Skip to main content

Andrea Bergamini, cresciuto a Ferrara e naturalizzato romano, fonda Playground nel 2004, oggi è considerato uno dei migliori editori nell’ambito delle piccole-medie case editrici italiane. In catalogo solo ed esclusivamente titoli e autori notevoli nell’ambito della narrativa di qualità. Solo per citarne alcuni del 2014: “L’ultimo dio” di Emidio Clementi, “Non abbiate paura” di Allan Gurganus e “L’uomo seme”, manoscritto della seconda metà dell’800 di Violette Ailhaud. Tutti libri che hanno avuto ottime recensioni sulla stampa nazionale e che sono stati presentati in tutta Italia e oltre. Di grande successo anche la collana Syncro High School, testi di genere “young adult” dedicati agli adolescenti. Dal 2011 Playground entra a far parte del gruppo Fandango di Domenico Procacci, scelta che ne consolida il successo.

Abbiamo incontrato Andrea Bergamini a Roma, negli uffici della Fandango Libri dove Playground ha sede, per farci raccontare da lui questa avventura che, da ferraresi, ci onora e ci fa ben sperare.

Da ferrarese e da ex-studente del liceo Ariosto come te, non posso fare a meno di partire da lì, perché mi ricordo di te e perché gli anni del liceo solitamente sono irreversibili. Quanto ha inciso la tua formazione nel percorso editoriale intrapreso? E quanto il contesto ferrarese?

andrea-bergamini-playground
Una frase di Paul Valery ‘Il vento si leva! Bisogna provare a vivere!’ sulla porta dell’ufficio di Andrea

Per me il liceo Ariosto è stato centrale, una stagione meravigliosa. L’Ariosto negli anni Ottanta era in pieno fermento, era una scuola prestigiosa ma allo stesso tempo molto libera, non c’era la rigidità formale tipica dei licei della provincia. Ho avuto ottimi insegnanti e ho conosciuto la persona che nella mia adolescenza e giovinezza è stata il mio riferimento più significativo: la professoressa di greco Giuliana Berengan. Lei era, ed è, l’intellettuale che ti apre alla cultura, a una dimensione culturale ampia, europea ed extra-europea. Per fare un esempio, mi ricordo che ci portò a vedere Pina Bausch quando ancora non era così nota in Italia. Con lei ho cominciato a immaginare che la cultura fosse una casa in cui si può abitare in modo confortevole. Lei si rapportava a noi come fossimo degli adulti e ci induceva a immaginare cose che avessero un senso, per abituarci a creare, sperimentare, fare delle scelte, a pensare che ‘è possibile’. Ed è stato al liceo che ho capito che la narrativa era la mia strada.

Parliamo allora di Playground, che tipo di editore sei?

andrea-bergamini-playground
La redazione, Andrea Bergamini e Guendalina Banci

Se parliamo di Playground (il discorso per la collana High School è diverso) io mi considero tutto sommato un editore del Novecento, ossia abbastanza tradizionale perché organizzo e imposto il mio lavoro secondo il criterio della ‘politica degli autori’, che mi piace spiegare con una definizione di Truffaut: un autore quando fa un film, anche se non è tra i suoi più riusciti, è comunque più interessante di un film medio riuscito. Edmund White, per esempio, non scrive mai romanzi perfetti ma le sue pagine sono sempre più interessanti di un romanzo perfetto medio, perché hanno una ricchezza, uno stile, una capacità di raccontare la vita e un rapporto con la realtà che è di molto superiore rispetto alla media. Playground pubblica quindi solo libri di autori molto selezionati, di altissimo livello internazionale, tant’è che poi non li abbandona dopo un libro ma tende a pubblicarne l’intera opera, perché è l’intera opera di un autore a essere significativa.

‘L’uomo seme’, un piccolo caso letterario Playground del 2014, oggi alla terza ristampa, è di una scrittrice sconosciuta. Come mai questa scelta?

andrea-bergamini-playground
Copertina de ‘L’uomo seme’ di Violette Ailhaud

‘L’uomo seme’ [leggi] in effetti rappresenta un unicum, una novità rispetto al catalogo Playground. Ma pur non essendo l’opera di un’autrice, ci abbiamo creduto molto e abbiamo fatto una scommessa, essenzialmente per tre ragioni: perché il libro incarna e racconta una storia vera e incredibile, successa a metà dell’Ottocento e vissuta in prima persona; perché Violette Ailhaud ha dimostrato una capacità di racconto davvero fuori dal comune; e, infine, perché è un testo potente, intenso che ha dell’ancestrale e del fantascientifico allo stesso tempo, sembra uno di quei romanzi che parlano di “un mondo senza uomini”, in realtà questa ipotesi fantascientifica si è verificata realmente a metà dell’800 in una società arcaica. La scommessa è stata vinta perché il libro ha avuto davvero un successo strepitoso, è in ristampa e la terza edizione dovrebbe uscire a inizio febbraio. Questo libro ha avuto ottime recensioni, è stato letto a Radio 3 da Sonia Bergamasco e Piera degli Esposti con una presentazione di Concita de Gregorio, Valeria Parrella è rimasta molto colpita dalla storia tanto da voler scrivere la postfazione a quest’ultima edizione, ma la cosa che ci gratifica di più è che ha colpito soprattutto i lettori.

