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Da ferraresi ci sentiamo particolarmente coinvolti dalla figura di Vittorio Cini, nostro conterraneo, imprenditore e grande collezionista di opere d’arte, fondatore e mecenate della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Come abbiamo già scritto sulle pagine di questo giornale, ha da poco riaperto al pubblico la Galleria di Palazzo Cini a Venezia [vedi], che raccoglie meravigliosi capolavori toscani e del Rinascimento ferrarese. Non abbiamo resistito, e siamo andati ad ammirare quelle opere strepitose, guidati da Alessandro Martoni, uno degli storici dell’arte della Fondazione. Di seguito, vi proponiamo un viaggio affascinante in questo prezioso scrigno che è la collezione Cini, con un occhio tutto particolare alle opere della scuola ferrarese.

La recente riapertura della Galleria di Palazzo Cini
La Galleria di Palazzo Cini è stata inaugurata il 21 settembre del 1984, in seguito alla donazione da parte di una delle eredi, la terzogenita Yana Cini Alliata di Montereale. E’ in occasione infatti del trentennale che se ne è voluta la riapertura. Al nucleo originario, dal 1989 si aggiunse la collezione dei dipinti ferraresi che è in deposito fiduciario presso la Galleria per gentile concessione di un’altra delle figlie, Ylda Cini Guglielmi di Vulci.

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Palazzo Cini, in Campo San Vio a Venezia

Dopo alcuni anni di chiusura, o meglio di aperture temporanee collegate ad eventi quali la Biennale o mostre allestite a Palazzo Cini, si è avviata un’operazione di riqualificazione dell’edificio, comprendente un innovativo sistema di illuminazione a led realizzato appositamente per il museo, e un intervento di restauro su alcune opere della collezione, ma mantenendo sostanzialmente inalterata la fisionomia originaria data alla Galleria all’atto di battesimo. A parte qualche scultura lignea portata dalla Fondazione che si trova sull’isola di San Giorgio, e qualche piccolo spostamento atto a rendere più fruibile la collezione, la fisionomia che si può vedere trent’anni dopo è identica a quella dell’84.
Martoni ci spiega che, sul versante artistico, in questi mesi gli storici dell’Istituto di storia dell’arte stanno lavorando con il prof. Andrea De Marchi e il prof. Andrea Bacchi per catalogare scientificamente l’intera raccolta e aggiornare i due cataloghi, quello sui dipinti toscani e gli oggetti d’arte e quello sui dipinti ferraresi, editati rispettivamente nel 1984 e 1990 da Neri Pozza, con l’obiettivo di pubblicare un unico catalogo aggiornato per l’intera collezione, con nuovi riferimenti bibliografici e la rilettura di alcune opere fatta alla luce delle nuove scoperte.

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Galleria Cini, Sala dei polittici

Il corpus della collezione Cini e la raccolta presente nella Galleria
Della strepitosa e ricchissima collezione d’arte del conte Cini, la Galleria ne è testimonianza significativa, raccogliendo nuclei mirabili tali da confermare che Vittorio Cini sia stato uno dei più grandi collezionisti del Novecento. Collezionista avido nel senso positivo del termine, caratterizzato da una fame di opere d’arte antica in tutto lo spettro tipologico di manufatti, dagli specchi agli smalti, dalle armi agli arazzi, ai disegni e ai dipinti, privilegiava il tardo Medioevo e Rinascimento, secondo i valori e una visione evolutiva delle arti di matrice ‘berensoniana’, legata ai gusti del mondo anglosassone.

Vittorio Cini (Ferrara, 20 febbraio 1885 – Venezia, 18 settembre 1977)
Vittorio Cini (Ferrara, 20 febbraio 1885 – Venezia, 18 settembre 1977)

Ma non mancavano nella sua raccolta straordinarie opere del Settecento veneziano, come le magnifiche tele di Canaletto e Guardi, o alcune importanti tele tiepolesche; anche l’arte napoletana del ‘600 e del Settecento era presente, con pezzi di tutto rilievo’. La nostra guida ci racconta che una parte della raccolta è stata venduta, alcune opere rimangono agli eredi, altre sono ospitate in altri musei, come per esempio un mirabile nucleo di tavole marchigiane, oggi alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, o la bella “Madonna Avvocata” duecentesca, attribuita a Niccolò di Giovanni, che oggi si trova a Roma, alla Galleria Nazionale di Arte Antica a Palazzo Barberini, e altri pezzi forse tra i più antichi della collezione Cini. Una parte cospicua della collezione si trova invece presso il Castello di Monselice, ristrutturato nel 1935 e allestito ad hoc per accogliere parte della collezione, ma passato in gestione alla Regione Veneto nel 1981. Un numero rilevante e pregiato di pezzi si trova nell’isola di San Giorgio, come la raccolta delle miniature e di libri antichi, ma anche dipinti, sculture, arazzi, maioliche.
Importantissima in questo senso è stata la figura di Nino Barbantini, nato a Ferrara anch’esso, sodale e amico d’elezione, interprete e stratega dell’anima collezionistica e culturale di Vittorio Cini, che ne ha convogliato gli interessi e il gusto. Figura chiave della prima metà del Novecento veneziano, Barbantini è stato l’uomo del rinnovamento culturale-artistico di Venezia, organizzatore delle mostre di Ca’ Pesaro a partire dal 1910, di Ca’ Rezzonico, e tanto altro.

