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Lo storico Jacques Le Goff osservò (“Il caso italiano” Einaudi, 1974) che mancavano in Italia studi sistematici sulle forme e sull’evoluzione storica della coscienza sociale. A colmare questa lacuna si dedicò il grande antropologo Carlo Tullio Altan. In particolare vorrei ricordare “La nostra Italia. Arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità ad oggi” (Feltrinelli, 1986). E già nel titolo sono indicati i ‘mali’ ancora presenti nel costume e nella vita pubblica italiana.
Si deve risalire molto indietro per scoprire i primi documenti di una mentalità perniciosa e ancora vitale. Paolo di Messer Pace da Certaldo (seconda metà del trecento) compila alcune massime che rispecchiano l’ideologia della classe egemone di quel periodo, quella dei mercanti. “Affaticati sempre anzi per te che per altrui.” “Quando vedi il fuoco nella casa del vicino reca l’acqua ne la tua.” “In ogni terra che vai o che stai, dì sempre bene di quei che reggono il Comune; e degli altri non dire però male, perché potrebbero salire al potere.” Giovanni di Pagolo Morelli vissuto a Firenze fra il 1371 e il 1444, ci ha lasciato un documento che scrisse solo per l’uso interno della sua famiglia. “Se sei ricco accontentati di comperare degli amici coi tuoi denari, se non ne puoi avere per altra via; e ingegnati di imparentarti con cittadini amati e potenti.”
Ma i più celebri restano “I libri della Famiglia”, opera del grande umanista Leon Battista Alberti, vissuto fra il 1404 e il 1472 a Firenze. L’ordine dei valori è ben delineato in questo testo: al vertice la famiglia, come valore assoluto di riferimento; seguita dalla proprietà e dai beni che si possiedono; quindi dagli amici e conoscenti potenti e utili. La città, la politica e la vita pubblica vengono considerati solo in quanto possano sostenere ciò che riguarda, con una gerarchia ben indicata, i valori principali. E’ il trionfo del familismo amorale e del ‘particulare’ di cui parlò il Guicciardini.
Se si compie un salto nel Novecento incontriamo Piero Gobetti e la sua diagnosi del fascismo come ‘autobiografia della nazione’. Il giovane liberale scrive: gli italiani si innamorano delle soluzioni facili e dei demagoghi. E oscillano fra un estremismo parolaio e un ‘accomodantismo’, un conformismo che accetta sempre ciò che passa il convento, raccontandosi che ‘così va il mondo’, mentre si vuole nascondere il desiderio di eludere le responsabilità. L’Italia, patria di tutte le ideologie e di tutte le ribellioni, è in realtà un paese di conservatori…
E un altro di quel tempo, Antonio Gramsci, annotava nei suoi quaderni in carcere: il ribellismo estremistico, il sovversivismo irresponsabile, sono manifestazioni di antistatalismo primitivo ed elementare. E, se ben si osserva, il settarismo dell’antipolitica è una forma di clientela personale: senz’altro la peggiore perché tenuta insieme dal fanatismo. Questi caratteri erano stati notati nell’ottocento da due illustri visitatori del nostro paese: Goethe e Stendhal.
Goethe è colpito dalla costante, capillare, onnipresente litigiosità. “E’ incredibile come nessuno vada d’accordo con l’altro. Le rivalità provinciali e cittadine sono accesissime, come pure la reciproca intolleranza”. Infine Stendhal, il cui amore per Milano e per l’Italia non gli fa velo nel registrare con amaro sarcasmo: “La sera, i pomeriggi, nei caffè e sulle piazze tutti discutono dei programmi del governo. Ragionare di politica è un piacere per se stesso; i discorsi offrono uno sfogo al loro temperamento retorico; la conversazione politica costituisce una sorta di teatro i cui risultati pratici sono evanescenti, perché si appaga della propria recita. Non approfondiscono niente. Mai uno sforzo serio; mai dell’energia; nulla si concretizza. Gli italiani gridano continuamente contro la tirannia, ma quando si tratta di rovesciarla, sono sopraffatti da un rispetto superstizioso. E, per quanto riguarda la libertà, rifiutano di studiarne i meccanismi; e si immaginano che un Angelo gliela porterà un bel giorno.”
Cos’è che è all’origine di tale comportamento? Stendhal non ha dubbi: un individualismo sfrenato, l’assenza di una classe dirigente, la mancanza di senso civico e “una funesta abitudine all’odio”.

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
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