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Una figura alta, un’altra più minuta al suo fianco lungo il corso principale di Reggio Calabria. “Al cinema, nei primi tempi andavo con mio padre, ma più spesso con due miei zii, di qualche anno più vecchi, con i quali facevamo gruppo. Poi divenne fisso per alcuni anni l’appuntamento della domenica pomeriggio con una mia zia che voleva l’accompagnassi: vidi di tutto, commedie, film d’avventura, drammi strappalacrime, western, una bella panoramica di generi. I primi film che mi portarono a una formazione solida per le pellicole di qualità li vidi al Circolo del cinema della città: ricordo “La madre” (1926) di Vsevolod Pudovkin e “La terra” (1930) di Aleksandr Dovzenko, due film russi di grande forza espressiva impegnati su temi sociali e politici, ma anche un film di raffinata comicità come “Giorno di festa” (1949) di Jacques Tati. Fu grazie a mio padre: constatando il mio interesse mi aveva regalato la tessera del Circolo del cinema di Reggio Calabria, dove abitavo con la mia famiglia. Lì vedevo film che non circolavano nelle sale, ma solo nelle associazioni e nei circoli. Quell’interesse era nato verso i quattordici, quindici anni. Nell’edicola vicino casa sostavo curiosando, soprattutto, tra le riviste di cinema; qualcuna la compravo (“Cinema”, “Cinema Nuovo”, “L’eco del cinema e dello spettacolo”, “Novelle film”); altre di carattere divulgativo, tendenti soprattutto al gossip, mi venivano prestate dal giornalaio per restituirle poi al mattino successivo.
Erano letture che non mi interessava acquistare, ma che mi portavano ad addormentarmi anche alle tre di notte. Qualcosa lo leggevo già di pomeriggio insieme alle pagine dei libri di scuola. Nel frattempo sentii nascere la passione per il giornalismo. Quando avevo più o meno sedici anni diventai collaboratore del corrispondente del “Quotidiano” di Roma e seguivo inaugurazioni, conferenze stampa, sport, come le partite di calcio della Reggina che allora militava in serie A. Ma non era vero amore quello! Il mio interesse era soprattutto per il cinema e scrissi anche alcuni pezzi per periodici locali. Devo aggiungere che al mio interesse per il cinema contribuì l’aver assistito un giorno, doveva essere il 1951-1952 visto che il film è datato proprio 1952, alle riprese di una scena del film “Il brigante di Tacca del Lupo”, che Pietro Germi stava girando nella cantina della nonna di un mio compagno di giochi, che vendeva vino all’ingrosso”.

sul Delta del Po durante la realizzazione di Uomini del Delta e Impressioni del Delta, 1964
Sul Delta del Po durante la realizzazione di Uomini del Delta e Impressioni del Delta, 1964

