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Racconto di Maurizio Olivari
Foto di Giordano Tunioli

Le mura la circondano con forma vagamente triangolare e nel 400’ avevano solo lo scopo di difesa della città estense e si estendono per circa 10 km., abbracciando le vecchie case dai mattoni rossi. Oggi sono meta preferita degli appassionati podisti che si tengono in allenamento per le future gare. La lunga distesa di alberi ad alto fusto che si susseguono paralleli ai lati dei rettilinei, formano con le loro fronde una naturale galleria verde a protezione, sia dei raggi del sole, che di qualche improvvisa caduta di pioggia. Questa ambientazione favorisce anche le passeggiate di ogni tipo di persone, dai pensionati che se stanchi possono accomodarsi in accoglienti
panchine, alle mamme con carrozzine, agli innamorati che mano nella mano camminano lentamente scambiandosi affettuosità.
Anch’io faccio parte di questa pluralità di persone, con le mie passeggiate a passo veloce come consigliatomi dal medico per evitare medicine e tenere il corpo in salute. Ho dovuto adeguare (nonostante la mia non più tenera età) l’abbigliamento allo scopo, attrezzandomi con pantaloncini corti, scarpe running, maglietta sponsorizzata e commento di mia moglie che alla vista di tale aspetto, sentenziò:
“L’abbiamo perso, si è bevuto il cervello!”
Mi consolava il fatto che non ero il solo vecchietto in queste condizioni. Incontravo colleghi settantenni con tenuta da maratona di New York, grondanti di sudore trattenuto sulla fronte da fascette modello “ultimo dei moicani”, e arzille signore, tutte un po’ in carne, che indossando assurdi pantacollant e magliette aderenti dalle quali debordavano rotoli di ciccia, correvano in gruppo spendendo più fiato per parlare fra loro che per la fatica del passo.
Le passeggiate erano oramai diventate un rito settimanale: Il lunedì e il venerdì nel tardo pomeriggio, per evitare le ore più calde in estate e invece nel mezzogiorno, in periodo invernale. Facevo due tratti da 1,5 km, con sosta ad una fontanella dopo il primo tratto, riposando qualche attimo prima di riprendere il ritorno. Ad ogni sosta alla fontanella incontravo una ragazza che faceva bere il suo cane. Una giovane biondina dall’apparente età di 25 anni, con al guinzaglio questo cane bianco e nero, di razza imprecisata e di mezza taglia. Aspettavo il mio turno, attendendo che il cane terminasse di bere, a fatica, dal flusso dell’acqua che scendeva dal rubinetto e dopo aver ricevuto un cenno di sorriso dalla ragazza, mi dissetavo e accennando ad un saluto ritornavo sui miei passi. Ogni giornata la stessa scena e mi chiedevo se fosse una strana coincidenza o quale altra ipotesi potesse esserci.
Mentre riprendevo il ritorno, cominciavo a girare indietro lo sguardo per vedere come si comportava la ragazza. Faceva solo qualche metro lontano dalla fontanella, si sedeva a terra con accanto il suo cane e volgeva il suo sguardo lontano, al fondo del lunghissimo viale alberato delle mura.
Un pomeriggio arrivai io per primo alla fontanella, bruciando sullo scatto il cane della ragazza, che al mio scherzoso “primo!“ abbozzò un sorriso, trattenendo il cane che tentava comunque di bere.
Questa scenetta mi permise di accennare uno scambio di battute.
“Carino questo cane…” dico distrattamente.
“Me lo ha regalato lui.” risponde la ragazza guardando nel vuoto.
Cercai con lo sguardo se nelle vicinanze ci fosse qualche persona. Nessuno.
“Lui il fidanzato?“ chiedo titubante.
“Il mio Amore, il mio grande Amore…”
“Benissimo” dico e faccio cenno di allontanarmi ma la ragazza continua a parlare.
