Skip to main content

Con l’avvento delle tecnologie audio digitali, supportate dall’enorme sviluppo del settore informatico dell’ultimo ventennio, la registrazione in buona qualità dei propri brani sta diventando sempre più alla portata di tutti. Mentre non molti decenni fa tutto il lavoro di mixaggio veniva fatto su nastro, e i fonici specializzati erano gli unici alchimisti di quest’arte oscura ai più, oggi diverse “garage band” sono in grado di registrare la propria musica e, con un click, di condividerla con il resto del mondo tramite YouTube, Facebook o qualsiasi social network o canale di condivisione online. Certo, la comodità offerta dai computers è innegabile, ma un lavoro fatto in un garage rimane pur sempre distante da ciò che è in grado di offrire un professionista ed un buon processore, pur essendo nel tempo divenuto fondamentale, non è che una parte della strumentazione occorrente per fare dei buoni lavori in studio.
Luca Malaguti, attuale insegnante del corso di Home Recording della Scuola di Musica Moderna Amf, fa parte di quel ristretto numero di fonici che possono vantare di aver collaborato con la maggior parte dei musicisti di successo a livello nazionale dello scorso mezzo secolo. Da sempre appassionato di musica ed elettronica, Malaguti ha vissuto l’adolescenza a Ferrara dove, amante della sperimentazione, iniziò a registrare e a manipolare il suono con sistemi meccanici economici e in parte autocostruiti. La sua carriera professionale di ingegnere del suono partì poi dal White Studio Recording, nato grazie anche al suo contributo. Le collaborazioni con session man dell’area Bolognese lo portarono alla Fonoprint (studio di registrazione famoso per aver ospitato artisti come Lucio Dalla e Vasco Rossi) dove realizzò il mixaggio del suo primo disco importante, il doppio album dal vivo “Insieme” con Ornella Vanoni e Gino Paoli. Si trasferì poi a Bologna e lavorò con Celso Valli (arrangiatore di Claudio Baglioni, Eros Ramazzotti e tanti altri), ma è con Mauro Malavasi, produttore artistico di fama mondiale, che instaurerà un rapporto di lavoro durato oltre vent’anni. Per lui dà vita al “Clock Studio” curandone ogni aspetto – dalla progettazione alla realizzazione tecnica – e ne diventa gestore e fonico ufficiale. Da allora la sua carriera è proseguita registrando, mixando, programmando tastiere e computer oltre che suonando il basso in diversi dischi di artisti famosi. Recentemente tornato a vivere a Ferrara, ha collaborato con la Scuola di Musica Moderna al mixaggio della Rock Opera Roadissea di Ricky Scandiani, nella sua nuova versione suonata dagli allievi dell’Amf. Resosi disponibile in uno dei suoi pochi momenti liberi, Malaguti ha risposto ad alcune domande riguardanti la professione del fonico.

Luca Malaguti3Come si è modificato l’ambiente della registrazione musicale rispetto a quando hai iniziato?
Enormemente, quando ho iniziato, gli studi e i fonici (mestiere che allora era quasi sconosciuto) si contavano sulla punta delle dita, ci conoscevamo tutti, i professionisti erano molto ricercati e il lavoro non mancava mai. Non c’erano scuole, s’imparava il mestiere in studio, c’è chi cominciava facendo l’assistente di un fonico già affermato o chi, come me, studiava e sperimentava autonomamente, questo mi ha permesso di entrare in quel mondo direttamente come fonico, senza fare l’assistente. In seguito gli studi e di conseguenza i fonici, si sono moltiplicati, c’era sempre più fermento e richiesta di musica registrata, sono nati allora anche i corsi e le scuole ma nel frattempo è cominciata la crisi del mercato discografico, fino ad arrivare ai giorni nostri dove si assiste al paradosso che i grandi studi
chiudono per mancanza di lavoro e i fonici, invece, diventano sempre più numerosi. La stessa cosa si può dire per i musicisti, pochi allora con tanto lavoro, molti oggi (le scuole sono piene) ma con poco lavoro e mal pagato.

