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da CORK – E già da diverso tempo che vedo il banchetto all’uscita dell’English Market. Un gruppo di ragazzi distribuiscono volantini dal titolo “Discover Islam”. Nessuno li disturba, chi non è interessato passa e tira dritto. Sull’altro lato della strada, il gruppo di cattolici che si ritrova nei fine settimana per la preghiera in strada. Poco distante, sempre nella stessa strada, altri attivisti distribuiscono bibbie. Forse Luterani. Il tutto si svolge nell’ indifferenza più totale, tra famiglie a spasso per lo shopping, ragazzini che fanno banda fuori dal Mc Donald, casalinghe indaffarate con le borse della spesa. Un normale sabato pomeriggio a Cork.
Mi avvicino ai ragazzi del Centro di cultura islamico; con mia sorpresa Ali – uno dei responsabili – mi invita a visitare il centro di informazione (Cork islamic information centre) poco lontano. Accetto e ci incamminiamo assieme verso Shandon street, in una delle zone piu popolari e cattoliche di Cork, proprio a due passi dall’imponente North Cathedral. Ali mi parla di lui: poco più di 40 anni, ha lasciato l’Algeria e lavorato in diversi paesi europei, tra i quali l’Italia, prima di arrivare in Irlanda. La prima domanda sorge spontanea: “ Com’è la vita per un musulmano in Irlanda, di fatto il Paese più cattolico d’Europa?”. La risposta diretta, senza esitazioni: “Let me tell you: life here is just amazing”. Stupenda. Qui c’è la possibilità di svilupparsi come persona, crescere, studiare, lavorare, migliorarsi. E se si perde il lavoro lo stato aiuta anche economicamente, ti dà la possibilità di risollevarti. Una situazione abbastanza diversa da quella di molti dei nostri Paesi d’origine…”. Ali ora lavora, ma mi racconta di quando, a seguito della recessione del 2008, perse l’impiego, e di come nel periodo di disoccupazione i sussidi statali gli permisero di completare il secondo diploma di laurea. E non dimentica nemmeno il suo primo impiego in Algeria quando, a fine mese, gli venne elargito uno stipendio dell’equivalente odierno di 18 euro. Arriviamo al Centro, inaugurato nel 2013 non senza una certa diffidenza da parte di alcuni residenti del quartiere. Un’ultima sigaretta prima di entrare ed Ali viene raggiunto da un amico in strada. Mi presenta e spiega che sono un reporter Italiano, interessato a saperne di più del Centro islamico. La risposta non è delle migliori “non avete abbastanza musulmani da intervistare in Italia?”. Un’ironia riuscita male, non faccio una piega. Ma se nelle sue parole sento tensione e diffidenza. Forse voglia di confronto. Percepisco che tutto non è cosi armonioso come vuole apparire, e che c’è ancora molto lavoro da fare. All’interno del Centro mi tolgo le scarpe ed Ali mi guida attraverso gli spazi di questo piccolo edificio di due piani. Work in progress, calcinacci ovunque: stanno costruendo una piccola palestra, una caffetteria, riammodernando gli spazi. Al secondo piano una piccola cucina, una grande sala coperta di tappeti, scaffali con libri in arabico. Un gruppo di ragazzi somali sta discutendo in un angolo, bambini giocano a rincorrersi, un fedele dal west Africa (forse nigeriano o senegalese) sembra immerso in una preghiera solitaria.

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Musulmani di Cork in preghiera al Centro

Ci accomodiamo in un piccolo ufficio. Ali mi spiega che la comunità musulmana di Cork è abbastanza numerosa, circa 5000 persone, composta da individui (lui preferisce usare la parola “fratelli” e “sorelle”) di diverse nazionalità: il Centro è frequentato da cittadini cinesi, pakistani, arabi, mediorientali, etc. Sono presenti fedeli provenienti da più di 40 Paesi. All’inaugurazione del Centro erano presenti tra gli altri il vescovo ed in sindaco di Cork. il quale ha salutato l’apertura con queste parole “E’ importante per tutti noi, quando lasciamo il nostro paese, avere un luogo nel quale possiamo sentirci sicuri lontani da casa, dove possiamo incontrare facce familiari, in maniera da non isolarci. E mantenere le porte aperte”. Ali e un fiume di parole ed il messaggio giunge con una certa Potenza: “Islam significa pace, l’Islam è una religione di pace”. Ci tiene che questo sia il punto chiave della nostra conversazione. Insiste sul fatto che solo la comunicazione tra religioni e popoli può aiutare a distruggere barriere, stereotipi e diffidenze. Ed è anche per questo che il centro a aperto a tutti. Anche se non parliamo di politica, non posso evitare di chiedergli cosa pensi dell’Isis. Gli faccio presente che in Italia l’argomento è quanto mai attuale, ed un intervento militare in Libia non è del tutto escluso nonostante le parole di prudenza del Governo. Ali non usa mezzi termini e silenziosamente lo ringrazio per non illustrami nessuna delle “teorie del complotto” alquanto di moda in questi giorni: “Isis? Sono nostri nemici prima ancora di essere vostri nemici. Quello che fanno e sbagliato. Devono essere fermati. Siamo contro quello che questi criminali stanno facendo”. Parole che non danno spazio a fraintendimenti. Tenta di spiegarmi che danno un’immagine falsificata dell’Islam, e che è da considerarsi inaccettabile uccidere in nome dell’Islam. “L’Islam e una religione di pace e non si può uccidere nel suo nome”. Ancora una volta l’accento è posto su pace, rispetto, fratellanza. Non c’è spazio per la violenza nelle parole di Ali, che continua “l crimini dell’Isis sono più pericolosi per l’Islam di qualsiasi altra cosa. Ne danno un’immagine errata, distorta. Vi sono più di 1 miliardo di fedeli islamici al mondo che non possono essere associati ad un gruppo di criminali”. Forse la realtà è più complessa. E forse vorrebbe dirmi di più ma si trattiene. Non parliamo mai di politica.

Ali mi riaccompagna in centro. Un ultima sigaretta ed una stretta di mano. Lo ringrazio per la sua ospitalità ed ognuno va per la sua strada. E’ scesa la sera e l’umidità inizia ad entrarti nelle ossa. Ora il freddo si fa sentire veramente. Mentre cammino penso ad Ali, al suo sforzo per avvicinare culture differenti e rompere barriere, al suo messaggio forte di pace e fratellanza. A chi, nel suo piccolo ed in un paese al confine dell’Europa, lavora per riappacificare la sua comunità ed aprirla alla cittadinanza locale. Penso ad un granello di sabbia nel deserto.

Foto dal sito della testata Irish Examiner

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La sede del Centro

Estratto della cerimonia di inaugurazione del Centro islamico [vedi].
Sito del Centro di cultura islamico di Cork [vedi].

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Vittorio Sandri

Vittorio Sandri, nato e cresciuto a Ferrara, si e’ diplomato al Liceo Ariosto della città estense, al quale ha fatto seguito un percorso di studi in scienze politiche iniziato presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e proseguito a Parigi presso l’Institut d’Etudes Politiques (Sciences Po) con l’ottenimento del Diplôme du programme international e terminato con il successivo conseguimento della Maîtrise en science politique all’ Université Paris Nanterre. L’autore ha trascorso lunghi perriodi in Europa tra Spagna, Francia e Inghilterra. Tutt’ora vive e lavora all’estero anche se considera la citta della metafisica, immutabile nella sua bellezza, un porto senza mare nel quale e’ sempre possibile fare ritorno.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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