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di Stefano Capatti

La nostra provincia sconta un ritardo infrastrutturale che ha inciso sul suo isolamento e sullo scarso appeal nell’insediamento di imprese esterne.
La dotazione infrastrutturale di una provincia, come è noto, rappresenta un determinante “fattore dello sviluppo economico”. Fatta 100 la media nazionale, la provincia di Ferrara ha l’indice più basso nella rete stradale (78,4) a livello regionale, così per quanto concerne le ferrovie (65,2) e per quanto riguarda le strutture per le imprese. Valori bassi anche nelle reti energetico-ambientali e nella banda larga.

In questo vuoto sospeso tra carenze infrastrutturali, crisi aziendali, scarsa competitività una recente ricerca del Censis ci ricorda che oltre ai collegamenti, l’altro aspetto strategico per l’insediamento o lo sviluppo delle aziende riguarda i costi energetici e del gas.

Lo sviluppo infrastrutturale in Emilia-Romagna, a partire dal dopoguerra, si andato consolidando principalmente lungo la Via Emilia. E’ in corrispondenza di questo asse centrale che attraversa l’intera regione, protagonista per lungo tempo di una effervescenza imprenditoriale, che si sono concentrati gli investimenti infrastrutturali (ferroviari e viari), generando una sorta di “Città diffusa“, efficacemente descritta da Paolo Nori nel romanzo Siamo gente delicata. Bologna Parma, novanta chilometri.

Ad est della “Città diffusa”, un altro asse scende da nord a sud, definibile come la “Via del Loisir” del turismo, dei parchi naturali, acquatici o tematici, delle discoteche, del divertimento; un territorio sempre “acceso” 24 ore su 24, dove gravita una massa eterogenea di traffico che pone grosse criticità.

Infine esiste un asse di confine della nostra regione con Veneto e Lombardia che si sposta da ovest ad est: il fiume Po e la provincia di Ferrara. Una opportunità tutta da ripensare e rivitalizzare in connessione all’intera realtà emiliano-romagnola o in chiave di “Area vasta” con le provincie limitrofe di altre regioni.

Sottoponiamo all’attenzione del lettore date di infrastrutture e nomi di imprese, molte di queste sparite; una lettura attenta farà percepire il livello di de-industrializzazione del nostro territorio e il deficit infrastrutturale.

Partendo dal Basso ferrarese, abbiamo la rinascita della Romea con i lavori che hanno inizio nel 1951 (iniziano a S. Giuseppe di Comacchio) e finiscono nel 1956. Il Ponte di Pomposa sarà realizzato nel 1958, quello di Porto Garibaldi nel 1960, il Ponte di Mesola nel 1970. Si tratta di un’area dove, oltre a servire la produzione agricola, può già contare su una interessante area industriale: insediamento dell’industria agroalimentare Colombani nel 1962; sempre nel 1962 nasce la Falco; nel 1961 la Cristalmeta di Codigoro ha 170 dipendenti; lo Zuccherificio di Codigoro (chiuderà nel 1975), la Cartiera Lambriana Codigoro (chiuderà nel 1972), nel 1960 nasce la Cartiera di Mesola, nel 1960 a S. Giovanni di Ostellato ha inizio costruzione dello zuccherificio CoProA; la manifattura Tabacchi di Mesola, l’Azienda Valli di Comacchio, lo zuccherificio di Comacchio. L’area è servita dalla linea ferroviaria Ferrara-Codigoro, mentre il collegamento con Ferrara avveniva mediante la Rossonia (costruita nel periodo fascista), passando per Tresigallo; la Superstrada Ferrara-Mare, che collega il casello autostradale di Ferrara Sud alla costa, sarà completata negli anni ’70.

