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di Enrico Testa

Premio Oscar ma non solo. Mi scappava di scrivere cose che non sono riuscito a leggere nei vari teatri di parole biancazzurre. Cose, numeri, fatti che, invece, mi sembrano importanti per distribuire meriti, e non solo, ai diversi protagonisti di questo inizio di stagione spesso – purtroppo – ma non è una novità, offuscato dall’euforia o dalla depressione da singolo risultato e quindi del momento e da giudizi, tutti legittimi, ma basati su poche informazioni.

Parto dall’inizio. Estate. La Spal viene ancora una volta sbertucciata da Indiani e si butta (per fortuna) su Oscar Brevi. Qualche acquisto viene fatto con lungimiranza già al termine della stagione della Promozione oppure comunque prima dell’arrivo di Brevi. Si tratta, tra gli altri, di Ferretti (costo sui ventimila euro compreso lo stipendio in accordo con il Milan), Gasparetto (stipendio tra i più alti, diciamo sui settantamila), Finotto, Miglietta, Aldrovandi. Poi arriva Brevi e, una volta fallite alcune trattative (Arma, Frediani oltre a giocatori dall’ingaggio pesante per le casse della Spal o dalle ambizioni più importanti loro e delle società di appartenenza) tocca trovare alternative. Qui arriva il primo dei meriti del tecnico. Uno serioso, poco espansivo, magari neppure simpatico che poco piace ai mass media abituati a rapporti più “amicali” e confidenziali. Uno, però, che sa il fatto suo e il cui curricula seppur… breve dice parecchio. Basti guardare la stagione da poco archiviata in un Catanzaro costruito dalle macerie diventato poi la sorpresa del campionato grazie a un lavoro incredibile sulla difesa.

Brevi vede quello che ha, chiede alla società quanto e come si può spendere, e poi capisce e si adegua. Altro merito. Perché, bisogna dirlo e scriverlo e capirlo e anche apprezzarlo, i Colombarini sono gente seria a cui la Ferrara nel pallone deve la sopravvivenza e un futuro comunque certo a prescindere dai risultati che arriveranno e che sono già arrivati, ma sono anche gente parsimoniosa che nel calcio fronte Spal ci sono capitati per spirito di servizio e cittadinanza, e per salvare una baracca ormai affossata. Mai il passo più lungo della gamba, in sostanza, attenzione al budget, spazio zero a voli pindarici. Tutto assolutamente sacrosanto e meritorio. Con un piccolo distinguo che non deve essere letto come reato di lesa maestà ma, semmai, come una concessione a un tifoso, chi scrive, che per lavoro ha a che fare da tempo con la Lega Pro e categorie limitrofi. Il piccolo distinguo, vado subito al punto, è il seguente. Anzi, sono i seguenti perché sono due. Il primo è un chiodo fisso, un pallino, una presunzione (anche) di avere su questo punto la certezza della ragione. Il settore giovanile. Dovrebbe essere la base di partenza di chiunque, visto il calcio italiano di oggi, ancora di più per chi milita in terza serie. Esempio a caso. Il Bassano (Lega Pro come la Spal) investe circa 380mila euro all’anno nel suo vivaio. I biancazzurri circa 180. Secondo, attualissimo esempio. Il costo tecnico della Spal di questa stagione, tra acquisti, cessioni, contributi per i giovani, ingaggi ma anche, appunto, contributo per i giovani, incassi super (qui il pubblico meriterebbe il vero Oscar alla carriera) e frattaglie varie alla fine porterà un disavanzo di circa duecentomila euro. Sarà un capolavoro anche in caso di sola salvezza, un miracolo se la squadra arriverà tra le prime otto, un’impresa leggendaria alla Paolo Mazza se succederà quello che nemmeno scrivo.

