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Per alcuni, la rabbia si manifesta in modo furioso e repentino: si tende ad urlare e usare parole dure e offensive, “scaricando” su chi si ha di fronte la tensione del momento. Una mia paziente riferisce: “con la rabbia sono cresciuta a stretto contatto… quella che doveva essere una madre amorevole è stata per me una lupa rabbiosa, che per tutta la vita ha deciso di usare gli altri come valvola di sfogo per sentire meno la pesantezza dei suoi sbagli e l’inadeguatezza delle sue scelte”.
Per altri, la rabbia è uno stato d’animo difficile da ammettere e da mostrare apertamente. In questo caso la rabbia, trattenuta e repressa, si manifesta attraverso sarcasmo, spirito polemico, irritazione, fastidio o impazienza. Entrambe le reazioni sono sbagliate e portano conseguenze negative.
La rabbia è un segnale d’allarme per sé e per gli altri che ci circondano, può essere un meccanismo di protezione che ci segnala che qualcosa non va, una reazione di insoddisfazione intensa suscitata da una frustrazione, oppure può segnalarci che i nostri diritti vengono violati, che i nostri desideri non sono rispettati.
La rabbia, infatti, è la risposta fisiologica ad una situazione di frustrazione, soprattutto quando tale frustrazione ci appare ingiusta o arbitraria. Un’altra mia paziente la definisce come “un’emozione disperata conseguente ad un senso di ingiustizia subita e che percepisco come definitiva, irreparabile”.
Solitamente si attribuisce responsabilità ed intenzionalità alla persona che induce tale frustrazione: spesso ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno/desiderio, soprattutto quando viene percepita l’intenzionalità di ostacolare tale appagamento.
La rabbia ha la funzione di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla soddisfazione del proprio desiderio. Per questo motivo si è più spesso portati a pensare alla rabbia come ad un sentimento causato da un altro esterno, ma spesso ci si arrabbia contro se stessi. Una giovane donna differenzia che “se l’altro è la causa, la rabbia è un moto soffocato che sono incapace di esprimere e che porta ad una forma di rancore nei confronti dell’altro e diventa rabbia nei miei confronti proprio per la mia inadeguatezza e incapacità di tenere testa all’altro per timore di un conflitto diretto; se sono io la causa della mia rabbia me la prendo con me stessa ferendomi anche fisicamente”.
Quando non viene riconosciuta e usata al momento in cui emerge, ma viene repressa si hanno conseguenze dannose per sé e per gli altri.
Fin dalla tenera età ci viene insegnato che è cattivo e sbagliato esprimere la collera; questa emozione viene considerata inopportuna, irragionevole, associata all’aggressività e al capriccio. La persone sono spesso spaventate dalla propria rabbia: temono che le spinga a compiere qualche azione dannosa e si rifiutano di prestare attenzione alla collera altrui e ad esprimere la propria. Ma quando la rabbia viene repressa si ritorce contro di noi con attacchi depressivi e alimenta un sentimento di inferiorità; quando la mente non riesce più a gestire i conflitti, il corpo ne soffre. Il mal di schiena, ulcere, coliti, psoriasi, ansia e panico sono alcune manifestazioni di tale meccanismo.
E’ fondamentale dunque, per la nostra salute psico-fisica, imparare ad esprimere la collera in maniera costruttiva ed appropriata. Occorre imparare ad ascoltare le proprie reazioni e a dare un nome alle emozioni che avvertiamo, contestualizzandole nel momento in cui emergono. Imparare a manifestare la propria collera in maniera costruttiva anziché distruttiva significa conoscere i propri reali bisogni e intrattenere relazioni più autentiche con le persone che ci circondano.
La rabbia è una follia momentanea, quindi controlla questa passione o essa controllerà te.

Chiara Baratelli, psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.
baratellichiara@gmail.com

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Chiara Baratelli

È psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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