Skip to main content

Aurelio Fort, friulano di nascita, vive nelle montagne bellunesi. Fin da ragazzo ha intrapreso un percorso di sperimentazione artistica che ha riguardato fotografia, pittura, scenografia, musica e grafica; da circa trent’anni si è dedicato esclusivamente all’arte visiva. La sua ricerca espressiva coniuga materia, pensiero e tempo con chiare adesioni all’arte povera e all’arte concettuale, ma si estende liberamente anche in altri ambiti formali e nello spirito di diverse esperienze stilistiche. Dal 1980 a oggi ha realizzato un album di canzoni e più di ottanta tra mostre, installazioni, azioni, progetti e performance in Italia, Europa e Stati Uniti.

aurelio-fort-arte
Aurelio Fort

“Esistere per Ri/Esistere” è un progetto artistico Internazionale, culminato il 25 aprile 2013 con un’installazione urbana nel centro di Belluno…
Inizialmente, Alfonso Lentini ed io avevamo pensato a un’azione clandestina: spargere e disseminare a sorpresa la città di sassi e parole (le povere armi dei poveri), un “blitz” in un certo senso; poi, via via, si è fatta strada l’idea di estendere questo gesto fino a includere concretamente una moltitudine di persone. Così, grazie al blog che abbiamo aperto su Facebook e a un efficace passaparola, sono arrivate adesioni di artisti, scrittori, poeti, bambini, donne e uomini che si sono riconosciuti in questo progetto e che volevano “farne parte”, un po’ da tutta Italia e da oltre 40 nazioni nel mondo. Ogni sasso aveva dunque un’identità, un nome e un cognome e un’impronta digitale che suggellava la frase “Resistere per Ri/Esistere”. Rinunciando al “colpo d’effetto” era diventata un’installazione civile.

Quel giorno molte persone hanno portato con sé qualche sasso per continuare idealmente l’azione, una sorta d’installazione che prende corpo e vive di vita propria…
… un prolungamento spontaneo dell’opera e una simbolica moltiplicazione di gesti e significati. Era esattamente quello che stava accadendo, e che in parte è avvenuto, ma nella notte tra il 25 e il 26 aprile si è sovrapposto un fatto un po’ sgradevole e non preventivato: gran parte dei sassi vennero trafugati, prelevati, insomma fatti sparire. Questo gesto incivile interruppe brutalmente il “susseguirsi” dell’azione. In seguito i responsabili furono identificati e i sassi recuperati, ma questa è un’altra storia e mi fermerei qui.

L’arte povera porta inevitabilmente all’esplorazione di nuovi percorsi artistici?

aurelio-fort-arte
‘Decostruzione dell’attualità’ (2008), Stadt Museum, Bruneck

Ogni corrente artistica nasce dalla volontà di reagire contro un’estetica dominante e apparentemente imperturbabile. L’arte povera ha contribuito non poco a sconvolgere la sensibilità della cultura borghese che era appena riuscita ad accettare i processi elaborati dalle avanguardie dei primi decenni del Novecento. E’ un’arte dell’essenza delle cose. Più che ‘rappresentare’ la materia la ‘presenta’. L’arte povera produce ‘senso’ in un mare d’assurdo e lo fa attraverso la metamorfosi delle cose e dei materiali più insignificanti per poi riconsegnarli in sublimazioni splendenti. Devo ricordare che nel 1978 ho abitato un periodo a Umbertide, in Umbria, e che lì vicino, a Città di Castello, ho realizzato la mia prima “vera” mostra. Da quelle parti aleggiava prepotentemente il nome di Alberto Burri e quello fu il mio incontro formativo con l’arte povera, anche se poi ci furono altri incontri e altri cammini. Per quanto mi riguarda, ho sempre accettato tutte le influenze e tutte le infatuazioni.

Come si colloca, nella tua storia d’artista, il disco “Volano le canzoni”, pubblicato nel 1982?
La musica, il rock, il blues e la canzone d’autore hanno avuto grande importanza nella mia adolescenza e nella mia prima giovinezza, ero fortemente attratto da quel potenziale espressivo in tutte le sue sfumature artistiche, politiche e sociali. Così com’ero attratto dai fumetti, dalla fotografia, dal teatro, dalla letteratura. Scrivevo delle canzoni come tanti (con la chitarra e con la voce), poi venne il desiderio e anche l’intenzione di dare a queste canzoni una forma più completa e una struttura musicale più “corposa” quindi le feci ascoltare a un po’ di persone, piacquero a Mogol e al direttore della Rca. Il disco fu realizzato negli studi di registrazione “Il Mulino” di Lucio Battisti, fu un momento bello e gratificante, poi dovetti sopportare (mio malgrado) tutti i disdicevoli aspetti promozionali e così via. Mi resi conto che scrivere delle buone canzoni e confezionare un buon prodotto discografico costituiva forse un terzo del lavoro, il resto era ‘mestiere’ e altre cose. Il disco non andò neanche male e scrissi nuove canzoni per un secondo album ma ormai senza “godimento” e senza troppa convinzione… in realtà non avevo talento (non quel talento che forse con un po’ di velleità avevo segretamente pensato di avere) e di fare il cantautore per mestiere questo proprio non era nelle mie corde, mi sarei annoiato mortalmente, l’avventura non aveva più alcun fascino ed è finita lì.