Le tecnologie digitali sono sempre più alla portata di tutti coloro che volessero approcciarsi alla registrazione. Questo è uno stimolo o un ostacolo per i fonici professionisti?
Trenta anni fa, per fare una registrazione di qualità era necessario andare in uno studio di registrazione, dove c’erano delle attrezzature molto costose, ingombranti e che solo un professionista specializzato sapeva usare, pochi potevano permetterselo ma il risultato era molto buono. Oggi, grazie ai computer si può, con poca spesa, avere a disposizione in maniera virtuale più di quello che c’era allora in uno studio, tutto è emulato dai software in uno spazio ridottissimo. Questo sistema può stare in una stanza che, con un minimo di trattamento acustico, si può rendere idonea anche alla registrazione di strumenti acustici. Questo permette ai professionisti di avere più risorse a disposizione, di ridurre i costi e di poter lavorare (mix e mastering) anche a casa. Dobbiamo considerare però che chiunque può avere questa attrezzatura, senza che ci sia bisogno di uno specialista per utilizzarla, ne consegue che oggi quasi tutti gli artisti hanno il loro “Studio” privato, dove essi stessi usano questo sistema per comporre e registrare i loro brani. Ho allestito lo studio di Luca Carboni “Lahomestudio” per citarne uno, dal quale è uscito l’album “…Le Band Si Sciolgono” (2006), registrato quasi interamente da lui e mixato lì, da Maurizio Parafioriti. Ricordo che gli noleggiai il mio sistema per mixare (non mixai io perché ero impegnato alla fonoprint con Gianni Morandi per il disco “Il Tempo Migliore”), il mix e soprattutto il mastering vengono affidati ancora oggi ai professionisti attrezzati.
La nota dolente è che l’apparente semplicità di utilizzo del digitale, ha creato una nuova generazione di “fonici” improvvisati, senza esperienza e con una preparazione inesistente, mentre è proprio il digitale che ha bisogno di grande competenza ed esperienza, perché è difficile farlo suonare bene mentre l’analogico suona bene già da solo. Un professionista oggi subisce la concorrenza (sleale) di questi fonici che lavorano a dei prezzi bassissimi, velocemente e malamente ma che comunque soddisfano la necessità di avere il lavoro finito in breve tempo e a costo molto basso, ma la qualità è illusoria. Per qualità non intendo quella del suono ma quella del lavoro in generale, quella che serve per vendere i dischi, un buon mix è quello che ti fa venir voglia di alzare il volume e di riascoltare il brano quando finisce e non quello che all’inizio ti cattura con un suono meraviglioso, ma fine a sè stesso, che però poi ti annoia dopo un minuto. Per fare in fretta, questi tecnici, sostituiscono i suoni registrati della batteria con dei suoni campionati già pronti con il Sound Replacer, eliminando in questo modo l’espressività e le “ghost notes”, che sono proprio quelle che fanno il groove, il brano poi diventa piatto e inespressivo. Le tecnologie digitali, sono stimolanti per l’enorme possibilità di elaborazione del suono a basso costo, ma avrai capito che di contro, esse hanno permesso di far lavorare anche chi non è all’altezza, che si illude di esserlo e che illude anche i suoi clienti di aver fatto un buon lavoro, che ha solo una bella estetica ma che non è funzionale per far arrivare alla gente il contenuto artistico, emotivo e comunicativo delle loro opere.

