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Se ne parla da sempre, a parole son tutti d’accordo. Ma nulla succede. Via delle Volte, l’antica strada dei fondachi medievali, dovrebbe tornare quel che era per originaria vocazione, riadattando l’inclinazione al presente: dunque laboratorio, teatro di botteghe artigianali, emporio di prodotti tipici del territorio, spazio d’esposizione delle eccellenze d’ogni genere, dall’arte alla gastronomia, dai manufatti alle opere d’ingegno.
Meriterebbe d’essere strada brulicante di passanti, turisti e ferraresi, meta d’obbligo per chiunque venga in città. Invece è poco più di un retrobottega, nel quale i curiosi sbirciano da via San Romano o da corso Porta Reno. E’ attraente come un vestito fuori moda, a tratti risulta scalcinata e trasandata, non ispira allegria ma tenerezza. In definitiva è spenta. Nell’insieme appare senza scopo né identità.
E dire che le sue potenzialità sono enormi. Per rilanciarla e imporla come una gemma della città bisognerebbe compiere un’operazione lungimirante al pari di quella a suo tempo realizzata per il recupero delle mura estensi. Un’operazione ispirata dal compianto Paolo Ravenna e condotta dall’amministrazione del sindaco di allora, Roberto Soffritti, che di tanti peccati politicamente si macchiò, ma al quale non si può negare di aver saputo dispiegare risorse e sviluppare progetti che hanno dato grande lustro a Ferrara.

Dunque, attorno al tavolo di programmazione – con la volontà di fare e non di chiacchierare – sarebbe bene che sedessero tutti gli attori qualificati: le istituzioni, le associazioni civiche e culturali, le rappresentanze delle forze produttive, imprenditoriali e commerciali; anche le banche, se una banca ancora ci fosse in città che ragiona nell’interesse della comunità. L’intrapresa non potrebbe evidentemente prescindere da un robusto finanziamento europeo e dalla munifica benevolenza ministeriale. E perché non approfittarne proprio ora, che al dicastero siede un ferrarese?

Il percorso, nel cuore della Ferrara medievale, è pregno di storia e di suggestioni da rivificare. Il tratto centrale ha un’estensione di 600 metri fra via Boccacanale di Santo Stefano e via Gioco del Pallone. E’ stretto fra casette in mattone a vista spesso con la classica configurazione del cassero ed è tratteggiato dalle tipiche volte che danno nome alla via.
Il naturale prolungamento della strada si ha verso ovest, in direzione corso Isonzo, con via Capo delle Volte; mentre sul fronte opposto, quello est, il cammino prosegue idealmente in via Coperta, staccata da via Gioco del Pallone dai 150 metri di percorrenza obbligata sull’adiacente via Mayr, sino all’innesto in via Belfiore. In questo caso a spezzare la continuità del passeggio sono i giardini interni di due residenze private. In tutto, da un fronte all’altro della città, un’escursione di due chilometri esatti che le conferiscono un primato: risulta essere la più lunga strada medievale del mondo.

Lo spazio e l’atmosfera sono ideali per esposizioni, performance, mercatini, eventi… Serve un intervento misurato e raffinato. Signori amministratori, è tempo di passare dalle chiacchiere ai fatti.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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