La Sala dell’anticamera, il gusto di Cini per le arti decorative
Prima di illustrarci alcune delle più preziose opere esposte, Martoni ci anticipa che in questa sala emerge il gusto massiccio, profondo e radicato, di Cini per le arti decorative. Se si guardano le fotografie degli anni, Sessanta, continua, ci si accorge che le stanze erano ornate riccamente da un profluvio di bronzi, bronzetti, avori, porcellane, tutto il sapere della creatività umana raccolto in una collezione.

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Manifattura veneziana del XVI secolo, piatto in rame smaltato

In particolare sottolinea la presenza dei bellissimi e rari smalti rinascimentali di manifattura veneziana, di cui il Louvre possiede un altro corpus importante. Grazie proprio alla collaborazione con il Louvre, la Fondazione ha in programma un convegno scientifico “I rami smaltati del Rinascimento italiano. Geografia artistica, collezionismo, tecnologia” che si terrà dal 16 al 18 ottobre, con il quale avvieremo una catalogazione di tutti gli oggetti di questa manifattura esistenti al mondo, poi si spera una mostra.
Importante, dice, anche la teca degli avori gotici, in particolare i quattro pezzi provenienti dalla bottega degli Embriachi, la più importante bottega tra ‘300 e ‘400 di lavorazione dell’avorio e dell’osso, e la raccolta delle croci, come la croce processionale del XIII secolo attribuita a Giunta Pisano e dipinta sui due lati, e la “Crocefissione” del senese Pietro di Giovanni Ambrosi.

La Sala dei polittici, alcune novità e restauri d’altissimo livello
In occasione della riapertura della Galleria sono state restaurate due sculture lignee, la “Madonna col Bambino” del grande Nino Pisano, scultore e orafo di grande raffinatezza e la “Madonna col Bambino” in legno di pioppo nero ad opera di un’artista della cerchia del senese Francesco di Valdambrino. Entrambe queste sculture erano collocate alla Fondazione e sono quindi una novità per la Galleria.

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Nino Pisano, ‘Madonna con il Bambino’

La Madonna di Pisano, ci racconta Martoni, ha subito un restauro molto impegnativo perché era in condizioni terribili, irriconoscibile: si presentava con un pasticcio di ridipinture; evidentemente pulito con la soda caustica a inizio Novecento, appariva decoeso, collassato il supporto, condizioni che ne offuscavano completamente la lettura.
Con l’intervento di restauro ad opera di Milena Dean, specialista negli interventi sui manufatti lignei, è stato tolto tutto ciò che si poteva rimuovere, mantenendo solo alcune ridipinture sei e settecentesche, per non scarnificarlo, e con un sottotono si sono andate a riempire quasi tutte le lacune, cercando di restituire una tessitura cromatica che agevolasse la lettura. Lo storico ci confessa che all’Istituto sono tutti molto soddisfatti perché è venuto fuori un ottimo lavoro d’intaglio che rende di nuovo visibili tutta una serie di caratteri originali dell’opera, come il Gesù togato, nutrito di una forte dose di classicismo.

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Seguace di Francesco di Valdambrino, ‘Madonna con il Bambino’

Il restauro sulla Madonna del seguace di Valdambrino, eseguito dalle ottime restauratrici Stefania Sartori ed Enrica Colombini, ha portato anche ad una scoperta che ha molto emozionato tutto lo staff: dalle indagine radiografiche effettuate, pare che la scultura sia stata intagliata da un unico tronco, con un ramo che è servito ad intagliare il bambino.

Di tutti i restauri effettuati in vista della riapertura, quello di cui vanno più orgogliosi è il restauro del polittico raffigurante la “Madonna con il Bambino in trono e i santi Antonio Abate, Lorenzo, Giovanni, Battista e Agata” di Lorenzo di Niccolò datato 1404. Un restauro rispettosissimo, dice, uno dei migliori interventi della Fondazione, compiuto ad opera di una bravissima restauratrice veneziana Claudia Vittori e dal restauratore Roberto Saccuman, specialista di supporti lignei.

