Skip to main content
25 Novembre 2016

Le lampadine

Tempo di lettura: 4 minuti


Parliamo di lampadine. L’industria delle lampadine si è sviluppata in questi ultimi anni con prodotti innovativi e di qualità, però il consumatore ha ancora una limitata percezione del valore fornito da questo prodotto. Da una parte infatti ci sono i prodotti tradizionali ad incandescenza e fluorescenti che hanno ancora un mercato nonostante abbiano raggiunto un livello limite di evoluzione tecnologica, dall’altro invece per fortuna stanno diventando sempre più comuni forme nuove, più efficienti e più differenziabili, come ad esempio quelle che utilizzano la tecnologia a LED.

Le questioni da valutare prima dell’acquisto dovrebbero essere il risparmio energetico, la salute, il design, la sostenibilità, ma per il consumatore la lampadina è ancora troppo spesso essenzialmente un semplice prodotto per fare luce di cui è scontata la disponibilità e la fruizione. L’attenzione del consumatore è spesso legata solo al suo mancato funzionamento e alla reperibilità del ricambio. Manca dunque la conoscenza più ampia delle funzionalità e dei benefici, creando una spirale negativa per l’industria che si trova così a competere soprattutto sul tema del prezzo. Le sorgenti luminose rappresentano un mercato di circa 130 milioni di pezzi venduti ogni anno e, per questo, hanno assunto un ruolo davvero “speciale”.

Un tema critico importante è anche poi come le smaltiamo quando non funzionano più.
Tutte, anche le lampadine a basso consumo di energia, i tubi lineari e tutte le sorgenti luminose a scarica devono essere separate dai normali rifiuti urbani.
Si consiglia il cittadino di portarle presso i centri di raccolta comunali o isole ecologiche.
Le sorgenti luminose, una volta esauste, sono definite RAEE, ossia Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, secondo la normativa vigente. I RAEE sono stati suddivisi in base a caratteristiche di omogeneità nei seguenti 5 raggruppamenti:
R1 – grandi apparecchi di refrigerazione, frigoriferi, congelatori, altri grandi elettrodomestici per la refrigerazione e il condizionamento;
R2 – altri grandi bianchi: lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per la cottura, stufe elettriche, forni a microonde, apparecchi elettrici per il riscaldamento e altri grandi apparecchi elettrici;
R3 – tv e monitor con o senza tubo catodico;
R4 – apparecchiature informatiche, apparecchiature di consumo, piccoli elettrodomestici, apparecchi di illuminazione, tutto quanto non esplicitamente presente negli altri raggruppamenti;
R5 – sorgenti luminose (tubi fluorescenti, lampade fluorescenti compatte, lampade a scarica ad alta intensità, comprese lampade a vapori di sodio ad alta pressione e lampade ad alogenuri metallici, lampade a vapori di sodio a bassa pressione, lampade a Led).

Le lampade fluorescenti esauste, rientranti nel raggruppamento R5, sono rifiuti caratterizzati da alcune peculiarità che li distinguono dal resto dei RAEE. Sono costituiti in prevalenza da vetro, quindi risultano estremamente fragili. Contengono mercurio, sostanza dagli effetti pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Sono leggeri e il loro peso complessivo si attesta attorno all’1% delle quantità totali di RAEE. Le tipologie di prodotti di competenza del Consorzio Ecolamp sono gli apparecchi di illuminazione (R4) e le sorgenti luminose (R5), con esclusione delle lampade a incandescenza e ad alogeni, che alla fine della loro vita utile non sono considerati RAEE dalla normativa vigente.

Trovo però interessante anche affrontare un tema di crescente attenzione: il valore della luce.
Ho avuto il piacere di seguire una bella tesi realizzata dalla dott.ssa Ilaria Zanetti dal titolo “Luce come bene sociale nel mercato dell’illuminazione”. Vorrei proporvene una sintesi culturale:
L’industria dell’illuminazione e i suoi attori sono altamente responsabili di una cultura della luce non ancora matura all’interno del mercato e del società; due sistemi strettamente interconnessi al punto che “non c’è mercato senza società”. La percezione limitata del valore del prodotto/progetto di luce riguarda infatti l’individuo sia in veste di consumatore/acquirente con ruolo attivo, sia in veste di fruitore di contesti in cui i progetti di luce sono frutto di scelte fondamentali.

Si osserva una sorta di “incoscienza” che, se da un lato è “ricercata” dall’architetto o dal lighting designer nei grandi spazi per suscitare emozione attraverso un preciso progetto di luce capace di agire sugli aspetti emotivi e irrazionali del fruitore, è tanto più riuscita quanto meno è visibile (sia in termini di apparecchi installati per l’illuminazione, sia in termini di architettura luminosa) dall’altro però non “educa” l’individuo a cogliere e valutare il contributo qualitativo che il progetto di luce apporta alla sua esperienza quotidiana (dal godimento estetico di una bella facciata illuminata in notturna al comfort di una sala studio o di un ambiente di lavoro). Cosa abbiamo fatto nella nostra casa?
Emerge dunque la necessità di promuovere una cultura della “luce come valore” che possa divenire patrimonio condiviso dall’intera società. Affinché questo accada è necessario che:

L’industria dell’illuminazione nel suo complesso superi le criticità intrinseche e sviluppi le potenzialità al fine di rafforzare l’immagine, ancora troppo debole, di “sistema” attraverso gli strumenti offerti dal marketing e dal web 2.0
Intervenga un assunzione di responsabilità da parte dei singoli player della filiera, attualmente poco consapevoli della rilevanza del proprio ruolo all’interno del processo di trasmissione di valore del prodotto luce. Si rende dunque necessaria un’inversione di tendenza: il percorso della luce dalla “creazione” al mercato deve trasformarsi da processo di perdita a processo di arricchimento conservando da un lato la pienezza di valori-funzione e dall’altro inglobando alcuni valori aggiuntivi ritenuti importanti dal consumatore quali la qualità del servizio e del prodotto.

Si attivi un processo di comunicazione del valore sociale della luce con il coinvolgimento di altri attori esterni all’industria dell’illuminazione, come le scuole, il mondo accademico, le associazioni e le istituzioni culturali affinché la luce possa incontrare la società mantenendo integra la pienezza di valori che la caratterizza.
Solo percorrendo le tre direttrici sopraindicate, afferenti agli ambiti del marketing, dell’etica e della comunicazione, è possibile innescare un circolo virtuoso generativo di valore: solo ciò che viene percepito come un bene può creare nuovi bisogni e quindi domanda di mercato.

tag:

Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it