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Diventare vecchi per alcuni è un privilegio, ma per altri un problema. In questa regione gli anziani sono quasi un milione di persone (di cui la metà sono ultrasettantacinquenni). Nell’ultimo decennio l’incidenza della popolazione anziana è aumentata e tra vent’anni circa un terzo degli anziani avrà più di ottanta anni.
Crescono però fortunatamente anche gli anziani autosufficienti e i pensionati impegnati nel sociale.
E’ possibile pensare ad una importante e crescente forza civile che sia disponibile per gli altri, in cui l’anziano non sia indicatore di criticità ma anzi protagonista nella solidarietà? Ora che anche io sto entrando in questa categoria, me lo sto chiedendo spesso.
Mi piacerebbe chiamare in aiuto gli esperti delle scienze come geriatria (branca della medicina che si occupa non solo della prevenzione e del trattamento delle patologie dell’anziano, ma anche dell’assistenza psicologica, ambientale e socio-economica), gerontologia (scienza che studia le modificazioni derivanti dall’invecchiamento) e geragogia (scienza che studia tutte le possibilità per invecchiare bene).
Io però so che aumentano i bisogni e le richieste di offerta sostenibile in molti settori e territori e si potrebbe pensare di sviluppare un welfare sociale, sussidiario e non sostitutivo, sui temi della qualità della vita. Quando una città ha una buona qualità di vita, significa, infatti, che la maggioranza della sua popolazione può fruire di una serie di vantaggi politici, economici e sociali che le permettono di sviluppare con discreta facilità le proprie potenzialità umane e condurre una vita relativamente serena e soddisfatta. Su questi principi si stanno misurando da molto tempo istituzioni e associazioni, ma il loro impegno non è sufficiente se non produce processi di innovazione.
Se a questo dato di necessità si aggiunge che sul piano culturale si fa largo la convinzione che il sociale sia quasi un fattore produttivo, allora credo ci debba essere qualche ragione in più per contribuire a ripensare i rapporti sociali nel nostro territorio.
Bisogna allora aumentare l’area della responsabilità e sviluppare progettualità.
Dobbiamo promuovere l’impegno degli anziani nel volontariato e aumentare l’impegno civico; penso che il volontariato sia ricerca di relazioni con altri riconosciuti titolari di diritti e per questo dobbiamo metterci a disposizione per gli altri in una logica di reciprocità e responsabilità, per favorire in una parola lo sviluppo della “cultura della vecchiaia”.
L’invecchiamento attivo può dare agli anziani di domani la possibilità di sentirsi valorizzati con semplici opportunità di restare occupati e condividere la loro esperienza lavorativa, ma soprattutto di continuare a svolgere un ruolo attivo nella società. Serve qualche attenzione prioritaria a partire dalla opportunità di partecipare pienamente alla vita della società e consentire alle persone anziane di dare un valido contributo con il loro volontariato, ma soprattutto di permettere alle persone della terza età di vivere in modo autonomo grazie a strutture che tengano conto delle loro esigenze (alloggi, infrastrutture, sistemi informatici e trasporti).
La domanda dunque a questo punto è: come si fa?
Forse si deve accelerare prima di tutto la costruzione di reti di collaborazione e di relazione all’interno di strutture esistenti con le varie associazioni presenti sul territorio, con tutte le risorse disponibili, sia di carattere economico che sociale, a partire dal volontariato e dalla promozione sociale fino all’associazionismo sindacale. Per affrontare il duro, faticoso, difficile lavoro di “lavorare insieme, in modo integrato”, unica condizione per massimizzare l’efficienza e l’efficacia. Mi rendo conto che sono cose che si dicono sempre, ma che si fanno raramente.
Mi sia permessa una citazione che considero centrale. (Da la percezione di sé e ruolo politico degli anziani- Rapporto Sociale anziani Rer, gennaio 2010):
“Emerge una condizione soggettiva degli anziani che ne evidenzia la qualità e di massima la possibilità di poter contribuire in maniera ancora sostanziale allo sviluppo della vita sociale e civile della comunità regionale” “Se l’obiettivo per le giovani generazioni è di accelerare l’assunzione di responsabilità, bisogna dunque chiedersi come gli anziani (individualmente, collettivamente, attraverso le proprie rappresentanze ed organizzazioni) possono concorrere a questo scopo. L’assunzione di responsabilità può avvenire soprattutto attraverso la dimostrazione che non si tratta di una attribuzione sostitutiva (cioè prendi tu le responsabilità che fino ad ora sono state mie), ma attraverso un superiore livello di condivisione; prendiamoci, ognuno secondo le nostre possibilità, le responsabilità di tutti.”
La capacità delle persone, una volta invecchiate, di condurre vite socialmente ed economicamente attive è un diritto. È questa, in sintesi, la concezione di active ageing (“invecchiamento attivo”) espressa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) e tenuta in gran conto da parte della stessa Commissione Europea, la quale prevede che entro il 2050 il tasso medio europeo di dipendenza degli anziani sarà attorno al 50%: ciò significa che se oggi, in Europa, ci sono circa 4 persone in età attiva per ogni persona over 65, nel 2050 ce ne saranno solo due. Politiche di integrazione lavorativa e di inclusione socio-culturale degli anziani possono dunque diventare elementi centrali di sviluppo, rafforzando la partecipazione della persona anziana alla vita attiva della comunità e contrastando le conseguenze negative legate a sensi di solitudine e inutilità sociale.

Essere anziani al giorno d’oggi significa fare esperienza di grandi cambiamenti nei ruoli assunti all’interno della famiglia e della società: basti pensare al pensionamento, da alcuni vissuto come perdita di un ruolo sociale, o alla scomparsa del coniuge, l’allontanamento dei figli, tutte occasioni che comportano la perdita di importanti punti di riferimento. Le relazioni sociali possono essere una risorsa fondamentale per l’anziano, il primo baluardo contro la solitudine, ma soprattutto, sostiene la psicoterapeuta Emanuela Boldrin, è utile “diffondere l’idea che la vecchiaia è una fase di vita, non necessariamente legata alla patologia e che rappresenta il naturale proseguimento di ciò che si era prima. È importante far vivere il concetto di cambiamento non come una limitazione ma come una nuova possibilità per coltivare diversi interessi e passioni”.
In ognuno di noi deve crescere la disponibilità a sperimentare e sviluppare nuovi progetti per il valore sociale. In successivi articoli proverò a fare qualche esempio e mi piacerebbe ritrovare la voglia di molti nel cercare soluzioni.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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