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Questa mattina sono stata ad un funerale, a condividere il dolore di un’amica per la perdita della sua mamma. La chiesa era piena di amici, parenti, insegnanti e il dolore era ovunque, su ogni volto, in ogni sguardo. Conosco questa ragazza dalla scuola media, eravamo compagne di classe, vicine di banco, amiche. Con gli anni ci siamo perse di vista, ma abbiamo ripreso i contatti pochi mesi fa. In questa circostanza al suo fianco, a partecipare alla sofferenza sua e dei suoi fratelli, vi erano tantissimi giovani. Mi capita spesso, in circostanze differenti, di soffermarmi ad osservare la gente. Cerco di capire i loro stati d’animo, di interpretare le loro reazioni, di scovare i loro sentimenti… e spesso non è facile. In un contesto triste come un funerale, ad esempio, dove tutti sono riuniti per condividere lo stesso dolore, ognuno reagisce a suo modo. C’è chi piange senza ritegno consumando interi pachetti di fazzoletti, chi soffre in maniera intima e sommessa, chi cerca di essere forte e ricacciare continuamente indietro le lacrime, c’è addirittura chi ride, forse per esorcizzare il dolore. E poi ci sono quelli che invece sembrano non soffrire affatto; mi sono resa conto che questi ultimi sono soprattutto i giovani; quei giovani che spesso non apprezzo, quelli privi di molti valori, che vivono alla costante ricerca dello sballo, con il solo obiettivo del divertimento estremo; quei giovani che si chiudono in sè stessi, lontano da qualsiasi cosa possa renderli deboli e vulnerabili.

Oggi invece ho dovuto ricredermi. Questa mattina non ho visto i soliti ragazzini che ogni giorno vedo passare davanti a casa mia, quando escono da scuola: questi parlano a voce alta uilizzando parolacce e spesso bestemmie in ogni frase. No. Oggi, finita la messa, sono uscita dalla chiesa e mi sono soffermata sul viso di tutti i giovani e gli adolescenti che, ad uno ad uno, hanno voltato le spalle all’altare. Non ho visto sguardi sostenuti, teste alte o espressioni indifferenti; ho visto occhi lucidi, guance rigate dalle lacrime e abbracci per farsi forza l’un l’altro.
Solitamente le donne vengono considerate più emotive ed inclini al pianto, ma non erano solamente loro quelle con le teste chine e il fazzoletto in mano. Molti ragazzini vestiti alla moda, caviglie scoperte e cavallo dei pantaloni basso, mostravano sul viso un sincero dolore. E per quanto il contesto fosse tremendamente triste, mi sono ritrovata con un lieve sorriso sulle labbra. Ogni volta che mi chiedono cosa penso di questa nuova generazione, rispondo in maniera negativa. Ovunque vedo ragazzi omologati, dediti primariamente all’alcool e al fumo perchè ormai incapaci di divertirsi senza questi vizi. Vedo adolescenti maleducati, sempre pronti a rispondere con un insulto, una parolaccia, noncuranti della gente che li circonda. Ragazzi che parlano sempre e solo di superficialità, come se non volessero mostrarsi intelligenti o interessati ai fatti e ai problemi della società e della realtà in cui vivono e che li riguardano in prima persona.
Questa mattina per la prima volta dopo tanto tempo, ho intravisto uno spiraglio di speranza. Più guardavo le espressioni di quei ragazzini e più mi dicevo che forse sono io ad essere sempre pessimista e che forse non tutti i più nobili valori sono perduti. Li ho osservati prima di entrare in chiesa e sinceramente, agli occhi di chi passava di lì per caso, potevano anche sembrare una scolaresca in gita scolastica; li ho osservati quando sono usciti dalla chiesa e sembravano persone differenti. Quando cerchi di apparire diverso da come sei, ti crei delle barriere e indossi delle maschere che non sempre ti appartengono. Così quando ti immergi in un contesto che ti rende vulnerabile le barriere iniziano a cedere e il tuo vero io viene messo a nudo. E’ questo ciò di cui la nostra società ha bisogno. Basta con le falsità, l’apparenza, la superficialità; non servono persone stereotipate e conformate, ma giovani che non abbiano paura di mostrarsi per quello che sono, che sappiano ancora sognare e credere e lottare per tutto ciò che ritengono giusto, nonostante la realtà che ci circonda ci induca costantemente ad essere pessimisti.

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Silvia Malacarne


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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