La figura minuta è quella di Paolo Micalizzi, oggi giornalista, critico cinematografico e storico del cinema, che milita sin dal 1960 come operatore culturale nella Fedic, per la quale organizza sin dal 1993 alla Mostra di Venezia iniziative come il Forum Fedic sul cortometraggio e il Premio Fedic, attribuito da un’apposita giuria composta da critici e filmmakers da lui costituita, a un film italiano presente nelle varie sezioni che “meglio rifletta l’autonomia creativa e la libertà espressiva dell’autore”. Inoltre, da due anni a questa parte, una “Menzione Fedic – Il Giornale del Cibo” che è destinata “all’opera che propone la scena più significativa legata al cibo e all’alimentazione”. Tra l’altro, si occupa come storico della Cineteca Nazionale Fedic.
Paolo Micalizzi si diploma perito chimico nella sua città e si trasferisce poi a Ferrara a lavorare per la Montecatini come ricercatore. Avendo in seguito intrapreso un’attività giornalistica e avendo organizzato per il Circolo culturale dell’Azienda alcune iniziative, la direzione pensa di incaricarlo delle Relazioni Pubbliche e dell’Ufficio Stampa dello Stabilimento Petrolchimico Ferrarese – attività svolta poi fino alla pensione anche, con il cambio della ragione sociale, in Montedison e in Enichem. È infatti nel 1959 a Ferrara che la sua attività giornalistica si fa più intensa.
“Un giorno del 1959, leggendo come facevo quotidianamente le pagine della “Gazzetta Padana”, notai che non uscivano più le recensioni. Decisi quindi di chiedere un colloquio con il direttore del giornale. Un giorno di giugno, uscito dal lavoro mi recai alla sede del giornale chiedendo di parlare con il direttore Giuseppe Bellinetti. Al termine del breve colloquio ne uscii con l’incarico di fare le recensioni delle prime visioni: in sostanza, iniziavo a occuparmi di critica cinematografica. Conducevo così le mie giornate su un doppio binario: fino alle 17 svolgevo ricerche per il mio lavoro professionale in stabilimento poi, dopo aver preso la tessera al giornale, andavo al cinema vedendo anche due film con un breve intervallo per un panino. Indi mi recavo in redazione a scrivere ritornando a casa verso mezzanotte. Un po’ una faticaccia, ma era una bella soddisfazione vedere pubblicate il giorno dopo con la sigla p.m. (allora usava così) le mie recensioni”.

con Marcello Mastroianni ed Ettore Scola sul set del film Permette? Rocco Papaleo, 1972
Con Marcello Mastroianni ed Ettore Scola sul set del film Permette? Rocco Papaleo, 1972

Il 1960 è un anno di svolta: entra in contatto con il Cineforum e il Cineclub Fedic Ferrara, formandosi cosi nei dibattiti cinematografici e nella realizzazione di cortometraggi – al suo attivo ci sono anche due documentari: il primo, in sedici millimetri, realizzato insieme a Fabio Medini, Antonio Bonetti e Tito Ferretti è “Uomini del Delta”; l’altro da lui diretto, in 8 mm, è “Impressioni del Delta”. Nel frattempo gli era anche stato affidato il ruolo di addetto stampa, per il quale inviava comunicati ai giornali ferraresi e a riviste specializzate come “Il Cineamatore” e “Cinema Ridotto”. Intanto aveva iniziato a frequentare festival cinematografici tra cui Venezia (la prima volta fu nel 1964) e a collaborare con riviste di cinema, come “Cinemasud”, “Primi Piani”, a cui si aggiunsero in seguito altre come “SegnoCinema”, “Giornale dello Spettacolo” e “Cinema d’Oggi”. Fu anche corrispondente per l’Italia della rivista “Cinema International”, pubblicata a Losanna.
“Allora, la critica era particolarmente interessata al cinema di qualità, a film di denuncia sociale e politica. Si era orientati verso registi che affrontavano tematiche serie, che erano veri Autori.
Era importante lo stile, il linguaggio cinematografico, l’estetica e i contenuti, la capacità di un film di suscitare emozioni. Si faceva torto, per esempio, alle gag di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, per la comicità spiccia; o addirittura a quelle di Totò, che io invece in alcuni film apprezzavo. Tuttavia non disdegnavo altri generi: dalle commedie ai western americani, dai film d’avventura a quelli drammatici, fino ai polizieschi, le uniche discriminanti erano la qualità realizzativa e i sentimenti, che, nei film, avevano il loro proprio codice, ed erano interpretati da attori i quali a loro volta proponevano una personale intensità. Li apprezzavo se fatti bene e senza retorica”.
Dal 1969 collabora come critico cinematografico al quotidiano “Il Resto del Carlino”, per la pagina ferrarese ma anche nazionale, soprattutto nel periodo 1980-2000.
Accanto all’attività di giornalista e critico, Micalizzi ha svolto, negli anni Novanta, anche quella di Direttore artistico di festival come “Valdarno Cinema” e “FilmVideo” di Montecatini, curando per questi e altre manifestazioni l’Ufficio Stampa. Ha svolto anche, e continua a farlo, attività di storico del cinema e scrittore. All’attivo ci sono vari saggi dedicati ai ferraresi Antonioni, Quilici e Rambaldi, e i libri “Florestano Vancini fra cinema e televisione”, “Al di là e al di qua delle nuvole. Ferrara e il cinema”, “Terre della memoria. L’Emilia nel cinema di Gianfranco Mingozzi”, “Là dove scende il fiume. Il Po e il cinema”, “Antonio Sturla. Il pioniere del cinema ferrarese”, “Fabio Pittorru. Uno scrittore per il cinema e per la televisione”, che segue i volumi sui documentaristi e registi televisivi ferraresi Renzo Ragazzi ed Ezio Pecora.