Come l’hai trovato questo testo dell’800?

andrea-bergamini-playground
La sede della Fandango con le locandine dei film alle pareti e il poster de ‘L’uomo seme’

Me l’ha proposto la traduttrice, Monica Capuani, che se ne era innamorata, l’aveva tradotto e stava tentando di proporlo alle case editrici italiane. Questo testo non aveva avuto i giusti riconoscimenti in Francia perché era stato pubblicato da una piccolissima casa editrice della Provenza, e si sa che in Francia un libro ha fortuna solo se pubblicato a Parigi. Però, non si sa come e per quali vie traverse e oblique, è comunque finito in molte mani nel mondo e ha avuto un tale riscontro che addirittura ne è nato un festival in Provenza. Il libro ha ispirato nel tempo una coreografia, due graphic novel, sono già state fatte diverse trasposizioni teatrali in Francia, in Italia andrà in scena a breve la trasposizione a cura di Sonia Bergamasco. Inoltre, la produttrice Sylvie Pialat, una delle produttrici francesi indipendenti più interessanti, ha acquisito i diritti del libro e presto ci sarà la trasposizione cinematografica. Tutto questo ci fa dire che, pur non essendo l’opera di un’autrice, questo testo sta penetrando nel solco della letteratura d’autore in maniera carsica.

E’ diventato un caso letterario quindi, un fenomeno…
Sì, rischia di diventare un piccolo fenomeno.

Quali sono quindi le qualità che un editore deve avere?
Coerenza e flessibilità. Io appunto pubblico solo libri di autori, ma rimango dell’idea che un editore deve essere sempre molto flessibile, nel momento cioè in cui individua un libro che ha qualità, anche se non corrisponde esattamente alla linea editoriale, deve avere la flessibilità per riconoscerne le qualità e pubblicarlo. E poi deve anche capire quando un testo può arrivare al lettore, perché un libro si pubblica perché venga letto.

Ecco, appunto, che tipo è il lettore di Playground?
Ho sempre pensato che il lettore di Playground mi assomigliasse, che quindi fosse un cosiddetto ‘lettore forte’, che ha una passione per le storie e per lo stile, perché una storia per essere efficace deve essere raccontata bene, con uno sguardo diverso. Io credo ci debba essere un equilibrio molto forte tra stile e racconto, per questo personalmente non amo la letteratura sperimentale e nel mio catalogo non c’è la letteratura cosiddetta d’avanguardia. Nel mio catalogo la narratività e le storie sono sempre centrali.

Età, sesso e preferenze dei vostri lettori…
In media l’età va dai 30 ai 50 anni ed è un lettore tipo femminile. Ma poi dipende anche dagli autori: la Humphreys ha un lettore donna, White un lettore prevalentemente gay, O’Neill un lettore maschile. Ma tutti i lettori di Playground apprezzano qualità della scrittura e passione per le storie.

Quale tra i vostri autori rappresenta di più la narratività di cui parli?
Gurganus. E’ un esempio molto tipico del narratore, per la sua straordinaria capacità di raccontare le storie e di delineare i personaggi.

Gurganus come l’hai individuato? E, in generale, come li trovi gli autori?

