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E’ un pezzo di storia del vecchio Pci, Giorgio Bottoni. Con Ansalda Sironi, moglie e compagna di una vita fatta di dedizione e passione politica, in città rappresenta un rispettato emblema di quel mondo. Il suo ruolo attivo nel partito è cessato nel 2007, a seguito del dissenso maturato riguardo la decisione dei Ds di non conferire al nascente Pd (frutto della fusione con la Margherita) il patrimonio finanziario e soprattutto immobiliare di cui erano titolari. Quella vicenda ha amareggiato questi anni recenti, nei quali più volte è intervenuto per ribadire le sue ragioni. Con interesse ha seguito la nostra inchiesta sull’Oro del Pci. Era utile e doveroso, ora che ci avviamo alla conclusione del viaggio, ascoltare anche il suo punto di vista.

Bottoni lei è stato amministratore del Pci di Ferrara dal 1985 al 1990 e responsabile dei patrimoni immobiliari fino ad aprile del 2007. Sulla questione fondazioni è intervenuto varie volte pubblicamente per esprimere il suo dissenso su come sono state condotte le cose…
Alla politica ho dedicato la mia intera esistenza, vissuta con tanto impegno e molta passione e adesso, all’età di 80 anni, con una pensione di mille euro, con tutta franchezza ci tengo a riproporre il mio punto di vista in merito alla vicenda non proprio limpida del passaggio al Pd.
Il Pci è stata la mia vita, la mia storia. Ma il Pd rappresenta il presente e il futuro. Ho seguito con attenzione la vostra inchiesta sulle fondazioni. Dai pronunciamenti di Calvano e Cusinatti emergere con chiarezza un rapporto conflittuale tra partito e fondazione. Un conflitto così profondo da portarli al punto di separare le sedi. Sono rimasto colpito dai termini usati, “noi e loro”, dalla definizione di “partiti mangiasoldi” data dai responsabili della fondazione, che pure sono un’emanazione volta a gestirne i patrimoni accumulati in passato. Con questi atteggiamenti si determina una separazione, non auspicabile per chi, come me, pensa che il patrimonio accumulato da Pci, Pds e Ds debba essere ricondotto al Pd.
Sposetti però a noi ha dichiarato cose diverse…
Quel che Ugo Sposetti ha dichiarato a Ferraraitalia sconvolge il mio orgoglio di appartenenza, rischia di indurmi all’uso dei forconi! Come fa un parlamentare del Pd a trattare così il proprio partito? Ho il dovere di ricordare, finché posso, che gli impegni a suo tempo presi con i militanti delle nostre articolazioni territoriali, vanno mantenuti a salvaguardia di un etica che non può essere mai smarrita, pena lo snaturamento di principi imprescindibili. Quel che era stato garantito è che l’intestazione degli immobili alla fondazione era puramente funzionale alla loro gestione, ma che la proprietà di fatto sarebbe sempre rimasta appannaggio del partito, dunque del Pd.
Ora, smentire come ha fatto Sposetti quella promessa e farlo oltretutto in nome della salvaguardia dei “valori” politici della tradizione è un autentico imbroglio, che forse cela l’obiettivo vero: rendere le fondazioni totalmente autonome, ‘legittimamente’ titolari del patrimonio e svincolate da ogni legame con il partito.
Già in questi anni sugli impieghi non c’è mai stata pubblicità, i responsabili delle fondazioni assicurano la trasparenza gestionale, ma ciò che fanno non è discusso al di fuori delle sedi…
Trovo abbastanza stravagante che chi ha racimolato il danaro dalle organizzazioni territoriali riferisca di una collegialità ‘a cadenza annuale’ per un organismo istituito col titolo pomposo di “consiglio di tesoreria” e candidamente ammetta di non avere per il futuro alcuna idea sulla destinazione delle eventuali rimanenze. E’ auspicabile che siano rese pubbliche entrate e uscite, inerenti al non breve operato delle fondazioni. Questa necessità è ancora più evidente nel caso di una sorta di gestione in ‘conto terzi’, svolta in fase di chiusura di un partito che da oltre sei anni ha cessato la propria attività. Adesso gli immobili sono definiti ‘donazioni’ e la fondazione si dichiara proprietaria: ma l’intento non era semplicemente proteggerli quegli immobili, “metterli al sicuro”? Quanto poi al compito statutario di “diffondere la conoscenza della storia e della cultura della sinistra”, il presidente del consiglio di indirizzo pare non avere in proposito neppure uno straccio di idea e di programma.
Un altro aspetto contestato è la nomina a vita degli amministratori della fondazione…
Certo. Nel caso malaugurato di un decesso improvviso potrebbero scattare la norme dei diritti degli eredi e qualora vi fossero dei minori, anche l’intervento del giudice tutelare. Non è problema da poco e rimane totalmente insoluto. E poi c’è il nodo della futura indicazione dei titoli di proprietà, dopo la loro inaudita e prolungata privatizzazione: si renderanno pur conto che una simile situazione non si può considerare definitiva? Hanno dichiarato che la decisione a suo tempo sia stata assunta attraverso una grande consultazione, che ha visto una massiccia partecipazione democratica. Che la scelta fosse facoltativa, a quanto riferito dal presidente del Cda Lodi, lo dimostrerebbe la soluzione autonoma praticata a Filo. Una prova in verità del tutto fuori luogo. Quella facoltà, praticata dalla nostra organizzazione di Filo, è stata attuata non al momento della costituzione della fondazione, che è del 2007, ma nel momento dello scioglimento delle due immobiliari che gestivano il patrimonio e col passaggio della titolarità giuridica delle proprietà alla federazione provinciale dei Ds, che è del 1999. Già allora Filo scelse di dare vita ad una soluzione autonoma. Li abbiamo anche aiutati, quando abbiamo avvertito la loro propensione a fare diversamente rispetto alla gestione provinciale. Andammo alla riunione indetta localmente, io e Aldino Cavallina, tesoriere della federazione pro tempore, assieme al notaio.