Ecco il perché di questi pensieri in libertà. Il perché nasce da alcuni fatti. Il primo: causa riforma della Lega Pro difficilmente, anzi quasi certamente, succederà mai più di ritrovarsi in un girone così mediamente scarso come quello in cui oggi la Spal sta facendo la sua ottima figura. Il secondo: grazie al tecnico e ad alcuni colpi indovinati dalla società, i biancazzurri così come sono oggi arriveranno tra le prime otto. Non è poco, attenti a non sottovalutare un piazzamento del genere o a sopravvalutare la rosa della squadra. Tutto questo per dire che la sacrosanta gestione economica della proprietà – questo posso distaccarlo alla voce “appello” – avrebbe bisogno di un’eccezione immediata e nemmeno complicata. Un’occasione così, insisto, non ricapita più. Un difensore esagerato (il classico baluardo), una mezzala super e un attaccante di scorta alla Labardi, uno veloce da mettere anche a mezzora dalla fine quando non riesci a sbloccare la partita, a gennaio li porti a casa tutti insieme con meno di duecentomila euro. Per carità, è facile fare i conti con i soldi degli altri (e chi i soldi ce li ha e li mette potrebbe usare un’espressione più colorita) ma che la situazione e la possibilità biancazzurra sia questa lo dice il livello del girone, i risultati delle cosiddette favorite, la classifica. Un piccolo sforzo e ne riparliamo a fine stagione. Se ci prendo mi accontento di una maglia per la mia infinita collezione.

Scherzi a parte, e per tornare al vero motivo di questo articolo, cioè all’esaltazione dell’allenatore Brevi, credo valga la pena di buttare giù altri numeri. Questi. La Spal, come investimenti, non è tra le prime otto del girone. L’ingaggio massimo di questa squadra, circa 75mila euro per un paio di giocatori, è inferiore a più di un centinaio di giocatori tra i tre gironi. Con queste premesse è chiaro che il lavoro del tecnico sia fin qui eccezionale. Quando le cose andavano male e tutti, ma proprio tutti, già puntavano alla testa dell’Oscar, si diceva e scriveva che aveva fatto il mercato lui, voluto i giocatori suoi, sbagliato ogni scelta. Anche qui, parole, parole, soltanto parole. Brevi ha voluto Fioretti – ma soltanto dopo che gli hanno detto no per Arma, Virdis e altri tre che d’ingaggio volevano il doppio – ha voluto Filippini che come rapporto qualità prezzo è costato un piatto di brustoline, e si è portato Germinale (anche qui a due euro o quasi), ha insistito su Capece (costo irrisorio, scelta più che azzeccata), ha consigliato Legittimo. Punto. Non me ne vogliano gli altri idoli spallini (se indossi questa maglia per me sei un idolo a prescindere) ma con i giocatori messi sul foglio presentato al tecnico, a inizio stagione – quasi tutti poi accasati altrove perché le cifre non erano alla portata – Brevi avrebbe già cinque punti di vantaggio minimo. L’errore vero, poi in parte rimediato, è stato quello di farsi prendere la mano all’inizio. Qui il tifoso, nel senso più positivo del termine, Mattioli ha sparato alto sia con il tecnico sia con Miglietta (altro errore: non il fatto di acquistarlo sia chiaro, ma non tenerlo oltre che gestire malissimo la faccenda). Tanti nomi altisonanti, tanti giocatori forti, una lista della spesa lunga così ma fuori budget. Perché, sempre giustamente, è la proprietà che gestisce i danè. L’entusiasmo del Pres e la sua spallinità assoluta e indiscussa e commovente non erano, e non sono ancora (ma qui continuo a sperare…), in linea con le finanze. Ma pazienza. Guardiamo avanti. Senza esaltazioni o depressioni ma sapendo che fin qui questa Spal merita soltanto applausi perché sta facendo un torneo sopra le sue possibilità. Anche, o soprattutto, per merito del manico che si chiama Oscar. Uno che cambia modulo ogni partita, se serve, che tatticamente non ne sbaglia una, che si inventa Capece in quella posizione, che caratterialmente (e speriamo un giorno anche come risultati soprattutto se sarà ancora qui) assomiglia a Capello.

Avevo premesso, che il personale ritorno – impedito da impegni professionali sia ben chiaro – a trattare vicende spalline necessitava di motivazioni forti e convinzioni precise e speranze importanti. In ordine: la classifica della Spal, la bravura di Brevi, il sogno di un mercato di gennaio che possa riportare, una vita dopo, la Spal là dove nemmeno voglio scriverlo.

* Enrico Testa, caporedattore RaiSport

 

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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