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Nessun segreto, Ferrara è sempre stata una città a rischio terremoto, è un fatto risaputo. Magari rimosso, ma quel che è successo non è stato un fulmine a ciel sereno. Lo dice la scienza e lo ribadisce il geologo Marco Bondesan, decano dell’Università di Ferrara, che nel 2004 ha collaborato alla redazione del principale strumento urbanistico, il Piano strutturale della città. Per secoli è andata bene, ma la fortuna è volitiva, arginarne i capricci con un programma di prevenzione sarebbe stato meglio, soprattutto in una città costruita per metà sull’antico alveo del Po: sotto il dismesso e ramificato letto del fiume ci sono acqua e sabbia, nulla di più ballerino in caso di scossa, soprattutto nelle aree tra via delle Volte, Arginone, via XX settembre, via Borgoleoni, via Biagio Rossetti. “Il terremoto ha messo in evidenza la differente risposta dei materiali incoerenti alle onde sismiche. Era un fenomeno già noto, che ha dimostrato come anche in pianura le strutture geomorfologiche preferite per gli insediamenti urbani sono le meno affidabili in caso di terremoto – spiega il professore – Nella pianura emiliana sono stati prediletti i paleoalvei, perché sono costituiti in larga misura da sabbie, sedimenti più grossolani e meno compressibili, considerati i migliori ai fini edificatori. Nei secoli in cui le rotte fluviali e gli allagamenti erano la regola, era necessario costruire in alto, e queste strutture erano le parti più elevate del territorio, dove tra l’altro era più facile trovare dell’acqua adatta a realizzare pozzi freatici, i ‘pozzi a vera’, con secchio, catena e carrucola spesso testimonianze architettoniche di notevole valore”.

In caso di terremoto però, le scosse si amplificano. Ma c’è di più: “Quando il sisma è particolarmente forte può anche prodursi la liquefazione delle sabbie come nel caso di San Carlo”. I paesi più danneggiati San Felice sul Panaro, Cavezzo, Medolla, Mirandola, Finale Emilia, Sant’Agostino, San Carlo, Mirabello, Bondeno, Poggio Renatico, sono nati su paleoalvei o su loro pertinenze prevalentemente sabbiose. “A Ferrara una serie di edifici particolarmente danneggiati si trova in coincidenza col tracciato di un corso d’acqua chiuso prima della nascita della città, un ramo minore del Po estinto nel XVI secolo. La cosa non sorprende, gran parte dei manufatti idraulici, gli argini stessi, elementi strategici per l’abitabilità, sorgono sui dossi fluviali”, racconta.

Un’imprudenza dell’uomo? “Nella pianura è sempre stata una strategia vincente – prosegue – A quei tempi la vulnerabilità in caso di scosse non era cosa nota e se lo fosse stata, con tutta probabilità, la scelta sarebbe stata la stessa. Meglio correre il rischio sismico ogni tre o quattro secoli piuttosto di avere la casa semisommersa più volte all’anno e nessuna possibilità di attingere acqua per uso alimentare”. Il passato è alle spalle e oggi il fenomeno della liquefazione delle sabbie non è estraneo alla scienza ed è pure prevedibile. “Non sono però conosciuti gli aspetti legati alla presenza di gas naturali nelle acque che saturano le sabbie, manca una letteratura scientifica – dice – è possibile che in vari casi sia stata proprio questa presenza, la ragione per cui la liquefazione si è rivelata tanto disastrosa. Credo che del problema si stia occupando la nostra Università”.

Ricostruire e mettere in sicurezza
Il tipo di lesioni riportate da case e monumenti sono la base per cartografare le zone più sensibili alle scosse, il punto di partenza per affrontare la sfida del futuro. Una sfida riassunta dal professore in una raffica di interrogativi: come dovremo agire se le aree più coinvolte dalle scosse sono quelle dove si preferisce costruire? E’ il caso di sospendere le edificazioni sui dossi fluviali? Quali sono i luoghi passibili di una nuova pianificazione? Con chi dovrà interagire chi metterà mano agli strumenti urbanistici? “E’ un tema multidisciplinare al quale è indispensabile la partecipazione di esperti, non ci si può affidare all’improvvisazione – spiega – E’ indispensabile la convergenza di varie specialità, delle scienze della Terra, dell’ingegneria, dell’architettura, dell’urbanistica e di altre discipline”. Il geologo di Italia Nostra, come si definisce per comodità, non nasconde le preoccupazioni per alcuni edifici storici tra i più prestigiosi della città come Palazzo Schifanoia e il Museo di Spina. “Per mettere in sicurezza un importante monumento, specie in un luogo dove potrà ancora verificarsi la liquefazione dei terreni di fondazione, dovranno interagire come minimo un geologo, un geotecnico, un idrogeologo, un ingegnere strutturista e un architetto – spiega – In molti casi ricostruire potrebbe significare utilizzare soprattutto materiali leggeri, ecco che assume grande importanza l’ingegneria dei materiali. Altrettanto si può dire per eventuali delocalizzazioni in luoghi meno pericolosi, per la risistemazione di reti e servizi vari”. Una cosa per Bondesan è certa: “Nel campo della sismica, la prevenzione costa meno della ricostruzione”. Vale per i monumenti, ma anche per i nuovi edifici e quelli già in piedi che, a detta del professore, avrebbero avuto nel libretto di manutenzione la possibilità di difendere la casa dalla vulnerabilità. “La proposta non è stata preso in considerazione, ma era già un passo avanti verso una maggior sicurezza”.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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