“Ci siamo incontrati correndo qui sulle mura, lui mi sorpassava sempre perché andava molto forte ma mi aspettava qui alla fontanella…”
“La saluto signorina” cercando di andarmene da quella situazione che ritenevo almeno imbarazzante.
“Ci siamo molto amati sa? Tutti i giorni ci riposavamo proprio lì.” indicando un punto fra gli alberi, “Mi prendeva le mani e le accarezzava continuamente, poi passava un suo dito sulle mie labbra e lo ripassava sulle sue…”
“Signorina ora la saluto” allontanandomi piano piano…
“Molto amati, molto amati…” continuava a sussurrare guardando lontano nel vuoto.
Mi allontanavo con passo svelto, tentato di voltarmi. Non lo feci ma rimasto turbato dall’episodio, pensai che quella ragazza con il cane fosse un po’ fuori e psicologicamente labile.
La curiosità prese in me il sopravvento e per la prima volta cambiai le giornate dedite alla passeggiata. Il giorno seguente l’episodio, tornai sulle mura con il commento di mia moglie che mi definiva “matto da legare….con questo caldo!!!”
In verità avevo la curiosità di vedere se la ragazza fosse ancora là, alla fontanella.
Affrontato il rettilineo alberato, forzai lo sguardo verso la fine del primo tratto e mi accorsi che acceleravo il passo per arrivare a vedere meglio il punto della fontanella.
Era là, con al guinzaglio il cane che gli aveva regalato lui. Arrivo un po’ trafelato, il cane mi lascia bere tranquillamente e prima che possa abbozzare ad un saluto, la ragazza riprese a raccontare da dove l’avevo lasciata.
“Molto amati, lui mi guardava parlandomi con gli occhi. Ci siamo anche baciati, un bacio un po’ veloce, perché passavano i podisti e ci guardavano sorridendo. All’imbrunire, era bellissimo guardare il tramonto, laggiù fra gli alberi del Parco Urbano, lui seduto a terra ed io distesa con il capo appoggiato fra le sue gambe, mentre mi accarezzava facendo scorrere lentamente la mano sul mio corpo.”
Cercai di entrare nel monologo chiedendo il nome del ragazzo.
“Non era un ragazzo… era un uomo ma con l’animo di un ragazzino…”
“Come si chiamava ?”
“Non lo so…”
Decisi di andarmene, non sapevo se mi prendeva in giro, se era pazza o se fosse una persona bisognosa d’aiuto.
“L’aspetto domani” disse guardando sempre nel vuoto.
“Sì.” risposi senza rendermi conto del perché.
A casa non accennai a questo incontro, mia moglie si sarebbe maggiormente convinta che alla mia età, girare sulle mura con quel caldo, mi danneggiava la mente.
Il giorno seguente cambiai orario e con piacere di mia moglie andai verso sera, prima di cena, convinto che non avrei trovato quella che in cuor mio, invece speravo ci fosse. La ragazza con il cane. Ero curioso, la storia che lei raccontava pareva la sceneggiatura di un film neorealista del nostro regista Antonioni.
“Buona sera.” dissi accarezzando il cane che, riconoscendomi, si avvicinava festoso.
“E’ proprio una buona sera, come oggi 30 Luglio, di tre anni fa, ci siamo per la prima volta fermati e guardato negli occhi.”
“Scusi signorina…”
“Eva…”
“Scusi Eva ma non vi siete mai parlati ?”
“Non era necessario, trasmettevamo le nostre sensazioni, le nostre emozioni, il nostro amore attraverso gli sguardi, le carezze, le mani nelle mani. Le parole non avrebbero potuto dare di più…”
“Oltre che qui sulle mura, vi sarete incontrati in altri posti…”
“No… cosa dice… questo è stato il nostro nido d’amore!”
“Quindi non conosce nemmeno il suo nome?”
“Sì… si chiama amore… si chiama amore… si chiama amore…”
Mi allontanai e voltandomi sentivo ripetere “Si chiama amore.”
