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Originario di Codigoro, dove è nato nel 1957, e laureatosi in Scienze politiche a Bologna, Marcello Darbo è attivo artisticamente dal 1982: prevalentemente autodidatta, segue nel 1985 i corsi dello scultore codigorese Massimo Gardellini. Nel 1993 viene selezionato fra i dieci pittori di nuova tendenza della giovane arte italiana all’interno del “Circuito Giovani Artisti Italiani” per la Biennale Giovani di Kualalampur. Nel 1994 poi partecipa alla rassegna “EUROPA-AMERICA ‘360’ E-VENTI”(Roma/New York), 180 artisti segnalati da 60 critici italiani. Fra le sue attività personali si segnala anche la partecipazione nel 1992 al Centro Attività Visive del Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

Marcello Darbo
Marcello Darbo

Darbo, come artista da anni protagonista nell’arte contemporanea, quella che a volte hai chiamato la ragnatela del nostro tempo, un approfondimento?
La ragnatela è, come noto, uno spazio dove qualcuno si trova a suo agio, fermo nel suo buco e prospera, mentre chi si muove resta invischiato nell’invidia, mista a mediocrità e provincialismo di ritorno di una massa di persone sbagliate al posto giusto. Pensate che un sedicente critico di Ferrara, guardando i ritratti che stavo facendo in quel periodo, mi disse che il ritratto è obsoleto. Allora gli ho mostrato il cavalletto con una tela bianca e gli ho detto che prima dire certe cose, doveva venire lui alle 9 di sera in inverno, al freddo e lavorare, lavorare e lavorare. Poi ha visto alcuni schizzi di mio figlio e, senza sapere che erano suoi, ha detto che quelli si erano interessanti. Prima di uscire dallo studio ha visto certe mie carte dada dove lavoravo con il mistero della macchia e del caso ed è rimasto entusiasta, quasi intimandomi di fare solo quelle cose. L’ho accompagnato volentieri alla porta.

Marcello, oggi avanguardia o retroguardia?
Questa storia dell’avanguardia ha strapazzato gli strapazzabili. E’ ovvio che non c’è avanguardia senza la retroguardia e anche che l’avanguardia a tutti i costi ha prodotto tanti cani che pensano di essere artisti perchè fanno qualcosa di mai fatto sinora. Che so: mettere insieme spago, sassi e fil di ferro, oppure fare delle pile di cassetti. A me, invece, sembra ovvio che se certe cose non sono mai state fatte prima è perchè non valgono nulla. L’artista si muove sulla ‘linea dell’arte’ che va dalle grotte del Perigord a Caravaggio, da Giotto all’arte povera, cercando di reinterpretare il tutto in un suo personale e faticoso cammino. L’Arte è fatica, è lavoro, non legare dei pupazzetti ai rami di un albero. Siamo arrivati alla sublimazione della merda d’artista e i risultati non possono che essere pretenziosamente deludenti e fetidi.

Ferrara ‘città d’arte’: mito o mistificazione?
Definirei Ferrara Città d’Urto, per la decadenza che permea ormai le azioni di una classe politica che vorrebbe staccarsi dalla gente e vivere in pace. Barche di cemento nel fossato del castello, La Montedison a un kilometro dal centro, mentre l’ospedale a dieci kilometri, inaccessibile. La casa di Biagio Rossetti, primo urbanista occidentale, trasformata in sala espositiva degli architetti americani. Un Sindaco che vuole chiudere Palazzo dei Diamanti. Non mi stupirei se facessero a Bologna la nuova stazione di Ferrara.
Ferrara è bella perché ancora i muri delle case reggono.

Mostre prossime venture?
R – Mostre ‘prossime s-venture’? Sì, una a Bondeno, grazie all’ultimo mecenate rimasto nel ferrarese: Daniele Biancardi. Il titolo è “Rifugi per l’Umanità”: umanità che scappa dalle guerre e dalla fame, piccoli quadri rossi e sculture pop fatte con i coperchi dei barattoli. Sembrano case tibetane. Naturalmente ci sarà la casa dei  Cristiani e dei Musulmani, quella degli Ebrei e dei Palestinesi, la parte umana dell’umanità, il resto sta sotto e di molto a balene, gorilla, delfini, orango, elefanti, tutti animali sociali che vivono senza uccidersi.

Mostre
1977 Memmingen(Germania) su invito della Associazioe Italo-Tedesca
1988 Firenze
1998 Kaufbeuren (Germania)
2000 Personale al’Istituto di Cultura Casa Cini di Ferrara
2002 Palazzo Borromeo di Cesano Maderno e poi ancora Kaufbeuren (Germania)
2006 “La bicicletta rossa”, Museo del Risorgimento di Ferrara
2007 “Ginestre”, Torre di Cento
2010 “Dove è pietà”
2012 Casa del Boia, Ferrara
2014 “Vite di frodo”

Hanno scritto di lui: Sergio Altafini, Serena Simoni, Gilberto Pellizzola, Erwin Byrnmeyer, Franco Patruno.

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Roby Guerra

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Cari lettori,

dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .

Tanto che qualcuno si è chiesto se  i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.

Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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