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Lorenzo di Niccolò, polittico con ‘Madonna con il Bambino in trono e santi’

Si è trattato di un restauro molto delicato perché il dipinto si presentava opaco e annerito, con la pellicola molto decoesa, spaccata nelle aree di connessione delle assi e completamente sollevata rispetto al supporto. Si è quindi proceduto ad un intervento di consolidamento del supporto e di pulitura: si sono dovuti togliere uno strato di vernice completamente alterata e uno strato di gomma lacca, probabilmente applicato nell’Ottocento per consolidare. Fortunatamente la situazione del dipinto originale era molto buona, quindi con una semplicissima operazione di ricucitura delle poche lacune presenti, sono riusciti a ripristinare la calda cromia originale che ora si può finalmente riammirare. Martoni ci tiene a dire che il restauro è stato totalmente finanziato da uno degli eredi, Giovanni Alliata di Montereale, figlio della donatrice e nipote di Vittorio Cini, personaggio molto attivo, che segue tutte le attività della Fondazione con grande attenzione, in memoria del nonno e della madre.

Sala del Rinascimento, i capolavori toscani
Martoni premette che qui la conservazione delle opere esposte è perfetta, sono tutte in ottime condizioni: la “Madonna col Bambino” di Piero della Francesca, “Il giudizio di Paride” del Botticelli; anche la “Sacra conversazione”, una splendida tavoletta di Filippo Lippi, l’opera del Rinascimento toscano più antica esposta, si presenta integra.

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Pontormo, ‘Doppio ritratto di amici’

Uno dei capolavori della sala, tra le opere più richieste in prestito, è sicuramente il Piero di Cosimo, “Madonna col Bambino e due santi”. Di Cosimo, ci spiega Martoni, fu uno dei primi eccentrici rispetto alla pura linea raffaellesca, artista che seppe fare una sintesi tra Raffaello e Leonardo, con una forte attenzione all’arte fiamminga e alla linea elegantissima di Filippino Lippi: l’angelo accovacciato in primo piano che accorda lo strumento, rimanda per certo agli studi leonardeschi, la composizione alle madonne fiorentine di Raffaello, come la Madonna Canigiani di Monaco.
Altra opera richiestissima è il “Doppio ritratto di amici” del Pontormo, capolavoro della ritrattistica italiana, esposto proprio di recente alla mostra “Pontormo e Rosso Fiorentino” a Palazzo Strozzi a Firenze.

La documentazione sulle opere, le schede inventariali
La Fondazione Giorgio Cini possiede un archivio di schede inventariali molto puntuali di tutte le opere della collezione, che riportano l’approvvigionamento antiquariale di tutto l’ampio spettro di provenienze. Tra l’altro, molto ben documentate sono le provenienze delle opere ferraresi che provengono dalle collezioni Contini Bonaccossi, Gualtiero Volterra, Marcello Sestieri di Roma, Salocchi di Firenze e, prima fra tutte, la straordinaria collezione Costabili. Giambattista Costabili Containi fu un altro collezionista ferrarese instancabile; recentemente lo storico dell’arte Gianluca Tormen, durante una delle Conversazioni d’arte che la Fondazione organizza in Galleria, ha accostato la collezione ferrarese di Costabili alla collezione ferrarese Cini, suggerendo in modo evocativo che in un certo senso Cini sia l’alter ego nel Novecento del grande collezionista ferrarese Giovanni Battista Costabili Containi.

La Sala dei ferraresi, le origini
Questa è l’ultima sala della Galleria e, se si vuole, dice Martoni, anche la più emozionante, proprio in virtù dell’amore di Vittorio Cini per la propria città d’origine, che passa attraverso l’acquisizione di capolavori del Rinascimento estense. Ferrara allora era una fucina straordinaria. Ci arrivano tutti a Ferrara in quel periodo, da Leon Battista Alberti a Piero della Francesca, da Donatello ai pittori fiamminghi, tanto che non ci si deve sorprendere se questo fervore produce poi gli ingegni della Scuola ferrarese. Nel 1933 al Palazzo dei Diamanti a Ferrara viene allestita la memorabile “Mostra dei pittori del Rinascimento locale”, curata da Nino Barbantini, mostra dalla quale hanno avuto inizio i moderni studi su quel periodo. L’eco dell’operazione si deve in particolare alle intuizioni del grande storico dell’arte Roberto Longhi che, recensendo la mostra, utilizzò per primo il termine “Officina ferrarese”. L’ “Officina” poi, aggiunge la nostra guida, divenne un’opera importantissima, edita nel 1934 e aggiornata a varie riprese, attraverso la quale gli storici dell’arte riescono ancora oggi a ripercorrere l’analisi critica longhiana di questi pezzi Cini.