Mentre rientravo a casa mi convincevo sempre più che era un caso da assistente sociale. Sarei andato il giorno dopo a denunciare il caso.
Invece andai ancora sulle mura, alla fontanella dalla mia amica con il cane.
Cercando di spostare il discorso dal suo amore chiesi: “Questo simpatico cane…”
“Il mio amore un giorno l’ha portato cucciolo, lo ha messo fra le mie braccia ed io con un sorriso ho ringraziato. Tutti i giorni è stato con noi, è diventato uno di noi…”
“Eva ma se non conosceva nulla di lui, nemmeno il telefono, non sentiva il desiderio di comunicare, di parlargli?”
“Noi eravamo sempre in contatto, anche adesso lo siamo…..con la mente e poi ogni giorno ci incontravamo sulle mura, anche con il cane.
“Che avrà un nome…”
“Assolutamente no… lo abbiamo sempre chiamato con il rumore di un bacio…”
Mi convincevo che era un caso da assistente sociale.
“Signorina Eva, lei parla sempre al passato, scusi se chiedo, ma questo signor amore adesso dov’è?”
“Alla maratona di New York, è l’unica cosa che mi ha detto tre anni fa, poi aspettami, torno… perché lui torna… è il mio amore e domani torna…”
“Auguri Eva!”
Me ne andai, provavo per lei un po’ di tristezza. Pensavo alla forza dell’amore, lo aspettava da tre anni, tutti i giorni. Era comunque felice del suo Amore diverso dagli altri, dalle passioni di un momento, dal piacere del sesso, era forse un vero amore.
Le sue ultime parole “domani torna” sembrava mi invitassero a essere anch’io sulle mura ad assistere a questo incontro. La notte la passai agitato, con il pensiero a quanto avevo vissuto in pochi giorni sulle mura, che sapevo ricche di personaggi, i più strani e stravaganti ma mai così particolari e coinvolgenti, come la ragazza con il cane.
Anticipai la mia uscita per la passeggiata, che era ormai diventata quotidiana, subendo un sarcastico commento di mia moglie: “vai così poi potrai correre la maratona di New York”! Accidenti la stessa dove era andato l’amore della ragazza.
Accelerai il passo e mentre mi avvicinavo alla fontanella, mi rendevo conto della mancanza della ragazza. Mi avvicinai accolto dalle feste del cane, particolarmente affettuose e cominciai a guardarmi intorno alla ricerca della biondina.
Si era forse allontanata per un momento (strano il cane non sarebbe rimasto lì), era arrivato il suo amore ed erano andati via mano nella mano (strano il cane non lo avrebbero lasciato), non era mai esistita (strano perché esisteva il suo cane). Mi sedetti a terra nel posto fra gli alberi, indicato dalla ragazza e lasciai percorrere la mente da mille pensieri. Il viale alberato sulle mura, si riempiva di podisti in corsa, di mamme con i bambini, di innamorati mano nella mano, che guardavo con attenzione per vedere se potesse esserci anche la ragazza con il suo amore.
Erano passate le ore e come un automa mi alzai e con lo sguardo fisso lontano nell’orizzonte mi avvio verso casa, camminando lentamente e nel voltarmi indietro vedo il suo cane che mi segue, testa china e sguardo implorante. Proseguo senza rivolgergli parola, lo guardo solo negli occhi e pare che lui interpreti i miei pensieri.
Arrivo a casa e mia moglie che aveva sempre desiderato un cane ed io lo avevo sempre negato, mi accolse meravigliata ma contenta.
Mentendo, le dissi che lo avevo trovato abbandonato e che mi aveva seguito.
“Teniamolo noi… è bellissimo”, disse felice, “Come lo chiamiamo?”
“E’ una femmina… chiamiamola Eva… la ragazza con il cane…”
“Come dici ?”
“Nulla cara… nulla… è il titolo di un film… una grande storia d’amore. Senza lieto fine.”

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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