Quindi lei nega che la consultazione sia stata realmente tale?

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Giorgio Bottoni

Intanto quella consultazione non avveniva per iniziativa di chi l’ha organizzata poiché era resa obbligatoria dal regolamento interno redatto nel momento in cui si era deciso lo scioglimento delle due immobiliari e il passaggio della titolarità alla federazione provinciale del partito. E’ stato anche sintomatica la procedura praticata nell’impostazione di quella importante decisione, neppure iscritta nell’ordine del giorno delle due riunioni della direzione provinciale del 4 gennaio e del 4 febbraio. Non ne era a conoscenza neppure il suo presidente. Si è proceduto con una riservatezza molto sospetta, suggerita da “ordini superiori”.
Inoltre, la scelta di passare la titolarità all’Approdo non era facoltativa, perché veniva prospettata alle istanze interessate da parte della federazione e del suo rappresentante legale come la sola e obbligata possibilità. Non esistevano altre soluzioni, quella discussione poteva concludersi solamente con l’accettazione: appunto l’adesione alla fondazione. D’altronde quale altra facoltà poteva essere attuata, dal momento che la federazione (che l’aveva assunta dalle immobiliari otto anni prima) aveva già deciso di trasferire la titolarità degli immobili alla costituenda fondazione? Sposetti è stato l’inventore della formula, con una simile mossa le articolazioni di base sono state indotte a versare ogni bene ai tesorieri provinciali. E quella istituita da Sposetti diviene una rete di tesorieri delle federazione rimasti in essere, che si affianca alle 62 fondazioni. Una vera e propria assurdità.
Sposetti però non è l’unico a vederla a quel modo: l’operazione è stata in seguito condivisa anche da Antonio Misiani, il tesoriere del Pd nominato da Bersani e confermato da Epifani…
E’ vero. Dice Misiani: “Il Pd doveva essere un partito nuovo anche dal punto di vista economico. Ereditare la contabilità dei Ds e della Margherita ci avrebbe azzoppato perché ci saremmo dovuti accollare lo spaventoso fardello di 180 milioni di debito. E’ stata una scelta di discontinuità saggia”. L’inquietante questione della prospettiva neppure viene sfiorata. Potremmo trovarci in una situazione veramente paradossale. I patrimoni immobiliari che il partito si è creato attraverso le sue articolazioni di base usati dai vertici delle fondazioni per “vendette” volte a combattere l’affermarsi del nuovo.
Questo suo disaccordo lei lo aveva con chiarezza già manifestato nella fase che ha preceduto la fusione fra Ds e Margherita. Perché contrastava quella scelta?
Nel momento in cui decidevamo di dare vita al Partito democratico per diventare quella che attualmente è la più grande forza politica d’Italia, la scelta giusta sarebbe stata unificare anche la parte economica e patrimoniale coerentemente con la scelta politica compiuta da Ds e Margherita. Invece creammo un partito nuovo tenendo separate le risorse economiche: un incredibile paradosso! Se ciò fosse accaduto non vi sarebbe stato lo scandalo Lusi che ha infangato, gettato discredito, anche sfigurato il Pd. Venne attuata invece una insensata separazione che si sarebbe potuta comprendere solo se realizzata nell’ottica di una temporanea cautela, in attesa di consolidare l’intesa e tradurre l’alleanza in qualcosa di organico. Ma quando si è deciso di procedere alla nomina a vita degli amministratori delle fondazioni si è palesata una sostanziale e pericolosa privatizzazione di un patrimonio – come ricorda Mauro Agostini nel suo libro ‘Il tesoriere’ – che era frutto del sacrificio di molte generazioni di militanti, e in quanto tale proprietà delle diverse comunità locali’.
E invece perché le cose sono andate diversamente?
Sposetti, a commento di una precisa sollecitazione di Dario Franceschini, sostenne che i 2.399 immobili erano stati blindati da un lato per pagare le banche verso le quali sussisteva un debito di 160 milioni di euro per mutui stipulati in passato e che al netto non restava sostanzialmente nulla. Ma al contempo riconosceva pure l’esigenza di ‘non disperdere un patrimonio anche storico’ come a dire che il Pd non fosse degno di ereditarlo.
