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Robotica e digitalizzazione stanno cambiando il mondo. La nuova rivoluzione delle macchine sta costruendo un contesto che a molti appare completamente diverso rispetto a quello delle generazioni passate. Gli impatti di questo passaggio repentino sulla società e sulla vita di milioni di persone non cessano di sollevare dubbi, entusiasmi e paure. In particolare il lavoro sembra essere messo in forte discussione in un ambiente che diventa sempre più interconnesso grazie ai miliardi di connessioni tra le cose, popolato da macchine più intelligenti che interagiscono con esso e poco alla volta sostituiscono quei settori di lavoro umano nei quali avevano trovato posto le persone fuggite prima dall’agricoltura e poi dall’industria per effetto della prima e seconda rivoluzione industriale. Rispetto a quegli eventi epocali oggi e nell’immediato futuro bisogna fare anche i conti con l’incremento demografico e, soprattutto, con gli squilibri e le tensioni drammatiche, che esso comporta.
Se in prospettiva di lungo periodo questa appare una tendenza quasi certa che obbliga a riflettere seriamente sul futuro del pianeta e dell’uomo, nel breve periodo restano ampi margini di incertezza e quindi di manovra. Già adesso segni evidenti di questi processi si mostrano con sempre maggiore chiarezza; espulsioni di quote crescenti di lavoratori dai processi produttivi contrattualmente protetti e precarizzazione sistematica del lavoro a causa dell’automazione sempre più spinta che si insedia proprio in quei luoghi (fabbriche e pubblica amministrazione) dove più sicuro era stato il possesso del “posto”.
Diminuzione delle pratiche di delocalizzazione poiché i computer e le macchine automatiche rendono più economica la produzione anche rispetto ai costi già bassi che possono essere strappati nei paesi più poveri e meno tutelati sindacalmente.
I segni di questa sostituzione sono osservabili dappertutto ma stranamente passano sottotraccia: distributori automatici di cibi preconfezionati e biglietti, bancomat che consentono di svolgere molte operazioni, prenotazioni on line, macchine automatiche per fotografie, distributori automatici di benzina, sportelli autostradali intelligenti, sono solo alcuni degli esempi che abbiamo quotidianamente sotto agli occhi ma ai quali non pensiamo in termini di perdita di posti di lavoro e di sostituzione e spiazzamento del lavoro umano con quello delle macchine.
Tutto questo avviene tramite le tecnologie ma non esclusivamente a causa di esse: le regole di funzionamento del capitalismo finanziario imperante entro cui tutto questo si realizza sono state infatti prima motivate culturalmente e quindi imposte politicamente dai governi dominanti che hanno sposato e sostenuto un’ideologia liberista privilegiando specifici soggetti a svantaggio di altri e affermandola ormai come un fatto naturale incontrovertibile, necessario e sufficiente.

Comunque sia sempre più persone sono costrette seriamente a riflettere sul loro futuro in termini di possibilità occupazionale, di possibilità di lavoro. Automazione e digitalizzazione stanno infatti aggredendo il lavoro di quella gigantesca classe media entro la quale sono confluiti nel dopoguerra operai ed impiegati di ogni settore. Paradossalmente sono proprio quei lavori di concetto che nella vecchia società industriale sembravano difficili e per i quali era indispensabile un lungo percorso di apprendimento (quelli del mitico “posto fisso”, i lavori di concetto tipici del terziario, per i quali era indispensabile l’ambitissimo “pezzo di carta”, le occupazioni impiegatizie entro le fabbriche e le Amministrazioni) quelli attualmente più facili da sostituire; sembrano invece ancora poco minacciati i lavori basati sull’interazione umana diretta, sulla artigianalità e la sapienza dei gesti (per lungo tempo poco valorizzati nell’epoca industriale) poiché proprio essi sono per le macchine attuali più difficili da replicare.
E’ vero che tutto ciò che si può descrivere attraverso una procedura può essere industrializzato e tutto ciò che è industrializzato può essere tranquillamente automatizzato e digitalizzato; è anche vero però che il processo si presenta oggi più veloce e virulento in certi settori ed investe in forma differente, differenti lavori e professioni.

Almeno nel breve periodo molte persone dovranno dunque riflettere con non pochi timori su domande che riguardano il lavoro: in quali ambiti digitalizzazione e automazione espelleranno più lavoratori? Quali lavori e professioni saranno più minacciati di sostituzione? Che nuovi lavori si potranno inventare per vivere?

Allo stesso modo politici e decisori dovranno interrogarsi circa l’impatto sociale ed economico delle tecnologie; quale potrà essere il nuovo significato del lavoro in un economia di abbondanza di beni e servizi? Sono accettabili le enormi differenze generate da un sistema che premia enormemente pochissime persone? E’ possibile rinunciare al lavoro come meccanismo retributivo quasi esclusivo senza pregiudicare l’equilibrio sociale e l’identità delle persone? Quali dispositivi sociali dovranno essere pensati per regolare i comportamenti delle persone mantenendo un regime di libertà diffusa? Quali settori privilegiare in termini di priorità e di investimenti?

Quasi 20 anni fece scalpore la notizia che Deep Blue, il supercomputer Ibm, riuscì nell’impresa di sconfiggere Kasparov, il campione del mondo di scacchi; meno scalpore ha fatto invece la notizia più recente che dei giocatori dilettanti di scacchi lavorando insieme ad un normale computer, sono stati capaci di battere sia grandi maestri umani che macchine specializzate nel gioco estremamente potenti, lasciando intravvedere una possibile via per uscire dallo stallo: quella appunto della collaborazione uomo macchina, strategia capace di allontanare i due estremi dello scontro luddista basato sulla paura e della schiavitù tecnologica fondata sull’ignavia.

Questa collaborazione con le macchine intelligenti spinge, lavorativamente parlando, ad abbandonare ogni compito routinario e strutturato per sposare la logica della creatività e dell’innovazione, dell’imprenditorialità e della originalità. Intuire, escogitare, fare domande intelligenti, subodorare, influenzare, pensare fuori dagli schemi, combinare e ricombinare, rimescolare, interpretare dati, imparare ad imparare, flessibilizzare, discernere informazioni, riconoscere pattern, comunicare in modo complesso, comprendere empaticamente, diventano tutte capacità importanti per vivere bene in un ambiente intelligente che favorisce l’auto-rganizzazione e l’auto-aprendimento basato sulla tecnologia.
Più lavoro fuori dalle routine e dalle fabbriche, diversa educazione, differente idea di lavoro, decentralizzazione della produzione e co-produzione, invenzione di nuove forme d’impresa e di nuovi lavori sembrano poter scaturire da uno stato di complementarietà positiva con le macchine intelligenti; forse, la possibilità di creare quel valore che non appare oggi nel Pil attraverso le infinite pratiche di economia condivisa e informale che già oggi danno senso e scopo alla vita di milioni di persone.
In attesa ovviamente di ripensare seriamente l’intera economia e il posto del lavoro nella civiltà del futuro.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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