosa che è stata negata, lo vive la donna protagonista del racconto “L’uomo seme” di Violette Ahilaud, edito da Playground e che ha ricevuto numerose segnalazioni anche sulla stampa nazionale.
Lei, privata del suo uomo, rimane monca, le si azzera la proiezione di futuro che con lui poteva avere. Chiamati alle armi, gli uomini del villaggio se ne vanno, l’amore delle loro donne diventa dolore e poi odio, l’odio dell’impotenza. Senza uomini, la vita non può generare altra vita, che destino potrà mai esserci davanti?
Le donne del villaggio sono compatte, devono essere pronte se mai dovesse, un giorno, arrivare un uomo che sarà l’uomo seme, con nessun’altra funzione che inseminarle, loro così “gravide di dolore”. Come delle Ecclesiazuse, ma senza il comico, le donne governano il villaggio, stabiliscono regole, pianificano l’arrivo dell’uomo seme: se lo divideranno, niente amore né sentimenti, solo un atto meccanico, uno scambio per non scomparire.
Lei è la prima donna che lo incontra e, quindi, avrà il diritto di essere la prima anche di fronte alle altre, sarà come Eva, con un diritto di precedenza, tutte le altre dopo.
L’uomo seme si chiama Jean, assolve il suo compito, ma con lei, solo con lei, quell’atavica ricerca di completezza non può rimanere fine a se stessa, l’amore è più forte e s’annida, assieme al seme. La felicità si mette dentro alla disgrazia, una felicità spuria perché genera in lei turbamento e senso di colpa: l’amore non può essere cristallizzato verso Martin che non c’è più e chissà se tornerà dal fronte, l’amore chiama ed è chiamato, va verso l’uomo seme.
Jean ha la capacità di amare, i suoi gesti lo confermano, Jean legge e con lei parla, tra loro nasce una condivisione complice che non si spezza.
Ma la vita gira, i cammini proseguono e la felicità vissuta non si dimentica.

“L’uomo seme”, Violette Ahilaud, Playground, Roma, 2014, pp. 64

Ferraraitalia ha di recente pubblicato un’intervista al fondatore e direttore editoriale della casa editrice Playground [vedi] che racconta anche la scoperta del manoscritto francese: Violette Ailhaud (1835-1925) racconta una storia vera vissuta in prima persona nella seconda metà dell’800; scrive il romanzo all’età di 84 anni, nel 1919, che viene pubblicato in Francia postumo nel 1950.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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