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Idir, nome d’arte di Hamid Cheriet, è nato in Algeria nel villaggio di Aït Lahcène, vicino a Tizi Ouzou, nella Grande (Alta) Cabilia, il 25 ottobre 1949. Idir, in lingua cabila, significa “vivrà”, così come le madri chiamavano tradizionalmente i figli più fragili.

Idir è il cantante e musicista cabilo più conosciuto all’estero, grazie al suo brano d’esordio intitolato “A vava inouva” (Il mio papà), una dolce ninna nanna, con il testo scritto da Ben Mohamed. Il musicista algerino esordì a Radio Algeri, inventandosi lo pseudonimo che lo avrebbe reso celebre, per non far capire ai propri genitori che stava intraprendendo la carriera artistica. “A vava inouva” ebbe un exploit immediato, da allora Idir ha prodotto un numero limitato di album, avvalendosi spesso dei testi di Ben Mohamed. Questo brano è considerato il primo grande successo venuto dall’Africa settentrionale e rappresenta l’affermazione del ritorno alle radici, un sentimento molto sentito dagli algerini.

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In concerto

La sua opera ha contribuito al rinnovo della canzone amazyghe e ha portato la cultura della Cabilia all’attenzione del pubblico internazionale, proseguendo la tradizione famigliare iniziata da sua nonna e sua madre, entrambe poetesse. Grazie alle donne della sua famiglia è cresciuto ascoltando storie ed enigmi, un valore immenso in una società basata sulla cultura orale, come ha detto lo stesso Idir: “La capacità di cesellare le parole e di inventare delle immagini, da noi, è ancora oggi molto apprezzata”.

Emigrato a Parigi nel 1975, Idir fa parte di quegli esuli senza “patria ufficiale” che si battono per il riconoscimento della propria cultura d’origine. In quel periodo la casa discografica Pathé Marconi gli produsse il suo primo album “A Vava inouva”, che diventò un successo planetario, distribuito in 77 paesi e tradotto in 15 lingue. Una versione francese è stata interpretata dal duo Davide Jisse e Dominique Marge. La musica della Cabila era la più diffusa nei quartieri a prevalenza araba di Parigi, perché gli immigrati provenivano da quella regione dell’Algeria. Dopo il successo del primo Lp, Idir pubblicò nel 1979 “Ay Arrac Neg” (Ai nostri bambini), iniziando una lunga serie di concerti ma, non riconoscendosi nel mondo dello show-business, scelse di eclissarsi per circa dieci anni, interrotti soltanto da alcuni recital.

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Alcuni cd e dvd di Idir

La sua carriera riprese nel 1991, in occasione della pubblicazione della compilation con i brani tratti dai suoi primi due album. Grazie al successo discografico ritornò sulla scena musicale, con una serie di concerti al New Morning di Parigi, dove raccolse numerosi elogi e il riconoscimento, da parte della critica, di precursore della World music.
L’anno successivo uscì l’attesissimo nuovo Lp “Les chasseurs de lumière” (I cacciatori di luce) dove cantò i suoi temi prediletti: l’amore, la libertà e la tristezza dell’esilio. Nell’album introdusse, a fianco dei darboukas, strumenti quali flauti, mandole e chitarre acustiche, dando un tocco di modernità al suo sound. Nel brano “Isaltiyen”, il cantante algerino duettò con Alan Stivell. Quello stesso anno si esibì all’Olympia di Parigi.

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Idir all’Olympia di Parigi

Idir, uomo di principi, partecipa spesso ai concerti per sostenere le cause in cui crede, nel 1995, insieme a Khaled, appoggiò un grande evento per la pace, la libertà e la tolleranza. In quella storica occasione il Raï oranais incontrò la poesia contestataria della Cabilia. Si trattò di un grande successo, per i due artisti, che riuscirono nella difficile impresa di riunire le comunità kabylophones e quella arabophones. Nel 2001, quando delle violente sommosse devastarono la Cabilia (la cosiddetta “Primavera nera”), il cantante organizzò un grande concerto allo Zenit di Parigi, dove numerosi artisti sostennero la rivolta del popolo di fronte al potere centrale algerino. Partecipò anche al concerto organizzato per ricordare Lounès Matoub, il cantautore algerino assassinato da un commando armato.

Con l’album “Identités” (1999) Idir si aprì alla Wolrd culture, collaborando con Manu Chao, Tulawin, Dan Ar Braz, Maxime Le Forestier (molto noto in Francia) e i gruppi Gnawa Diffusion e Zebda. L’esperienza prosegui con “La France des couleurs” del 2007, dove giovani autori composero con lui delle canzoni sul tema dell’identità. Collaborano artisti come Akhenaton, Leeroy, Sink, Kenza Farah, Wallen, Grand Corps Malade e Zaho.

Il più recente album di Idir, porta il suo stesso nome ed è del 2013, si tratta di un’opera intimista e personale, meno politica delle precedenti, con un brano dedicato alla memoria della madre, scomparsa qualche anno prima all’età di 96 anni. L’artista, liberatosi del suo status di chanteur militante, abbassa un po’ la guardia per lasciarsi andare alle emozioni. Il disco contiene la traduzione e l’adattamento di un’aria britannica del XVII secolo, “Scarborough Fair” e un pezzo di Beethoven “Tajmilt i Ludwig” (Clin d’œil à Ludwig).

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Una delle varie iniziative umanitarie a cui ha partecipato

La musica di Idir nasce dalla fusione di differenti sonorità ma, il punto di riferimento, resta il flauto del pastore cabiliano. Si tratta del primo strumento su cui ha imparato a suonare, costruito tramite il taglio di un giunco. La chitarra folk è venuta molto più tardi, al tempo del liceo, dove un francese gli insegnò i primi accordi che lui riprodusse con le cadenze e gli accompagnamenti tradizionali della sua regione natia.
Le sue canzoni, scritte in cabilo o in francese, hanno una portata universale e accompagnano sempre le cerimonie nuziali dei giovani della Cabilia. Il sociologo Pierre Bourdieu di lui ha detto: “Idir non è un cantante come gli altri, è un membro di ogni famiglia”.

Per ascoltare il concerto acustico di Idir (30’) trasmesso dall’emittente internazionale Tv5 Monde nel 2013 clicca qui.

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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