Le opere ferraresi, lettura critica e provenienza dei capolavori di Ercole de Roberti, Cosmè Tura, Dosso Dossi e Mazzolino
I due “San Giorgio”, quello di Cosmè Tura e quello di Ercole de Roberti, provengono dalla collezione Costabili e vengono acquistati da Cini entrambi il 20 aprile del 1954, dall’antiquario toscano Gualtiero Volterra.

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Ercole de’ Roberti, ‘San Girolamo’

Le due tavolette di Ercole de Roberti, “Santa Caterina d’Alessandria” e “San Gerolamo”, provengono invece dalla raccolta Contini Bonacossi, sono stati acquistati da Cini nel 1940, e rappresentano i primi due pezzi ferraresi della collezione.
Le tre tavolette di de Roberti, di cui abbiamo appena parlato, facevano parte del polittico di cappella Griffoni in San Petronio a Bologna, realizzato in collaborazione con Francesco del Cossa. Martoni contestualizza, ricordandoci che il sodalizio tra i due artisti nacque sui ponteggi di Schifanoia, per poi diventare una vera e propria collaborazione in quest’opera capitale che i due ferraresi producono attorno al 1472-73 nella città di Bologna e nella cappella di famiglia di Floriano Griffoni. Purtroppo il polittico fu smembrato e venduto tra 1725 e 1731, quando la cappella passò ai Cospi.

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Ercole de’ Roberti, ‘Santa Caterina d’Alessandria’

Le dodici tavolette che, assieme alle tre di Palazzo Cini, andavano a formare le cornici laterali del polittico, sono oggi conservate (tranne alcune che rimangono disperse), in vari musei: al Louvre, al Boymans-van Beuningen di Rotterdam, e una tavoletta, il “San Petronio”, si trova anche a Ferrara alla Pinacoteca nazionale.
Anche le altre parti del polittico hanno avuto la stessa sorte, e ora si trovano Pinacoteca di Brera, alla National Gallery di Washington, a Londra come la parte centrale dedicata al santo domenicano S. Vincenzo Ferrer.

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Ercole de’ Roberti, San Giorgio

Le opere esposte sono straordinarie. Nella vetrina delle opere più antiche, c’è un po’ il cuore dell’ “Officina” longhiana, con le opere di Cosmè Tura e Ercole de Roberti.
Martoni parte dal “San Giorgio” di Ercole de Roberti, che rivela la cifra peculiare della sua pittura, ossia una straordinaria acribia, nella perfetta resa della prospettiva, nella qualità del dettaglio, nella lumeggiatura dell’armatura, tutti aspetti collegati alla miniatura coeva e in particolare a Cosmè Tura. In questo senso, continua, forse Ercole de Roberti fu quello che più recepì il rovellio formale di Tura, condividendo con quest’ultimo l’attenzione alla qualità intrinseca dei materiali e ai valori tattili e formali degli smalti, delle pietre dure e dell’intaglio dei preziosi; ecco dunque la genialità dell’espressione di Longhi, che con il termine ‘officina’ evoca il mondo della sapienza artigianale e il ruolo dell’artista come ‘artifex’, di matrice ancora medievale.

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Cosmè Tura, ‘San Giorgio’

Poi passa al “San Giorgio” di Cosmé Tura, dai dettagli e dalle linee perfetti: ci prega di osservare le bandelle dell’armatura che oscillano per l’uccisione del drago, la sottigliezza delle ali del drago e l’ultimo colpo di coda sinuoso dell’animale morente, i movimenti aggraziati da schermidore e ballerino e la tessitura vibrante delle vesti. I colori delle colonnette, il bianco, il rosso e il nero, potrebbero rappresentare i colori araldici degli Este. Grazie agli studi longhiani, ci rivela, si è potuto accostarlo ad altre due tavolette: il “San Maurelio”, altro Patrono ferrarese, custodito al Poldi-Pezzoli di Milano e “L’Annunciata” della collezione Colonna di Roma. In virtù di tutto questo, si ipotizza che la committenza fosse proprio estense. Di Cosmè Tura a Ferrara rimangono solo i due tondi sul Giudizio di San Maurelio alla Pinacoteca, e le bellissime ante d’organo dipinte del Museo della cattedrale, scomparsa ogni altra opera a cominciare dallo straordinario Polittico Roverella (diviso tra i musei di Londra, Parigi, San Diego, Boston, New York, Cambridge, Roma).

