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Tornano ad aprirsi le porte della punta di diamante – di nome e di fatto – degli spazi espositivi estensi: Palazzo dei Diamanti inaugura la nuova programmazione 2015-2016 con “La Rosa di Fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì” (19 aprile-19 luglio 2015).
Dopo “Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí”, Ferrara Arte torna a puntare i riflettori su una grande città e i suoi cambiamenti agli albori della modernità: questa volta è la Barcellona del Modernismo catalano. “È una mostra non su un artista, ma su un’epoca che ha lasciato il segno di se stessa attraverso grandi realizzazioni culturali”, spiega Tomàs Llorens, già direttore del Museo Thyssen-Bornemisza e del Reina Sofia a Madrid e curatore dell’esposizione insieme a Boye Llorens. Un’epoca di fermenti e di forti contrasti, racchiusa fra due poli cronologici che li incarnano: il 1888 quando Barcellona ospita l’Esposizione universale, vero e proprio regno dell’esaltazione della modernità industriale, e il 1909, l’anno della cosiddetta “settimana tragica”, quando le tensioni sociali sfoceranno in uno sciopero generale e in manifestazioni represse nel sangue. Barcellona è dunque una rosa di fuoco, come viene definita nei circoli ananrchici internazionali, perché infiammata dal fermento e dal dinamismo politico, culturale e sociale che animava tutte le capitali europee della Belle Epoque. Il Modernismo catalano precisamente per la sua vocazione alla contemporaneità riflette e rappresenta la conflittualità e la violenza che la modernizzazione economica e sociale reca in sé.
“Abbiamo tentato di dare un’immagine dinamica”, afferma Llorens, perché la città metropolitana diventa “tentacolare e si insinua nella campagna distruggendo ritmi di vita secolari”. E cosa può esserci di più dinamico di un cortometraggio come quello le cui sequenze accolgono i visitatori appena entrati, mostrando loro la “Barcelona en tramvia” (1908)? Nello stesso tempo quello che si dipana nelle sale espositive è “un racconto drammatico” di un’epoca che si è aperta nel più fervente entusiasmo e fiducia verso il futuro e non può avere finale più drammatico: l’ecatombe della Grande Guerra.

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Chiesa della Colònia Güell, Antoni Gaudí (1908 – 1910).

Il primo capitolo è dedicato all’architettura e il protagonista indiscusso è Antoni Gaudì, le cui creazioni eclettiche vengono mostrate non solo attraverso foto e stampe d’epoca, ma anche attraverso soluzioni allestitive originali come la ricreazione della pavimentazione in cemento ideata dall’architetto nel 1904 e utilizzata ancora oggi per i viali della capitale catalana. Il pezzo forte però è la ricostruzione del modello di Gaudi per la chiesa della Colonia Güell a cura di Etsav-universitat politecnica de Catalunya: l’architetto aveva creato nel proprio studio un sistema di corde e contrappesi corrispondenti al carico esercitato sulle volte e sulle colonne per simulare la forma capovolta della chiesa, capovolgendo le fotografie di questo intreccio che scendeva dal soffitto aveva poi tracciato il disegno progettuale di cui due rarissimi esemplari sono esposti in mostra.
Segue la sezione dedicata allo spazio pubblico dove i manifesti esprimono nello stesso tempo la proliferazione delle immagini artistiche, che diventano strumenti commerciali, e la spettacolarizzazione della città. Si ha anche la possibilità di entrare nella taverna Els Quatre Gats, il ritrovo della maggior parte degli artisti modernisti sul modello dei caffè parigini e luogo della prima mostra personale del giovanissimo Picasso, il cui sguardo penetrante rivela già il genio creativo dell’artista.