Luca MalagutiL’ambiente musicale nel suo complesso è molto cambiato nell’ultimo mezzo secolo, questo cambiamento è dovuto ad una modifica delle preferenze del pubblico o a diverse esigenze di mercato?
L’ambiente musicale è cambiato perché è cambiato il modo di vivere e il modo in cui
viene ascoltata la musica. Quello che avviene nella società avviene anche nella musica, un tempo le persone avevano bisogno di oggetti e il mercato li costruiva, oggi è il mercato che decide quali sono i nostri bisogni e costruisce oggetti che non ci servono e ce li impone attraverso le mode e la pubblicità, nella musica purtroppo sta avvenendo la stessa cosa, prima noi cercavamo e compravamo quella che ci piaceva, ora è il mercato che ci “costringe” ad ascoltare e comprare la musica che ci propone, attraverso i media e le lobby delle radio che boicottano gli artisti veri. Oggi siamo invasi dalla musica che sentiamo in sottofondo in buona parte dei luoghi che frequentiamo, supermercati, bar, ristoranti, ascensori e via di seguito, questo ascolto ci viene imposto, non siamo noi a cercare e scegliere cosa ascoltare e quando. L’ambiente musicale si divide in; chi cerca di rovesciare questa situazione cercando dei mezzi di diffusione e di finanziamento alternativi a quelli convenzionali e in, chi invece è schiavo o artefice di tutto questo.

Come si ripercuote questo sulla tua professione?
Possiamo riassumere tutto il discorso dicendo che gli studi professionali con grandi sale e attrezzature costose stanno via via scomparendo o riducendo drasticamente il personale, resistono quelli che si sono adattati a fare altre attività come: il mastering, il montaggio video, le registrazioni live e spesso sono costretti ad affittare gli ambienti come sale prove. Di contro, stanno nascendo dei mini e micro studi, creati dagli artisti o dai musicisti, arrangiatori e produttori (la tecnologia moderna lo permette), dove si fanno le registrazioni e in alcuni anche i missaggi, il fonico professionista viene chiamato solo nella fase finale, per mixare e masterizzare, e solo se il progetto merita una qualità superiore e/o si ha più disponibilità pecuniaria.
Roadissea è stata prodotta proprio in questo modo, registrata alla scuola di musica moderna di Ferrara con un sistema economico ma di buona qualità, tecnicamente dagli insegnanti e dai musicisti stessi che hanno fatto i “fonici” e finalizzata da me con la supervisione artistica, il missaggio e il mastering.

35 anni fa avevi iniziato la tua carriera registrando la versione originale di Roadissea, ora che sei tornato a Ferrara hai curato i mixaggi della nuova edizione che è stata eseguita integralmente per la prima volta in teatro. Che emozioni ti ha dato tornare e chiudere questo cerchio?
Tornato a vivere a Ferrara, incontrai l’autore Ricky Scandiani che non vedevo da allora che mi disse: “Ho registrato Roadissea di nuovo ma con gli allievi della scuola di musica moderna, vuoi mixarla tu?” Mi sembrò subito un’idea grandiosa, una nuova edizione suonata dalle nuove generazioni, ero molto curioso di sentire come questi ragazzi avevano suonato quei brani che conoscevo e ricordavo ancora bene. Ascoltando le registrazioni rimasi colpito positivamente dalla loro preparazione e dalla loro energia, e dissi: “Ok, voglio mixarla mettendoci tutto me stesso”, c’è voluto molto tempo per creare il miglior suono possibile, (22 brani che valgono per tre, come lunghezza e ricchezza di strumenti e voci) ma ne è valsa la pena. In teatro, quando ho sentito il primo brano cantato, mi sono emozionato ed è stato bellissimo e coinvolgente. Amo questi ragazzi perché mi hanno fatto rivivere l’entusiasmo e la passione di quando avevo la loro età. Mai avrei pensato nella mia vita di rivivere questa esperienza a 35 anni di distanza, è stata una coincidenza incredibile, come se allora ci fossimo dati un appuntamento nel futuro per, come dici tu, chiudere il cerchio.

Grazie della disponibilità, a presto!
Grazie a te per la piacevole chiacchierata, un saluto a tutti i lettori

tag:

Fulvio Gandini


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it