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SECONDA PARTE – “Il carcere è parte della città”. Nel 2012 il sindaco lancia un chiaro segnale. Servizi e associazioni si mobilitano e avviano progetti innovativi come “I sabati delle famiglie” e “Comunque papà” che affrontano il tema della genitorialità in ambito detentivo. Avviate a giugno 2014 in via sperimentale, oggi le iniziative sono ormai consolidate. Per capire come si è sviluppato il progetto, abbiamo intervistato i promotori, Tullio Monini responsabile del Servizio politiche familiari e Integrazione scolastica del Comune di Ferrara [leggi l’intervista] e Marcello Marighelli, Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Ferrara.

Marcello Marighelli
Marcello Marighelli

“L’origine del mio impegno nel progetto – spiega il Garante – sta semplicemente nell’aver accolto le esigenze dei detenuti. Fin dai primi colloqui con i detenuti, infatti, i padri mi ponevano il problema del rapporto con i propri figli e con la famiglia. Facendo una semplice statistica, questa risultava una delle questioni principali. Conoscevo l’attività del Centro per le famiglie del Comune di Ferrara e ho incontrato il dr. Monini e i suoi collaboratori per verificare la possibilità di proporre alla Casa Circondariale l’attivazione di  un servizio di mediazione familiare anche per i genitori detenuti”.

Quindi fu lei a muoversi per primo in questo senso, allo scopo di garantire ai detenuti il diritto di coltivare rapporti familiari…
La figura del Garante è presente nell’Ordinamento penitenziario, ma non è istituita per tutti gli istituti penitenziari e non è nemmeno molto conosciuta. Il Comune di Ferrara e la Provincia l’hanno istituita da diversi anni, prevedendo tra i suoi compiti quello di rendere accessibili i servizi presenti sul territorio anche ai detenuti [vedi], sostenendone l’attività nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. In questi anni abbiamo cercato di lavorare attivandoci in tutti gli ambiti, dai servizi primari alla sanità, dal diritto al lavoro alla genitorialità, ma purtroppo ma purtroppo sono ancora molti i servizi non pienamente o facilmente accessibili per i detenuti.

Possiamo dire quindi che c’è stata una grande sinergia da parte di tutte le istituzioni convolte?

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Inaugurazione dello spazio verde e dell’area giochi nel carcere di Ferrara: in foto, i rappresentanti delle istituzioni, il personale penitenziario, le educatrici, i giornalisti

E’ così, si è agito contemporaneamente perché si è colta l’esigenza dei detenuti, perché c’era una volontà politica, perché esisteva un servizio dedicato alla genitorialità e perché c’è stata ricezione da parte della casa circondariale. L’operazione è riuscita perché la città era preparata, come si è visto in modo molto significativo anche durante l’ultima edizione del Buskers festival, quando alcuni musicisti hanno suonato come da programma in carcere e, presentando l’iniziativa, la comandante della polizia penitenziaria ha sottolineato che anche il carcere è “una via della città”.

Che significato ha in particolare questo progetto per il Garante?
Questo progetto dal punto di vista del Garante ha un importante significato perché porta un servizio comunale dentro il carcere, affermando il principio che anche i cittadini ristretti nel carcere, se non soffrono di particolari limitazioni, devono avere un concreto ed effettivo acceso ai servizi comunali.

Quali le principali difficoltà nella realizzazione?
Occupandomi io dell’effettivo esercizio dei diritti delle persone detenute, ho dovuto affrontare essenzialmente problemi pratici, come per esempio chiedere alla Direzione della Casa circondariale di riservare una giornata particolare per dare un senso di specialità ai colloqui con le famiglie, ecco dunque l’idea dei sabati.

Come sono organizzati i “Sabati per le famiglie”?
Tutto avviene in modo fluido perché, come tutti i colloqui, anche i Sabati si predispongono per appuntamento telefonico, quindi non si verificano mai code di attesa all’entrata. Mediamente partecipano sette/otto detenuti con i relativi familiari: un adulto accompagnatore e i figli del detenuto, raggiungendo un numero di persone pari a sedici/venti persone a colloquio. A differenza di quelli ‘normali’, questi sono colloqui di ampia durata, due ore, e si svolgono in spazi dedicati. L’incontro ha suo svolgimento che inizia con l’accoglienza, per passare a momenti d’intimità in cui la famiglia si raccoglie attorno al tavolo; in un secondo momento si passa ai giochi e ai laboratori, poi al saluto finale. Per i detenuti questi momenti sono importantissimi, c’è sempre una grande attesa, si tratta di colloqui speciali.

Che atteggiamento hanno i bambini?
I bambini sono il motore degli incontri. La mediazione passa attraverso i bambini che interagiscono tra loro e stimolano gli adulti a partecipare.

E i carcerati?
Molto importanti sono gli incontri di gruppo “Comunque papà” che funzionano anche da preparazione ai colloqui con le famiglie. Occorre ricordare che le situazioni sono molto variegate e che non è sempre così semplice arrivare a colloquio con i propri figli: a volte non c’è la volontà del coniuge a mandare i figli a colloquio col padre, altre volte c’è la distanza a porsi come ostacolo, oppure il senso di vergogna del detenuto stesso. Ecco, tutte queste problematiche vengono affrontate durante la mediazione, permettendo ai padri di esprimere la propria paternità, non abdicare al ruolo di genitore e trovare le forme migliori per gestire il rapporto. Gli incontri sono impostati molto bene, i carcerati lo sentono veramente come una spazio che coltivano e considerano proprio.

Diceva che ci sono tantissimi servizi ancora da attivare, a che cosa state lavorando ora?
Ora puntiamo su ciò che non funziona ancora, per esempio la difficoltà per i detenuti di rinnovare i permessi di soggiorno e di accedere ad altri servizi durante l’ultimo anno di detenzione (prima della liberazione) fruendo per esempio di permessi per poter regolarizzare i propri documenti, per la ricerca del lavoro, per verificare in modo adeguato la propria condizione di salute.

Ascolta il brano intonato: Lucio Dalla. La casa in riva al mare [clic qua]

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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