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Eventi su eventi, polemiche su polemiche, conferenze à gogò, fuori le mura, dentro le mura. Ferrara sta vivendo un momento culturalmente intenso ma talmente intenso da perdere il conto di quante occasioni suscita, promuove e talvolta spreca, tanto da perdere di vista i piccoli fatti quotidiani, quelli che un’appassionata e costante cura per il compito affidato, si concretizzano nell’attenzione al lavoro non imposto ma accettato con entusiasmo e compartecipazione. Nel campo che più coltivo, quello culturale, spesso nascono piccoli capolavori come la sistemazione delle collezioni di palazzo Bonacossi, un esempio perfetto di come si possa da un materiale interessante ma non strepitoso far nascere un delizioso museo affidato alle tre Grazie, le amiche di sempre, a cui è stata affidata la sistemazione (provvisoria!) del museo che, mi si permetta di osservare, non è solo nato sulla aspettativa del restauro di Schifanoia ma che si presenta nella sua omogeneità come una realizzazione museale non affidata a una temporalità scandita dal restauro della grande delizia ma che sarebbe un errore poi smantellare. Non quindi “Aspettando Schifanoia”, frase coniata per l’apertura del museo, ma “affiancando Schifanoia”.

Le Grazie, il cui significato mitico-simbolico sta nel dare e ricevere doni materiali e intellettuali (nel caso nostro intellettuali), si chiamano Elena Bonatti, Maria Teresa Gulinelli, Elisabetta Lopresti. La prima sta chiudendo la sua carriera e le altre due giustamente sentono già quest’assenza nel condurre i progetti del museo che speriamo non sarà tale per la volontà di Elena di collaborare (rigorosamente a costo zero) nella sistemazione definitiva del museo.

Dunque ‘en attendant Schifanoia’ con quei tempi che necessariamente non saranno brevi tra restauro del palazzo, rilettura del giardino (con le non necessarie polemiche suscitate anche da un inaccettabile risvolto politico sulla vicenda), ripensamento delle collezioni, a palazzo Bonacossi si è costituito un percorso museale di grande impatto vissivo ma anche scientifico: tre sezioni che comprendono la collezione Riminaldi, quella dei quadri provenienti dalle collezioni Orfanotrofi e Conservatori ed infine quella sui restauri. Su tutte ovviamente spiccano opere di grande bellezza e raffinatezza: il busto di Leopoldo Cicognara scolpito da Antonio Canova, ma anche la gliptoteca del cardinal Riminaldi, i bronzetti rinascimentali e le erme settecentesche oltre lo stupendo Bastianino.

Se questo è un museo provvisorio, a mio sommesso parere, auspicherei che questa provvisiorietà si trasformasse in definitiva sistemazione, semmai arricchita di altre opere che ora rimangono negli angoli oscuri di qualche ufficio di rappresentanza o nei depositi dei musei comunali e provinciali. So che si sono ipotizzati per Bonacossi destini diversi: uffici dell’assessorato alla Cultura oltre quelli dei Musei d’arte antica, e un progetto di per sé straordinario che prevvederebbere la raccolta e la fruizione di una grande biblioteca di storia dell’arte. La prima ipotesi mi sembra sia facilmente rimovibile. Uno spazio per uffici comunque si potrebbe trovare in altre sedi. Più complessa e interessante la seconda, che procurerebbe in via ipotetica una biblioteca specializzata in storia dell’arte che la città che non possiede a causa dell’estrema difficoltà nella collocazione di volumi di donazioni che vengono nella quasi totalità rifiutate da tutte le biblioteche italiane (ah! destino infausto per chi è cresciuto con i libri e per i libri.)

Ma non varrebbe la pena trovare un luogo adatto ai servizi di una biblioteca necessarissima senza per quello sacrificare l’allestimento museale di Bonacossi? So che questa proposta non sarà, forse anche giustamente, recepita da tanti colleghi e amici che vorrebbero finalmente attuato il principio di un luogo di studio che verrebbe a riempire una mancanza. Ma possono, quelle opere che mi ammiccano con la loro straordinaria bellezza e che hanno trovato una casa, essere espropriate per far posto ad altre necessità ugualmente condivisibili?

Un giorno, scrive Francesco Petrarca da Valchiusa a un suo caro amico, mi sono alzato e sceso in giardino ho visto che erano arrivate nove ragazze bellissime vestite poveramente, anzi alcune di loro avevano gli abiti laceri, E sai chi sono? domanda Francesco all’amico: erano le Camene o Muse che dai luoghi di delizie pieni del mondo antico in cui vivevano sono approdate, dopo traversie e dificoltà, qui nel mio giardino dove le onorerò per sempre.

Diamo anche noi una casa alle Muse, a tutte le Muse, sperando che quelle che abitano nei saloni di Bonacossi ivi rimangano, accompagnate ed esaltate dai libri che raccontano la loro straordinaria storia (dell’arte ma soprattutto del lato migliore dell’uomo).

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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