“C’era una volta il mare” fa parte del “Trittico di pittura dolomitica”, una forma imponente che non ha bisogno di spiritualità?

aurelio-fort-arte
‘C’era una volta il mare’ (2011), Trittico di Pittura Dolomitica, Santo Stefano di Cadore

Abito qui, (non vivo qui… qui è solo lo ‘spazio’ in cui si svolge al momento la mia esistenza), in queste valli silenziose e gelide dove il corpo va in rovina e lo spirito “impietrisce” ai piedi di queste montagne spettacolari, celebri e ottuse che io detesto. Mi è stato chiesto di realizzare un’opera pittorica di grande formato che sarebbe dovuta restare esposta all’aria aperta un anno intero, abbandonata alle intemperie e maltrattata da grandi escursioni termiche. Questa richiesta ha provocato in me una certa eccitazione e ho subito pensato a un’opera come se fosse un deposito di “tempi”, un’opera costruita attraverso una stratificazione di materiali instabili che si sarebbero deteriorati e meravigliosamente compromessi entrando in una specie di simbiosi geologica con il paesaggio. Un paesaggio non ha niente di romantico, un paesaggio colpisce per il suo aspetto preistorico, per quello che suscita nel nostro profondo… da qui il riferimento al mare per dire di un tempo lontanissimo, inumano, al di fuori da ogni memoria, un tempo per noi inimmaginabile che annienta e che annichilisce, più spirituale di così…

I titoli delle tue mostre sono spesso dei giochi di parole non fini a se stessi ma tracce di un percorso teorico da cui ci si può discostare, come per esempio in “Recto/ Verso”…
I titoli delle mie mostre, così come quelli delle mie opere, sono solo il presentimento di un’altra logica, sono un “come se” non sono quasi mai analogici, quasi mai didascalici, non vogliono cioè illustrare né dire che cosa rappresentano, sono un omaggio al ‘senso’ perché vanno incontro al legittimo bisogno di senso (che è un problema dell’uomo). Si cerca di dare una forma a qualcosa che non ha una spiegazione, il mondo non ha alcun senso ma facciamo “come se” ne avesse uno. Per quanto riguarda i giochi di parole, beh, non escludo il piacere di un certo vezzo letterario.

Se è vero che ogni artista viene al mondo per dire una cosa sola, hai individuato quella piccola cosa su cui costruire il tuo mondo?

aurelio-fort-arte
‘Il silenzio del secolo nuovo’, (2008), mostra “Sichereit”, Concentart, Berlino

Un artista è quasi sempre uno speleologo. Deve addentrarsi, inoltrarsi in sé e nell’oscurità delle proprie visioni, questo a volte non è comodo. Sono convinto che ogni vera ricerca artistica ruoti in sostanza attorno ad un asse centrale profondo. Fare arte non è solo un atto fisico ma è soprattutto un atto psichico. Il sesso e la morte sono gli unici due accadimenti indiscutibili della vita di chiunque e dei quali sappiamo poco o nulla, ecco, credo che gran parte del mio agire artistico sia ‘generato’ da questo nucleo ossessivo: il sesso, la morte e il loro intimo rapporto all’interno della forma del tempo. In verità invecchio senza imparare nulla (non so capitalizzare), non ricorro mai al così detto “mestiere” e alle sue astuzie: percepisco ogni nuova opera come un esordio, come un azzardo, con lo stesso nervosismo e la medesima ansia. C’è in me un’inclinazione fondamentale all’eccitazione della scoperta, cioè al fascino e di intravedere qualcosa di inedito, una nuova forma, un nuovo sviluppo. Quella “piccola cosa” che in fondo sostiene la mia ricerca è l’inquietudine, la condizione del vivere, nasce dall’esperienza di essere nato, è senza scampo. E’ il niente, ma è il mio niente, un niente non trascurabile.

E’ importante una società in cui abbia senso l’arte? Cosa la distingue da una società in cui l’arte e l’artista sono emarginati?
Nell’arte conta la verità, bisogna trovare l’essenza della vita umana… il sogno. C’è una grande forza che nasce dai sogni. E’ la passione che muove il mondo. Una società che marginalizza l’arte è votata al cinismo, all’ipocrisia, all’indifferenza e non può che dare vita a un mondo vuoto e informe. E’ quello che abbiamo tutti i giorni sotto i nostri occhi.

Si ringrazia Aurelio Fort per la squisita collaborazione e la concessione del materiale fotografico.

tag:

William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it