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“Quando non ci sono più la fantasia, l’immaginazione, l’utopia a guidare e a cercare di modificare il nostro cammino”, ha scritto il direttore su queste pagine qualche giorno fa, la conoscenza si sfarina, la curiosità si fa muta e, credo, si comincia un po’ a morire. Alla presentazione del romanzo Il rocchetto di Ruhmkorff di Gian Pietro Testa alla libreria Ibs, è avvenuto il contrario: ogni libro di Testa è, per la città, un guizzo dell’intelletto, il risveglio dei dormienti e una grande occasione per mettere insieme memoria e interrogazione.
L’autore, intervistato da Fabrizio Fiocchi, ha presentato la sua opera che non può essere riassunta in una trama qualunque, perché più che azione ci sono pensiero, immaginazione, fantasia a guidare i protagonisti. I personaggi principali sono tre, una donna e due uomini, in qualche modo intrecciati, ma potrebbero essere sei, nove, dodici. Chi non ha un suo doppio? Un altro ruolo che ogni tanto recita, una coscienza che interviene, un prima e un dopo, un sé manifesto e uno nascosto, un pensiero che consola e uno che spariglia? Michelangelo, che si rifugia nella pittura, quindi in un’altra dimensione, per esprimersi a pieno, ha poche altre compagnie se non Michelangelo due, ‘il suo fedele fantasma’, il suo doppio per nulla simile (altrimenti sarebbe inutile), ma saggio, sarcastico, caustico e lucidissimo.
Amico di Michelangelo è Giuseppe Garibaldi autonominato Fraschenor il muto, un uomo che ha scelto di non palrare più, o meglio, di interloquire solo a certe condizioni: con Dio, che tanto non risponde, con Idalgo Pistolini, manichino simbolo dell’uomo politico ‘buono per tutte le stagioni’ a cui rivolgere le contumelie peggiori e con Michelangelo, ma solo via e-mail. Il vantaggio del silenzio? “non si possono dire bugie” pensava Fraschenor.
Anche Fraschenor ha bisogno di rifugiarsi altrove, un luogo fisico che è anche una stanza della mente: la tundra, cioè il suo giardino, in cui immagina di essere in esilio volontario dando le dimissioni da italiano. Da qui scrive lettere a Michelangelo, suo unico contatto con il mondo.
E poi c’è Wanda, alla ricerca di un cambiamento, di un ruolo diverso, di una consolazione, di risposte dopo tante domande, soprattutto a se stessa. Wanda, a differenza di Michelangelo e Frachenor, è giovane, agisce e lavora. Non un lavoro qualsiasi, ma una specie di espiazione, una via per uscire dall’indifferenza in cui era caduta dopo un grande dolore che tutti gli altri, per primi i genitori, avevano trattato con pesantissima indifferenza.
Wanda viene assunta in una residenza per anziani, accudisce gli ospiti amandoli, cerca di alleviare le sofferenze altrui e anche un po’ la propria donandosi.
Una domenica mattina di giugno, la ragazza decide di andare al mare, così anche Michelangelo che intende dipingere in riva al mare, ha già abbozzato un quadro: l’ultima cena sull’ultima spiaggia. Quest’opera esiste davvero, perché Testa non entra nel romanzo soltanto attraverso i personaggi per esprimere una critica sociale e politica sempre molto esplicita, entra anche ‘iconicamente’ attraverso il quadro, mostrato durante la presentazione e di cui lui stesso è autore. Non solo, chi scrive entra nel romanzo rivolgendosi direttamente al lettore e facendosi personaggio a sua volta, testimone della vita di Fraschenor, suo interlocutore.
Tutto è doppio, anche il finale dove la morte sballotta la vita fra le acque del mare fino ad avere la meglio. E invece no, una svolta beffarda ribalta tutto, discolpa chi appariva colpevole di fronte alla legge e l’autore dichiara in prima persona la soluzione letteraria che, tuttavia, definitiva non è.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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