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E così passa al Senato il fonologicamente – a seconda degli/delle speakers – detto Jobbs Acht, Jobs Echt e dal premier Renzi Jobs Ek. Naturalmente tra voli di libri, urla, e scalate alla presidenza dove lo sbalordito testimone incontra sconvolgimenti di grigie grisaglie fotografate mentre s’inerpicano sui banchi. E visi deformati dall’ira, gote enfiate (le “enfiate labbia” di dantesca memoria), le barbe sempre più folte (notevole anche quella del sindaco di Roma tenuamente brizzolata), e lo svolazzìo di orribili cravatte.
Ma una notizia lieta viene riportata dai quotidiani: i ‘barbudos’ più famosi d’Italia resteranno nella loro casa e non affronteranno lo stress dell’esibizione delle loro nudità all’Expo milanese. Parlo naturalmente dei Bronzi di Riace.
Alla scompostezza della politica si associa una riflessione.
Per calmarmi dalle desolanti notizie che ci propongono i telegiornali (inequivocabile l’avvio ogni sera, minacciosamente severo, di “mitraglia” Mentana), offre oasi di pace e di bellezza un canale televisivo che propone la musica più fastosamente eseguita da geni solisti e da grandi compagini orchestrali. Osservando quei volti, brutti, belli, giovani e vecchi, si nota una dignità sovrana mai turbata, anzi esaltata, dalle smorfie, dagli atteggiamenti innaturali obbligati dalla necessaria compenetrazione con lo strumento: labbra strette nella compagine degli strumenti a fiato, silenziosi scatarrii tra le trombe, braccia e colli tesi tra gli archi. Tutto si armonizza in una dignità che trova origine e salvezza dalla bellezza e dallo spirito. Se si potesse esprimere in una figura la nobiltà dello spirito, sceglierei quella dell’ottantenne Arthur Rubinstein mentre suona il concerto n.2 di Chopin. Dignità, bellezza, spirito: ciò che dovrebbe essere l’aspirazione dell’umano.
A differenza, e mi dispiace constatarlo, nelle aule parlamentari dove l’umanità più scomposta riduce la fisicità a bisogni primari, quasi tutti appaiono brutti perché scomposti. La fretta – o l’urlo – che dismaga la naturale dignità umana. Sibili, vociate, gesti sconvenienti sono dunque il riflesso di ciò che si pensa debba essere la lotta politica? E a questo punto, l’atteggiamento formale del Presidente della Repubblica appare o dovrebbe apparire modello di comportamento. Sempre più i personaggi della politica si fondono e si confondono con la satira di Crozza e perdono di carisma e di serietà. Ho ripreso in mano uno dei testi più corrosivi della nostra tradizione letteraria contemporanea. Un pamphlet di Carlo Emilio Gadda recitato in Rai, terzo programma il 5 dicembre del 1958 dal titolo “Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo”. Tra i protagonisti, la dama Donna Clorinda Frinelli, il professor Manfredo Bodoni Tacchi e l’avvocato Damaso de’ Linguagi, scoppia una diatriba sull’importanza del Foscolo, della sua poesia e del periodo storico di cui fu protagonista. Alla vacuità della dama e all’importanza seriosa del professore, si oppone il dissacrante avvocato che Insulta Bodoni Tacchi con l’inversione del nome: TaccaBodoni o ancor più il riferimento a un famoso B. (non è una premonizione ma l’indicazione di Bonaparte detto anche il Nano!) fatta da de’ Linguagi, insultato a sua volta col nome di Linguaggia.
Ecco, dunque, che tutto ritorna alla parola, alla capacità della parola di dire tutto e oltre il tutto; ma quando la parola, ridotta a mezzo politico s’isterilisce e si contrae in se stessa, perde di veridicità e non si conforma più alle cose.
Ancora segnali fisiognomici nel quartetto ferrarese scelto per la Regione. Nella foto ufficiale due candidati, una donna e un uomo, si presentano con l’ormai abusato sciarpone annodato al collo, ultimo riferimento ad un vezzo modaiolo adottato dalla politica. Gli altri due si presentano, invece, con una renziana camicia bianca.
Non sarà un segno di un’imitazione – assai facile da decodificare – che non trova, purtroppo, una sua originalità e semplicità di messaggio?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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