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Le città invisibili di Calvino sono il racconto di un Marco Polo, viaggiatore visionario, a un malinconico imperatore che ha compreso come il suo sterminato potere conti ben poco, in un mondo che sta andando in rovina. Eppure dal resoconto di Marco Polo prendono corpo le tante cose che tengono insieme le città: le memorie, i desideri, i luoghi di scambio. Gli apprendimenti delle vite vissute dalle persone.

Ecco, quindi, voglio parlare di città che hanno reso visibile ciò che al trasognato Marco Polo di Calvino pareva invisibile. Voglio parlare delle città che hanno preso sul serio l’obiettivo di sviluppo della Comunità Europea come “società avanzata basata sulla conoscenza”.
Sono tante: Derby, Dublino, Newcastle, Glasgow, Gothenburg, Southampton e altre ancora, sparse un po’ ovunque in Europa. Ottimi esempi di città che hanno una chiara visione della centralità che cultura e conoscenza rappresentano per la costruzione del loro futuro. Città che hanno ritenuto necessario dare vita a comitati cittadini per la promozione dell’apprendimento, coinvolgendo, oltre alle scuole e alle università, le istituzioni educative e non educative, e mettendo a disposizione risorse e budget adeguati.

E’ un invito a riflettere che rivolgo alla mia città e ai suoi amministratori. La città di Ferrara che da anni ha rinunciato ad avere un assessorato all’istruzione, quasi che su questo terreno non ci fossero più politiche da realizzare, ma solo servizi da fornire. Un suggerimento in particolare per il sindaco che, a fronte dell’abolizione delle Circoscrizioni, è alla ricerca di idee per tenere viva la rete di partecipazione territoriale.

Apprendimento, l’idea dell’apprendimento permanente: questa è una buona idea per pensare ai cittadini della città, dai piccoli ai grandi, come ad una preziosa risorsa da valorizzare, come capitale umano e sociale su cui investire; l’apprendimento come opportunità per migliorare la qualità della vita di tutti, per la qualità delle relazioni, dei servizi, per fare della responsabilità e della condivisione il valore primo dell’abitare la propria città, dello stare insieme nel riconoscimento di ognuno come risorsa indispensabile agli altri.
La costruzione di una città che apprende attraverso i suoi abitanti, attraverso i cittadini, potrebbe essere la chiave dei piani orientati al futuro della nostra città: dallo sviluppo sostenibile allo sviluppo culturale, dalla sicurezza ai servizi sociali, alla salute, al trasporto, all’economia.
La geografia del glocale ha mutato la direzione dello sviluppo, la direzione della conoscenza, i luoghi delle fonti del sapere e dell’informazione, facendo dell’apprendimento continuo, dell’apprendimento tutt’intero e globale, la base necessaria allo sviluppo del capitale umano e sociale che compone la comunità cittadina. Oggi più che mai, le città costituiscono lo spazio chiave per una crescita che tenga salde le sue radici nei valori umani e sociali.
Facciamo sapere al mondo che la nostra città prende sul serio l’apprendimento, che l’apprendimento crea ricchezza, attiva investimenti e occupazione in una società delle conoscenze.
Alla nostra città non mancano risorse e iniziative culturali, istituzioni educative e non, con le quali tessere una rete organica che qualifichi la città come ambiente di apprendimento permanente per tutti i suoi cittadini. Un logo che tutte le istituzioni, tutte le organizzazioni, comprese le aziende, dovrebbero usare nella loro documentazione e soprattutto in quella di marketing.
Presentare su internet la nostra città come learning city, proprio perché riconosciuta quale patrimonio dell’umanità, promuovendola attivamente come tale, sia nei confronti del mondo esterno, sia nei confronti dei cittadini, attraverso opuscoli, video, poster, presentazioni multimediali, ecc.
Creare sottocomitati per l’apprendimento in ciascun quartiere o ex circoscrizione, mettendo a punto le procedure di consultazione sull’apprendimento e lo sviluppo. Sollecitare i commenti di tutte le componenti della città. Qualora alcuni segmenti di cittadini non siano rappresentati, si tratta di individuare i mezzi che consentano loro di esprimersi, come i consigli di quartiere e i comitati di studenti e di giovani. La preoccupazione maggiore deve essere soprattutto quella di coinvolgere giovani, piccoli e grandi, far sentire che la città crede in loro e che ha bisogno della loro intelligenza, del loro successo formativo, del loro progetto di vita, che è la ricchezza su cui poggia il futuro della città, perché è dalla loro intelligenza e dalle loro competenze che esso dipende. Una città attenta e interessata al successo scolastico delle sue ragazze e dei suoi ragazzi, che non rimane più solo un fatto privato, ma anche un interesse comune di tutti noi concittadini.
Centrale è far sentire tutta l’attenzione e l’amore della città per le sue scuole, su quello che avviene al loro interno, sulla loro qualificazione. In quelle scuole, ogni giorno, impegnano il proprio tempo migliore quanto abbiamo di più prezioso, i nostri figli, i nostri bambini e ragazzi. Dobbiamo chiedere alle scuole e all’università il massimo di qualità e di professionalità, di utilizzare i talenti, le idee, l’expertise, le conoscenze, le competenze presenti nelle loro comunità per contribuire alla crescita dei processi di apprendimento.

Si tratta di collocare al centro dell’interesse della comunità lo sviluppo delle scuole, avere in ciascuna scuola un referente della mobilitazione delle risorse professionali e materiali, in un’ottica di miglioramento e ampliamento degli apprendimenti.
L’ idea di una città che apprende, un territorio che vive di apprendimenti continui, colti dal tessuto della vita sociale e condivisi, può essere considerato come il raggio di luce che indica alle persone la strada per un’autentica società della conoscenza, di cittadini solidali nell’affrontare le sfide che ci prospetta il futuro.

E come Italo Calvino ci ricorda dalle pagine delle sue città invisibili: «I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi».

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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