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SEGUE – Una strada lunga e dritta spacca il centro della pianura da San Possidonio, Cavezzo, fino all’incrocio col fiume Panaro, all’altezza di Camposanto. Secondo la regione Emilia Romagna, dalle terre piane dell’alto modenese dovrebbe passare la cispadana, un’autostrada che così unirebbe la A13, all’altezza di Ferrara sud, alla A22 del casello di Reggiolo-Rolo. Ma a giudicare da quello che vedo i propositi per il 2015 andranno rivisti almeno di qualche decennio, e scommetto che nessuno se ne stupirà più di tanto.

Camposanto sembra meno danneggiato degli altri. Anche se in campagna quasi ogni giardino è munito di un container o una casetta di legno. Mi dicono come dopo gli eventi sismici la vendita di roulotte e camper abbia subito un’impennata vertiginosa. Passando per la statale una targa ricorda il gemellaggio con un paese del potentino colpito dal sisma del 1980. Come se non bastasse, a gennaio il comune, insieme a Bomporto, ha subito un’alluvione di cui a livello nazionale si è parlato davvero poco. Incrocio un gruppo di persone, credo siano addetti alla cartiera Smurfit Kappa, che ha sede qui… loro hanno fretta, io riparto.

Pochi chilometri e un cartello avvisa ancora una volta di un cambio di provincia, a Palata Pepoli sembro arrivato in Arizona e invece sono solo in una frazione di Crevalcore, in provincia di Bologna. Casette e campi squadrati, due semafori che regolano gratuitamente un traffico inesistente, il bar “sole luna” e un altro caffè, bar H, più avanti. Tutta Italia dovrebbe venire almeno qualche giorno a Palata Pepoli, recupererebbe la semplicità di quattro strade che si incrociano senza troppe pretese, senza fingere di essere ciò che non si è.

Siamo nei comuni delle terre d’acqua. Un nome intenso che ricorda agli uomini quanto abbiano dovuto faticare per strapparle alla malaria. Anche qui le scuole sono ospitate nei prefabbricati, come a San Felice sul Panaro, a Finale Emilia, a Mirandola. Paesi che, nel sud dove sono nato, ho sempre sentito riecheggiare come in una sorta di memoria collettiva. La massiccia emigrazione interna nella seconda parte del novecento ha trovato qui una seconda casa per molti miei conterranei. E oggi mi ritrovo a dare forma e colori a terre che pareva conoscessi da tempo.

Campagna emiliana a Palata Pepoli

Campagna emiliana a Palata Pepoli

Da Palata a Cento è un soffio di strada. Le due scosse hanno creato un immenso cratere che cerco di percorrere con i miei tempi. Tento di circoscriverlo ma il perimetro è enorme, segnalato dal crollo parziale di buona parte dei vecchi casolari dell’Emilia, ne ho contati a decine: stazionano alla stregua di cattedrali circondate da un deserto di grano, ed estese oasi di frutta. Tetti sgarrupati e ruderi hanno definitivamente mutato il paesaggio, mettendo come un accento di dolore sulla già passata civiltà contadina che mi ricorda la poetica amara di Azzurra D’Agostino:

La casa viene al mondo e si spacca sotto/il peso di un tramonto mortale: rotto il cotto/il tetto, l’architrave. Quante Ave Maria avrà detto/
la vecchia che non ha più nome. Il gendarme sarà/venuto? Avrà preso mai un disertore? Le ore quando/è ancora buio e già là nei campi si muove l’aratro/chiedere perdono per il peccato lo steccato aprirlo/tirar fuori le bestie restie nell’alba da venire a farsi aprire/cucinare per gli uomini dentro i camini la cenere sparsa/arsa come la bocca dopo l’amore il fiore sul greto del fiume/il sudiciume portato a lavare al pozzo il gozzo tagliato/del maiale il sangue a sgocciolare giù dal collo del coniglio/tutta una vita tutto un germoglio un gran scompiglio.

 

Ruderi nella campagna ferrarese

Ruderi nella campagna ferrarese

Oggi non c’è tempo per arrivare a Sant’Agostino, a San Carlo, a Bondeno. La mia giornata finisce a Cento, la città del Guercino coi suoi trentamila e passa abitanti e un tasso di immigrazione tra i più alti d’Italia, col suo dialetto dal suono bolognese, le industrie, la città che in centocinquanta anni ha raddoppiato la popolazione, rimanendo assiepata al cospetto dell’ennesimo fiume minaccioso di queste terre: il Reno.
La bella piazza centrale è in parte inagibile, alcuni palazzi storici mostrano i segni ormai noti della messa in sicurezza. La pinacoteca civica ancora chiusa e in cerca di fondi per il restauro. Ma nel giorno del mercato la città torna a vivere. A Cento nel ’47 nacque la Vancini e Martelli, meglio nota come VM. La madre del motore diesel italiano ha un migliaio di dipendenti e dopo una girandola di passaggi di mano è finita nell’orbita della General Motors. In Emilia nel raggio di pochi chilometri troviamo le storie di nomi come Lamborghini, Ferrari, Maserati, Ducati. Passo davanti allo stabilimento, faccio rifornimento in una strada come tante, e mi perdo, attratto da uno di quei mercati dell’usato per cui vado matto, dimentico i motori e il resto e ne esco con un seggiolino per bici, le lettere di Machiavelli, e l’idea di una vecchia radio in ciliegio che costa troppo.

Piazza del Guercino a Cento

Piazza del Guercino a Cento

Non ho avuto il tempo di vedere la mostra fotografica nella rocca.

Della seconda tappa dell’itinerario che mi sono prefisso rimane l’idea di una terra d’acqua e dai motori tuonanti degna della Born to run di Bruce Springsteen. Emilia di provincia e motori, ma anche “america” della vecchia e nuova emigrazione, fatta di un’ironia e di una vivacità che mi pare difficile riscontrare al di là del grande fiume Po.

Non mi illudo in questo breve passaggio di giugno, lo so che è un mese che aggiusta tutto, e che da qualche parte ci sarà anche la fioca “luce dicembrina”: l’Emilia paranoica cantata dall’inconfondibile Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP. Quella del malessere covato nel profondo, quella ossessiva e ripetitiva provincia assorta e impotente, dove nel chiuso delle case stazionano, sopra i comodini,  soluzioni in pillole da casa farmaceutica. Il luogo a cui si soccombe per inerzia, per debolezza, che consuma e distrugge con la speranza delusa “di un’emozione sempre più indefinibile”.

Forse sarà a Sant’Agostino e San Carlo, o a Finale Emilia, a Mirandola, dove tenterò di chiudere il perimetro del cratere. Per ora mi accontento di trovarla nel mio stereo, in una vecchia canzone…

Emilia di notti agitate per salvare la vita

Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire

Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità

Emilia di notti d’attesa di non so più quale amor mio

che non muore e non sei tu e non sei tu

EMILIA PARANOICA

2 / CONTINUA

Leggi la prima parte del viaggio

Il blog racconti viandanti di Sandro Abruzzese

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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