Gli stessi comuni del Copparese, Medio ferrarese, nel loro sviluppo e nel passaggio alla società industriale, hanno scontato problemi di comunicazione e trasporti, in virtù della nascita e consolidamento di molte aziende. Berco nel 1956 conta 900 maestranze; l’azienda per macchine agricole Ferri di Tamara comincia ad ingrandirsi, come la Sandri di Ro ferrarese, mentre a Jolanda di Savoia funziona lo zuccherificio e a Tresigallo c’è un interessante polo produttivo dove spiccano la Lombardi (chiusa nel 1980 dopo essere stata acquisita dalla Colgate) e la Saipo. Fino a metà degli anni ’50 Copparo è servita da un tratto ferroviario che la collega a Ferrara, gestito dalla società Veneta che non predispone nessun rilancio dell’infrastruttura. In tale situazione si viene a creare il seguente paradosso: Berco bisognosa di un intenso traffico di merci ha costruito al proprio interno una linea ferrata per il congiungimento con la stazione locale, mentre la società concessionaria non ripristina mai i piani caricatori, le attrezzature necessarie ed i magazzini del deposito. Berco, quindi, l’impresa opta per il trasporto via camion, offrendo lavoro a società di trasporto copparesi. La stessa rete stradale, soprattutto la Copparo-Ferrara, pur con un aumento progressivo del traffico resta immutata; i collegamenti con il Basso ferrarese fino alla Romea avvengono mediante la Rossonia o mediante la Strada Reale di Jolanda di Savoia. Solo nei primi anni ’70 la costruzione della Gran Linea congiungerà in modo rapido ed efficace Copparo alla Romea.

Anche il Centese, nell’Alto ferrarese, nonostante mostrasse sin dagli anni ’50 le inequivocabili caratteristiche per diventare l’unico distretto industriale della provincia (Baltur, VM, Sim Bianca, Lamborghini, Ceramiche Sant’Agostino), condivise con il Copparese la soppressione della rete ferroviaria. A Cento fu costruito il tratto Ferrara-Cento per Km 31,589 nel 1909 dalla “Società Veneta per la Costruzione ed esercizio di Ferrovie Secondarie Italiane”. Successivamente, nel 1911 si costruì il tratto Cento-Decima di Km 5,325, con diramazione fino a S. Giovanni in Persiceto di Km 8,175. Nel 1916 con la costruzione del tratto Decima-Crevalcore-Modena di Km 27,947 si rendeva operativo una tratto di trasporto di km 83,846 che, partendo da Copparo, toccava Ferrara, Cento e arrivava a Modena. A metà degli anni ’50 fu dismesso il servizio ferroviario nel territorio centese, isolato dalla linea ferroviaria principale Bologna-Ferrara-Padova. La stessa rete stradale, in relazione al volume del traffico e dei trasporti, è apparsa da subito insufficiente e deficitaria, soprattutto nel tratto Ferrara-Cento. Lo stesso quadro strategico per la progettazione della Cispadana, evidenzia come vi sia stato un deficit politico-progettuale nell’assegnare una maggiore attenzione al polo industriale centese. Del tutto diversa invece la sorte del territorio Bondenese (zuccherificio, Maref) che ha beneficiato fino ad oggi della linea ferroviaria Ferrara-Suzzara, anche se, parimenti, le difficoltà sono state riscontrate sulla strada Virgiliana fino a Mantova.

La stessa città di Ferrara, da centro prevalentemente agricolo, cambia volto con l’industrializzazione del dopoguerra: nel 1954 la Montecatini acquisisce il Petrolchimico di Ferrara; l’andamento degli addetti dal 1950 al 1970 è il seguente: 1950, 3000 addetti; anno 1960, 5100 addetti; anno 1970, 3940 addetti. Nel 1964 la Zenith di Ferrara ha 530 dipendenti. Nel 1962 la IMI di Ferrara ha oltre 400 dipendenti, senza dimenticare altre importanti aziende come la Toselli, la Felisatti o la Zabov.

1. CONTINUA

Stefano Capatti è ricercatore del Centro documentazione e studi di Ferrara

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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