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Baldassarre d’Este, ‘Ritratto di Tito Vespasiano Strozzi’

Nel 1951 Cini acquisisce il “Ritratto di Tito Vespasiano Strozzi” di Baldassare d’Este, opera su tela proveniente dalla collezione Costabili, come a commemorare una delle figure centrali della corte estense: Tito Vespasiano, come sappiamo, fu tra l’altro governatore di Rovigo e dei territori della Romagna estense, e l’autore della “Borsiade”, opera encomiastica dedicata al duca Borso. Ritrattista, medaglista e frescante, Baldassare era figlio naturale di Niccolò III d’Este. Altro sua opera molto importante è il più famoso “Ritratto di Borso d’Este” che si trova nei Musei civici del Castello Sforzesco di Milano.

 

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Dosso Dossi, ‘Scena allegorica’

Nella raccolta Cini non poteva mancare un’opera del più importante artista attivo alla corte estense nella prima metà del Cinquecento: Dosso Dossi. Alfonso I d’Este gareggia letteralmente con la sorella Isabella (che si fa mandare a Mantova le opere dei più grandi artisti del tempo), e si fa promotore di una delle più importanti commissioni del Rinascimento maturo, ingaggiando artisti come Bellini, Tiziano, Antonio Lombardo, Dosso Dossi per i cosiddetti ‘camerini d’alabastro’ sulla via coperta (celebre il camerino dei Baccanali, con i capolavori giovanili di Tiziano). La tavola acquisita da Cini è una delle scene allegoriche che componevano il soffitto dei camerini di Alfonso I d’Este, eseguito da Dosso Dossi intorno al 1526, e smembrato in seguito alla devoluzione del ducato estense allo Stato Pontifico nel 1598; molte di queste sono conservate alla Galleria Estense di Modena.

Per finire, i tre capolavori di Mazzolino. Ludovico Mazzolino nacque e morì a Ferrara e probabilmente studiò presso Lorenzo Costa, perfezionandosi da Dosso Dossi e Cosmè Tura. La maggior parte dei suoi lavori furono commissionati dal duca di Ferrara Ercole I d’Este.

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Ludovico Mazzolino, ‘Pietà’

La “Pietà” è un’opera splendida, ci spiega emozionato Martoni: le braccia della Madonna alzate al cielo aumentano la drammaticità del soggetto, il volto di Cristo di profilo con la testa completamente abbandonata all’indietro sul punto di liquefarsi, il tema del tramonto collegato all’iconografia devozionale della Pietà di origini nordiche (Vesperbild). E poi la qualità della pittura: una tessitura minutissima e il tipico modo di Mazzolino di dipingere le aureole con sottilissime pennellate d’oro, quindi senza utilizzare la foglia d’oro ma sfiorando con la punta di pennelli sottilissimi.

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Ludovico Mazzolino, ‘Circoncisione’

Nella “Circoncisione” e nella “Presentazione di Gesù al tempio” emergono con grande evidenza la qualità miniaturistica unita al tema della cultura antiquaria: i bassorilievi del tempio in oro e monocromo bianco con i temi dei sarcofagi antichi, qui sono proprio citati temi di sarcofagi romani che si trovano al Roma, e poi le amazzonomachie, la cultura della Domus Aurea, delle grottesche, tutti elementi culturali fortemente presenti nella cultura antiquaria alla fine del ‘400 e per tutto il Cinquecento.
Mazzolino è geniale quando dipinge queste piccole tavolette che sono vere e proprie miniature, oggetti che, tra l’altro, incontravano decisamente il gusto dei collezionisti, che immaginiamo intenti a osservarli con attenzione, magari con l’ausilio di una lente d’ingrandimento; è proprio immerso in questo raffinato contesto d’amatore umanistico che ci immaginiamo il cardinale Ippolito d’Este, al quale con tutta probabilità appartenne la tavoletta Cini con la “Circoncisione”, mentre osserva ammirato questi prodigi minuti, in cui la grande tradizione del classicismo italiano si fonde con le luci vespertine dei pittori fiamminghi e danubiani.

La viaggio alla scoperta dei tesori di Palazzo Cini si conclude qui. Non vi rimane che andare di persona a visitare la Galleria che è aperta fino al 2 novembre, dalle 11 alle 19 (chiuso il martedì), in Campo San Vio, Dorsoduro 864.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito della Galleria di palazzo Cini [vedi]

 

Si ringraziano infinitamente per la collaborazione Elena Casadoro dell’Ufficio stampa e Alessandro Martoni dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini.

Foto per gentile concessione della Fondazione Giorgio Cini.

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

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