andrea-bergamini-playground
Copertina di ‘Non abbiate paura’ di Allan Gurganus

Gurganus mi è stato segnalato, come anche altri, da un agente letterario, ma per l’80% gli autori che scelgo sono frutto di mie ricerche o di mie letture precedenti. Io opero soprattutto in termini di ‘ripescaggi’ ossia di riscoperte a livello internazionale, di autori che per vicissitudini editoriali sono finiti sotto un cono d’ombra. Gurganus è un caso tipico anche in questo: autore internazionalmente riconosciuto, negli Usa era stato un best seller, finì in un cono d’ombra perché la casa editrice italiana che lo pubblicò negli anni ’90 (Leonardo) fallì poco dopo e anche perché la sua notorietà in quegli stessi anni andò scemando tanto da non renderlo più abbastanza interessante per le maggiori case editrici italiane. E questa è stata la nostra fortuna: abbiamo capito la qualità dell’autore, la possibilità di pubblicarlo e a quel punto abbiamo preso accordi con l’agente. Con Edmund White, uno dei più grandi scrittori statunitensi del dopoguerra, tradotto in tutte le lingue, una storia simile: Einaudi lo pubblica negli anni ’90 ma forse con aspettative commerciali troppo ambiziose e quindi lo abbandona; viene ripreso da Baldini e Castoldi che però fallisce, e a quel punto mi inserisco io che pubblico “My lives” nel 2007; con gli anni White diventa un autore consolidato di Playground, che pubblichiamo regolarmente e di cui ora stiamo anche ritraducendo la tetralogia. Questo è il tipo di operazioni che fa Playground.

Quanto lavoro di ricerca e selezione c’è dietro alla pubblicazione dei vostri libri?
Un enorme lavoro di ricerca su internet, di esame dei cataloghi on line, dei premi, dei blog e, infine, di lettura delle opere in lingua originale, che è la parte più impegnativa.

Chi seleziona i testi e li legge in lingua?

andrea-bergamini-playground
Alcuni dei titoli del catalogo Playground e High School

Lo faccio io. E ci tengo a dire che leggere le opere in lingua è una regola imprescindibile della casa editrice, i libri che pubblichiamo sono sempre stati letti in lingua facendo particolare attenzione alla cura editoriale: i nostri traduttori sono tutti eccezionali, ma la traduzione è un lavoro difficilissimo che va sempre rivisto, sulla traduzione deve essere fatto un lavoro redazionale che supporti il traduttore nel verificare laddove ha perso un po’ la mano, ha tirato un po’ via, perché può sempre capitare un momento di stanchezza, e una traduzione fatta male può veramente rovinare un ottimo libro, come una bella traduzione non può riscattarne uno brutto. I nostri traduttori sono consapevoli che la qualità la si raggiunge col dialogo tra la redazione, che conosce testi e autori, e il traduttore stesso.

Quante riscoperte pubblicate all’anno?
Playground fin dalla sua nascita ha sempre pubblicato tra i sette e i nove libri all’anno. Scelta importantissima, propria della linea editoriale, scelta che premia.

Perché non di più?

Perché io ritengo che per mantenere alta qualitativamente l’offerta è impossibile, per noi che siamo una piccola casa editrice con risorse economiche ridotte, pubblicare più di 7/8 libri l’anno. Noi riusciamo a farlo solo ed esclusivamente facendo una selezione altissima, puntando su pochissimi titoli, sull’eccellenza.

Vuoi dire che di più non ne trovate?
Esatto, di eccellenze se ne trovano al massimo 7/8 l’anno, è impossibile pubblicare 20 libri di livello in un anno.

Quali i temi privilegiati?
Io tendo a scegliere i temi legati alla famiglia. I nostri libri generalmente hanno a che fare con i rapporti familiari perché la narrativa ha a che fare con le nostre storie, e siccome i rapporti familiari restano centrali nelle nostre vite, i nostri drammi e le nostre gioie sono tutti lì. Io non faccio narrativa di tipo sociale tradizionale, che a mio avviso rientra più nell’ambito della saggistica, e rimango dell’idea che la narrativa ha quella capacità straordinaria di raccontare i misteri dei rapporti e delle relazioni familiari.

Passiamo all’originalissima High School, perché dicevi che si differenzia da Playground?

andrea-bergamini-playground
Copertina di ‘Rainbow boys’ di Alex Sanchez

Mentre con Playground mi ritengo, come dicevo, un editore del Novecento perché mi occupo di ‘literary fiction’ ossia di ‘narrativa autoriale’, con High School divento un editore del XXI secolo perché mi occupo di un sottogenere della narrativa che in America si chiama ‘young adult’, una narrativa senza pretese letterarie, per ragazzi dai 14 ai 19 anni, rivolta ai liceali e dedicata all’adolescenza. Questa narrativa in America esiste dagli anni ’60, è diffusissima e ha un grande riscontro commerciale; in Italia non esisteva finché non sono arrivate le serie di “Twilight”, “Colpa delle stelle”, “Noi siamo l’infinito”. Ma il punto è che negli Usa lo stesso genere esiste anche per adolescenti gay fin dagli anni ’80, ed è una realtà ormai consolidata che vende centinaia di titoli l’anno. Quando nel 2004 do vita alla Playground, mi accorgo che quella narrativa non esiste in Europa e decido di importarla. Pubblico “Rainbow boys” di Alex Sánchez, che in America era già considerato un classico, e subito diventa un caso editoriale anche in Italia. Da noi c’era una narrativa gay ma intellettuale e per soli adulti; non si era capito che esisteva una narrativa facile destinata agli adolescenti gay.