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Spilla con libellula, Luis Masriera (1903 – 1906)

La terza sezione è dedicata allo spazio privato e introduce i visitatori nell’intimità degli interni borghesi nei quali si può liberare la fantasia, in particolare quando si tratta d’amore. Una delle parole chiave di questa sezione è ornamento: degli ambienti, come nel caso dei due specchi ideati da Gaudì per Casa Milà, e della persona come nel caso dei gioielli di Lluis Masriera, celebre per la sua sofisticata produzione che reinterpreta l’Art nouveau fra fiori, insetti e ninfe d’oro, di smeraldi, rubini, platino e diamanti.
L’immedesimazione della natura non può più essere solamente quella della resa oggettiva tipica del naturalismo, ma diventa la raffigurazione della visione soggettiva che sfocerà poi nel Simbolismo, come si avverte nei dipinti di Mir a Maiorca: “L’abisso”, “El Rovell” e “La cala incantata”. Il contrappunto a questa natura incontaminata è la ville lumière, quella Parigi che i modernisti catalani eleggono a seconda patria, raffigurandone la vita notturna allo stesso tempo ammaliante e minacciosa, come fa Anglada Camarasa nei suoi “Il pavone bianco” e “Fleur de Paris”. Emblema di questa ambiguità e delle atmosfere sordide parigine è il ritratto del critico d’arte Gustave Coquiot, che Picasso rende in modo quasi espressionista trasformandolo in una sorta di Lucifero sbeffeggiante.

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Due gitane di Isidre Nonell (1906))

Dopo la sala dedicata agli eventi della settimana tragica, dal 26 luglio al 2 agosto 1909, quando il reclutamento per la guerra coloniale in Nord Africa fa esplodere le tensioni che covavano nel degrado e nella miseria in cui viveva gran parte della popolazione, l’ultimo capitolo ha il colore blu della malinconia che rimane dopo che tutto è finito. Lo sciopero generale è stato represso nel sangue e ai modernisti non rimane che raffigurare gli sconfitti: quei miserabili e quei diseredati dei sobborghi di Parigi e di Barcellona che la trasformazione industriale ha travolto e lasciato indietro. Oltre alle gitane di Nonell, in questa sezione sono esposti “Pasto frugale”, “Povertà (I miserabili)” e la “Ragazza in camicia” di Picasso, che esprime tutta la nobile e dignitosissima rassegnazione di chi rimane ai margini dallo sfavillante scintillio della Belle Epoque.
L’allestimento è stato studiato per mettere in dialogo tecniche e materiali diversi: oltre 120 fra dipinti, disegni, manifesti, fotografie, gioielli, modelli architettonici e teatrali, ceramiche e sculture. Non si parla soltanto di uno stile perché i linguaggi modernisti si muovono nelle arti figurative tra il naturalismo e il simbolismo, anticipando a volte la spinta espressionista; in architettura e nelle arti decorative, invece, tra lo storicismo ottocentesco e le prime istanze dell’architettura organica e del razionalismo novecenteschi. Per questo visitare “La rosa di fuoco” è come aprire una finestra su un’intera epoca caratterizzata da una polarizzazione radicata: fra sogni e incubi, speranze e timori, l’euforia è sempre velata dal presentimento della catastrofe incombente.

Dopo la rassegna su Barcellona, che si chiuderà il 19 luglio, sono già in cantiere altri due appuntamenti: “De Chirico a Ferrara, 1915-1918. Pittura metafisica e avanguardie europee” (novembre 2015-febbraio 2016) e un’esposizione che celebrerà i 500 anni della prima edizione dell’Orlando Furioso (settembre 2016-gennaio 2017). “È stata una pausa più lunga di quelle a cui eravamo abituati, ma non c’è stato il tempo di annoiarsi” ha sottolineato l’assessore alla cultura del Comune di Ferrara Massimo Maisto nell’incontro di presentazione alla cittadinanza, ricordando tutti gli appuntamenti che nel frattempo hanno tenuto “alto il profilo culturale della città”: dai “Lampi Sublimi” ospitati alla Pinacoteca nazionale a “L’arte per l’Arte”, che vede il Castello Estense come sede d’eccezione per le collezioni delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara. Quella del 2015-2017 è, per Maisto, “la programmazione ideale per un’istituzione come Ferrara Arte” che deve essere capace di valorizzare il patrimonio locale mostrando il suo respiro internazionale: la retrospettiva di Antonioni alla Cinémathèque française ne è una brillante dimostrazione. “Nello stesso tempo bisogna aprirsi e parlare del mondo, come è accaduto con Matisse e come accade ora con la Barcellona di Picasso e Gaudì”.

“La Rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì”, Palazzo Diamanti, 19 aprile-19 luglio 2015 [vedi].

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Federica Pezzoli

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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