In seguito, nell’intervista che Sposetti ha recentemente rilasciato a “FerraraItalia”, fa affermazioni clamorose. Quando arriva alla tesoreria dei Ds dice di essersi messo le mani nei capelli per il debito che ha trovato, e per questo avrebbe preso a ragionare su un modello di gestione della politica che tenesse finanza e patrimonio fuori dal partito. Di conseguenza avrebbe messo in atto, senza inizialmente dichiararlo, quella che di fatto è stata una sottrazione dei patrimoni immobiliari alle articolazioni di base. Insomma: un’operazione veramente geniale, meglio non palesarla prima, prepariamo una sorpresa, da proprietari diventate affittuari, a condizioni di favore veramente di privilegio…
Quindi secondo lei questa scelta non è stata compiuta in maniera trasparente? 
Ho partecipato a tutte le riunioni preparatorie a Roma, a Bologna e anche a Andalo nel gennaio 2007. Un simile disegno è sempre stato tenuto nascosto. E ora, a posteriori, Sposetti cambia la scena. Il proprietario, i Ds, dice nella vostra intervista, “scompaiono senza lasciare eredi” e quindi la proprietà è automaticamente della fondazione. A questo proposito vorrei invitarlo a fare un giro tra le sedi di Via Bologna, Portomaggiore, Anita, Codifiume, Campotto, Poggiorenatico eccetera, per accertarsi con i militanti se sono scomparsi, o se ritengono sia morto il fondatore, o se hanno inteso compiere un atto di donazione…
E poi emergono altre contraddizioni: nella trasmissione televisiva “Report” del 19 maggio 2013, l’estinzione del debito dei Ds viene indicato non più in 160, ma in 200 milioni; e la scadenza, che era sempre stata individuata nel 2011, diventa invece il 2016. Mi domando: questo modo di agire risponde alla volontà di “valorizzare la nostra storia” o è piuttosto l’aggrapparsi al passato e farsene paravento per non rispondere al presente? Ma quale storia e quali valori…
E la fondazione l’Approdo che ruolo gioca in questa vicenda?
Il problema non è la gestione della fondazione L’Approdo. Pur con rilievi puntuali su alcune attività, resto convinto che questa sia condotta da persone serie, onesta, disinteressate. Rimane tuttavia aperta la questione della prospettiva e di chi la determinerà. E’ giusto e urgente decidere il da farsi… Senza affidare alla sola Roma una decisione che potrebbe prendere strade non consone alla volontà e agli intenti coi quali si è operato nel ferrarese. E’ del tutto da escludere la sussistenza di qualsiasi “tesoretto”, o “oro” del Pci o dei Ds, a meno che per esso non si intenda la grande risorsa del volontariato, purtroppo calante e provata anche da simili umiliazioni.
Chi spera di poterlo usare per sanare propri guai, deve essere dissuaso, né è praticabile “l’uso a sostegno del disagio sociale in Italia”, come ha scritto su ferraraitalia Enzo Barboni, poiché sarebbe come farlo con le nostre abitazioni. Sono infatti beni strumentali quelli in questione, costruiti o acquistati e adattati con lo sforzo di associati in precise località e tuttora usati per svolgervi la propria attività sociale e politica. Sono frutto cioè dell’impegno di persone in carne e ossa con un proprio cervello, un loro credo politico, che le considerano giustamente una loro realizzazione, ed è un loro merito, che non va mortificato. Per queste ragioni, dobbiamo evitare amare sorprese. E intanto far lievitare la volontà politica per trovare un’adeguata e coerente soluzione.
Quale potrebbe essere la via d’uscita?
Per scongiurare i forconi, si potrebbe compiere un atto formale da parte della federazione Pd di Ferrara con il quale accettare a titolo gratuito il trasferimento delle proprietà tuttora intestate alla fondazione l’Approdo invocando per esempio, se tuttora vigente, la legge n° 460 del 4 dicembre del 1997. Diventerebbe una misura di buon senso. Sarebbe un semplice e dovuto ritorno. Su come gestire gli immobili la scelta compete a chi dirige adesso il partito. Per quanto posso dire sulla base della mia esperienza compiuta nei tanti anni dedicati ai patrimoni, la gestione diretta del partito è risultata la più limpida, la meno costosa e anche la più semplice.
Questo però presupporrebbe la volontà della fondazione di restituire gli immobili…
E’ quello che auspico. Bisogna essere totalmente responsabili degli atti che si compiono. E decidere nella chiarezza. Un simile comportamento servirebbe anche a dimostrare a tutti di essere forza affidabile. Daremmo prova di essere all’altezza e capaci di governare le istituzioni del Paese. Guardare avanti è sicuramente giusto e doveroso, dovremmo poterlo fare a testa alta.

9 – CONTINUA

[LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELL’INCHIESTA E I PRECEDENTI INTERVENTI]

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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