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Con Comacchio un pezzo di storia se ne va e con esso, forse, il futuro sviluppo del territorio ferrarese. Una frase certamente dura ma piena di verità. Non capìti, sottostimati i comacchiesi si sono sempre considerati una libera repubblica: e questa scelta è la reazione a una miope politica del Castello che non ha mai affrontato i veri nodi ed è rimasta in superficie e con lo sguardo rivolto all’indietro, pensando persino che l’isolamento dal resto della regione Emilia Romagna per la nostra provincia fosse un vantaggio.
E intanto a Comacchio oltre cinquemila persone hanno detto basta e hanno scelto Ravenna, la Romagna e la costa. Sappiamo che le funzioni delle attuali Province saranno ridotte ai minimi termini, rendendole un ente di secondo grado con una Agenzia di servizi sulle infrastrutture e basta. Certo una piccola cosa e pur nel nanismo che a breve verrà, Comacchio ci ha lasciati, ci ha tolto un pezzo di geografia, forse la più bella, la più affascinante sotto il profilo ambientale e della sostenibilità, tra acque e valli, biodiversità, tanti turisti e animazione, viale Carducci, un porto, la pesca, gli ombrelloni, le barche a vela. Ed ancora: il dialetto, le tradizioni, una cultura, tantissima storia, un costume singolare, l’anguilla, i viali, i gabbiani, la gente, quella Comacchio dei canali e dei luoghi ampi e ricchi di aggregazione sociale e, soprattutto, gli odori, i profumi e i sapori che ti avvolgono con intensità. A noi restano solo le lacrime dell’addio.
Andare via però non cancella tutto quello che c’è nella cornice descritta, non lo sottrae ai nostri sguardi, alle passioni, al confronto con un milieu che ci piaceva molto, anzi, moltissimo. Quando entravi dai Tre ponti o dai lunghissimi portici tutto ti veniva incontro e ti soffiava dentro come un vento gentile. Eppure, adesso che la rottura si è consumata idealmente sarà diverso, profondamente diverso.
Ora cosa fare è e sarà un problema, un rovello, perché le piaghe sono profonde e i nuovi percorsi difficili, perché è uno strappo più culturale che politico.
Saprà il Castello capire, saprà leggere e ascoltare quello che non ha voluto intendere prima, oppure cieco e sordo si rinchiuderà nel suo ristretto perimetro, abbarbicato a strutture periferiche sia pure circoscritte, senza pensare, nuovamente, che altri territori si sono uniti, che Bologna sarà metropolitana e noi in un cantone e all’angolo, perché questo accadrà.
Qualcuno alcuni mesi fa aveva capito, pur in un’ala grigia della residenza estense, che la scelta sapeva di vecchio, di sterile, di conservazione. Ora gira chino per non aver fatto di più, ma c’è forse, ancora, una strada da percorrere. Bisogna però far presto, anzi prestissimo, prima che la nave molli gli ormeggi e salpi senza rimedio.

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Enzo Barboni

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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