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da MOSCA – “L’architettura è una scultura abitata” (Constantin Brancusi)
Sapere (ri)costruire la propria città può essere un’avventura davvero entusiasmante oltre che altamente istruttiva ed educativa. Può essere un viaggio nel magico passato, utile per comprendere il presente complicato e immaginare il futuro speranzoso. Non sto certo parlando dei giochi che vanno per la maggiore sui social network, quegli orrori tipo City empires o Rising cities, che peraltro detesto, né mi riferisco a belle città virtuali, senza periferie pericolose e abbandonate o con giardini e palazzi da favola immaginari e futuristici. Né tantomeno penso ai Lego e ai suoi numerosi mattoncini colorati, che lo scorso mese di febbraio, per due giorni, hanno entusiasmato Ferrara.

costruire-mia-cittàPenso, piuttosto, a quello che ho visto qui, a Mosca, lo scorso settembre, il giorno del compleanno della città. Questa è una metropoli che rispetta la sua storia, nel senso che la fa conoscere e la diffonde, a tutti, grandi e piccini, che rispetta i suoi bambini, dando loro spazi verdi per giocare e spazi creativi per costruire edifici che c’erano e che ci sono ancora e che vengono plasmati ed eretti da giovani mani creative e desiderose di sapere, di vedere, di immaginare, di costruire, di plasmare, di volare, di curiosare. Una città che vive il presente con il rispetto del passato e lo sguardo al futuro. Eccoci allora nel cortile del Museo dedicato alla storia della capitale russa, sul grande e trafficato boulevard Zubovskiy.

costruire-mia-cittàcostruire-mia-cittàQui c’è tanto polistirolo bianco, montagne di blocchi con i quali si possono costruire gli edifici. Ci sono le colle per unire i pezzi, i colori per adornarli e dar loro vita, i disegni per ispirarsi e non sbagliarsi troppo. Ognuno può animare come vuole quelle case, mettendoci dentro una famiglia felice, magari con un cane o un gatto, un gruppo di amici, tre o quattro batteristi chiassosi o un paio di poeti e di scrittori silenziosi. O, perché no, ci potranno stare nonne e nipoti, zie e amici, torte e pasticcini. Si potrà sentire una macchina da scrivere che ticchetta, un trenino che sbuffa sulle rotaie, una bambola che ride, un giocattolo di legno che scivola sul pavimento, i tasti d’avorio di un antico pianoforte, il suono di una balalaica. Rumori che varieranno con l’epoca in cui si vorrà far vivere quell’edificio, con la gioia e la fantasia di ogni bambino. Potranno cambiare anche le lingue, le inflessioni dialettali, le espressioni dei tempi, le note musicali, le canzoni canticchiate o fischiettate, i dolci che si mangiano, le caramelle che si scartano, le bevande che si gustano. Tutto dipenderà solo dalla fantasia e dalla storia.

costruire-mia-cittàAllora, mi domando, perché non farlo anche a Ferrara? Sarebbe bello, per un giorno, vedere bambini che costruiscono il Castello Estense e il suo fossato, il Duomo (quelli più abili e grandicelli), o i vialetti del Parco Massari (i più piccoli), con il recinto delle caprette che ci portavano a vedere, da bambini, la domenica mattina o le gabbie dei pappagalli dispettosi che ripetevano malamente i nostri nomi. Sarebbe bello vedere blocchi di polistirolo che ridanno vita a una Ferrara che non c’è più, tanto per chi la ricorda che per chi non l’ha conosciuta così, quella dei negozi Perugina di viale Cavour o dei bellissimi locali dei Grigioni di Piazzetta Municipale, dove si restava inebriati dall’odore della cannella e del cioccolato fondente.

costruire-mia-cittàPotrebbero esserci poi, anche, i vecchi magazzini di vestiti del centro, l’antico mercato coperto o la merceria, dove si compravano tessuti, filati, nastri e bottoni. Sarebbe bello costruire i palazzi e intanto esplorarne la storia, diffonderne la conoscenza ai giovani che ancora non l’hanno, ridare ai più anziani teneri ricordi non perduti. Colorando pareti e alberi, potremo esplorare più facilmente le radici lontane e affascinanti di questa meravigliosa città. Per non perdere la storia passata, ma anche quella più recente. Sarebbe bello…

Le fotografie sono state scattate al Museo della città di Mosca da Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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