Fiore all’occhiello delle vostre pubblicazioni, oggi la collana High School si allarga e diventa un marchio autonomo, Syncro High School. E’ il naturale sviluppo di un percorso o c’è dell’altro?

andrea-bergamini-playground
Copertina di ‘Quei giorni a Bucarest’ di Stefan B. Rusu

La collana si è trasformata perché ho deciso di raccogliere la sfida fino in fondo: fare una produzione europea ‘young adult gay’ che non esisteva in Europa, ossia commissionando romanzi di quel genere ad autori del luogo (Francia, Grecia, Romania), chiedendo loro di adattarli al contesto europeo, sfatando in buona sostanza alcuni tabù del politically correct americano. I nostri libri quindi sono più audaci, più europei (anche se ora il politically correct si sta ridimensionando anche negli Usa) e vanno anche a comprendere quella fascia di lettori dai 19 ai 28 anni e anche molto oltre, che negli Usa viene chiamata ‘new adult’ (universitari e giovani adulti). Quindi, in sostanza, nel 2011 quindi Syncro High School è diventato un marchio separato da Playground perché completamente differente come operazione editoriale.

Nel 2011 Playground entra nel gruppo Fandango. In un’intervista di qualche anno fa spiegavi le ragioni di tale scelta: la crisi generale del mercato del libro spingeva nella direzione di entrare in un gruppo che offrisse maggiori garanzie di crescita, evitando naturalmente rischi di snaturamento, cosa che Fandango e la persona di Domenico Procacci rappresentavano per te. Puoi fare un bilancio di questa scelta ora, a quattro anni di distanza?
Assolutamente sì, entrare in Fandango è stata una scelta molto azzeccata: il mercato da tre anni è in difficoltà gigantesche e noi invece siamo in buona salute perché ci troviamo in un contesto più grande.

Come sei entrato in contatto con Fandango e come è avvenuta la fusione?

andrea-bergamini-playground
Sede della Fandango, alle pareti le locandine del film
andrea-bergamini-playground
Dal 2011 Playground entra nel gruppo Fandango

Nel 2010 Playground tocca il picco, sia sul piano commerciale che in termini di risalto, in particolare in seguito al successo di “A cosa servono gli amori infelici” di Gilberto Severini che si qualifica tra i finalisti del Premio Strega. Ma in un contesto di crisi dell’editoria, di librerie che funzionano soprattutto con la rotazione delle novità e non sul catalogo, ho capito che dovevo difendere il successo raggiunto. I casi erano due: o cambiava Playground cominciando a pubblicare più novità, in modo da essere sempre visibile nei punti vendita, rischiando però di snaturare la linea editoriale; oppure dovevo trovare un contesto più grande in cui la nostra pratica di editoria venisse difesa, il che equivaleva a dire vendere Playground.

 

andrea-bergamini-playground
logo fandango playgrounbd

Decido per la seconda ipotesi, comincio a stabilire relazioni e conosco Domenico Procacci che dimostra interesse perché era nel momento in cui stava costituendo il gruppo editoriale. Procacci però ci teneva che Playground conservasse il marchio e quindi non ha acquistato la casa editrice ma è diventato socio di maggioranza.

Una scelta lungimirante la vostra…
Non vorrei peccare di presunzione, ma… sì.

andrea-bergamini-playground
Guendalina Banci

Si ringrazia Guendalina Banci per averci fornito il materiale, aver organizzato l’incontro e l’intervista e, soprattutto, averci concesso il pdf della terza edizione de “L’Uomo seme” di Violette Ailhaud e di “Non abbiate paura” di Allan Gurganus prima ancora che venisse ristampato e distribuito nelle librerie.

Per saperne di più sulla casa editrice Playground visita il sito [vedi]  e la pagina Facebook in cui si trovano recensioni e link a letture e video [vedi]
Per saperne di più sulla collana High School visita il sito [vedi]
Per saperne di più sul marchio Syncro High School visita la pagina Facebook [vedi]

tag:

Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

La redazione e gli oltre 50 collaboratori scrivono e confezionano Periscopio  a titolo assolutamente volontario; lo fanno perché credono nel progetto del giornale e nel valore di una informazione diversa. Per questa ragione il giornale è sostenuto da una associazione di volontariato senza fini di lucro. I lettori – sostenitori, fanno parte a tutti gli effetti di una famiglia volonterosa e partecipata a garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano che si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori, amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato 10 anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato Periscopio e naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale.  Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 

Oggi Periscopio conta oltre 320.000 lettori, ma vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it