con i registi Florestano Vancini (a sinistra) e Nagisa Oshima (a destra) a Filmvideo di Montecatini, 1989

“Alla base della pubblicazione di questi miei libri c’è una ricerca storica originale basata sulla memoria e su documenti di vario tipo, e la scelta di argomenti non ancora affrontati con altri volumi”.
Un’attività culturale che lo ha portato oggi a dirigere la rivista on line “Carte di Cinema”, edita dalla Fedic per la quale già nel 1989 (e per i successivi tre anni) aveva diretto la nuova serie di “Cineclub”. Dapprima pubblicata in formato cartaceo, ne sono stati pubblicati in tutto 32 numeri. Micalizzi fu vicedirettore dal numero 24 al numero 32, ruolo che mantenne anche nella versione on line per assumere da questo anno quella di direttore responsabile.

“Carte di cinema” (www.cartedicinema.org) è una rivista trimestrale di approfondimento cinematografico. Il cinema e i cineasti indipendenti, ma anche il documentario e l’attività dei filmmakers ne sono i motivi portanti, ma pubblica anche saggi originali di studiosi che analizzano vari aspetti della produzione cinematografica contemporanea. Uno spazio rilevante è dedicato alla Fedic, alle attività che svolge e ai suoi autori. La sezione “Occhio critico” è dedicata a film di particolare interesse usciti nelle sale cinematografiche, ma anche a quelli ‘invisibili’ per motivi di distribuzione, seppure abbiano avuto successo nei festival dove sono stati presentati. E ai festival, da quelli importanti a quelli cosiddetti minori, che invece spesso sono ricchi di proposte culturalmente valide viene dedicato poi un ampio spazio.

Paolo-Micalizzi
Micalizzi è autore del libro ‘Là dove scende il fiume. Il Po e il cinema’

Di rilievo anche rubriche sulle avanguardie cinematografiche, sulle serie televisive e sui libri di cinema. Ma la rivista è sempre aperta a nuove proposte: un’eterogeneità che contribuisce a creare una rivista che sta crescendo tanto nei contenuti, quanto nei collaboratori.
“In qualità di direttore sono attento alle proposte che mi vengono fatte, ma io stesso sollecito a volte contribuiti da parte di collaboratori che già conosco, di cui mi sono già note le capacità critiche, e accolgo positivamente quelli di nuovi autori le cui proposte sono valide”.
Scrittura e immagini, tutto deve tendere a rendere intelligibile il contenuto al lettore.
“Non ho particolare interesse che l’opera sia facilmente comprensibile: la vera sfida resta quella di analizzare e comprendere le ragioni del regista e valutare anche secondo quest’ottica.”
Sfida che è sempre aperta, tanto in Paolo quanto nelle pagine scritte della rivista che lui porta avanti con passione.

Paolo Micalizzi intervista a Ferrara il regista Giuliano Montaldo
Con Pupi Avati al Premio Letteratura per Ragazzi di Cento
Con Mario Monicelli da lui invitato a Valdarno Cinema, 1999
Con Giuseppe Bertolucci a Valdarno Cinema, 2000
Con Gianfranco Mingozzi al Premio Liberi Bizzarri di San Benedetto del Tronto
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Giorgia Pizzirani

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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