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Non c’è stata competizione al premio Campiello 2018: senza alcun margine di indecisione o dubbio, ha vinto meritatamente il romanzo “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino, 167 voti su 278, tra i pareri entusiasti di lettori e critici. Un libro che va a riesumare un piccolo capitolo di storia minore sconosciuta della Germania del 1943, che solo un’unica testimone sopravvissuta poteva consegnarci negli ultimi anni della sua vita, Margot Wȍlk, attraverso uno speciale dedicatole dal canale televisivo berlinese RBB nel 2010, all’età di 96 anni. L’autrice Postorino ha tratto ispirazione partendo proprio dal racconto della donna, mancata nel 2014, prima che potesse incontrarla personalmente, romanzando personaggi, fatti e circostanze ma rispettando l’essenza della narrazione e lo spirito della storia inquietante, affascinante e così maledettamente umana da crearne un caso letterario singolare . Era una giovane donna di 24 anni, Margot Wȍlk, figlia di un dipendente delle ferrovie tedesche, segretaria, sposata a Berlino, quando scoppiò la guerra e il marito fu chiamato al fronte. E questo è l’incipit del romanzo ma è anche il punto di partenza della reale confessione della donna, dopo anni di drammatico silenzio, sensi di colpa e vergogna, perché non è facile raccontare violenze, drammi, sentimenti ed emozioni umane straordinarie ed estreme. Margot si trasferì dalla suocera a Gross-Partsch, un paese nella Prussia Orientale – oggi Parcz in Polonia -, dove sarebbe vissuta più tranquilla che nella Berlino bombardata e dove Hitler aveva stabilito uno dei suoi quartieri generali a Rastenburg, a soli 3 km, la tristemente famosa ‘Wolfsschanze’, la ‘Tana del Lupo’. La Wȍlk racconta, nell’intervista televisiva, come il sindaco, vecchio nazista, abbia bussato alla porta e l’abbia costretta a seguirlo per raggiungere altre 15 donne del posto e diventare un’assaggiatrice alla mensa del Führer, sotto il comando diretto delle SS. Esattamente come nel Medioevo, quando il ruolo dell’assaggiatore presso le corti dei Grandi era fondamentale non solo per evitare l’avvelenamento del signore di turno ma anche per una consuetudine ormai radicata. Hitler temeva che gli inglesi potessero avvelenarlo, una delle paure e delle nevrosi che lo portavano anche ad avere la fobia dei dentisti, dei fiocchi di neve e degli ambienti chiusi. Ed ecco che le donne dovevano rendere sicura la somministrazione degli alimenti a lui destinati, mangiando il suo cibo ed attendendo un’ora per verificarne gli effetti. Una convivenza con il terrore e il rischio di morire che è durata due anni e mezzo. La donna racconta: “ Non ho mai visto Hitler di persona ma solo il suo cane Blondi. Il Führer era vegetariano e ogni giorno il cuoco serviva frutta esotica, piselli, asparagi, verdure freschissime, accompagnate da salse squisite.” Dopo l’attentato fallito ad Adolf Hitler del 20 luglio 1944, nella Tana del Lupo, quando alcuni ufficiali tedeschi fecero scoppiare una bomba, i controlli si rafforzarono e le assaggiatrici furono costrette a sottoporsi a un ulteriore regime forzato sotto lo sguardo costante dei soldati. Era una vita di perenne tensione e terrore di morire improvvisamente, che non lasciava respiro nemmeno tra un pasto e l’altro. Giorno dopo giorno le donne erano preda delle emozioni più contrastanti: la gioia di poter raggiungere cibi negati a tutti sentendosi quasi delle privilegiate e al contempo la morsa dell’alto rischio cui andavano incontro. Il pianto liberatorio e le manifestazioni che seguivano ogni pasto danno la misura della tensione elettrizzante, dell’angoscia e della condizione estrema del momento. E se il cibo era sinonimo di vita e sopravvivenza da un lato, dall’altro diventava il simbolo stesso della morte. Nelle ultime fasi della guerra, quando il terrore si sposta sull’avanzata dell’esercito russo, Margot Wȍlk riesce a fuggire, con l’aiuto di un soldato tedesco, su un treno speciale di Goebbles e raggiungere Berlino, dove trova solo devastazione e macerie. Le sue compagne assaggiatrici rimarranno al paese trovando la morte per mano dei militari russi. La Wȍlk racconta di come a Berlino fu portata insieme ad altre 14 giovani donne nell’appartamento di un medico e là, costrette a subire violenza da parte dei soldati russi per 14 giorni consecutivi, ininterrottamente. Non erano serviti nemmeno i travestimenti che utilizzavano spesso le giovani donne per non attirare l’attenzione, che consistevano in camuffamenti da anziana ammalata di tifo. Nella sua testimonianza, la donna racconta tutta la desolante sofferenza: “Dopo stetti molto male, non potei più avere figli. Hanno distrutto tutto, ho avuto incubi terribili. E’ qualcosa che non si può dimenticare.” “Avrei tanto voluto una bambina…” confessa, consapevole delle conseguenze fisiche e psichiche di quel vergognoso stupro di massa. E la sofferenza che interiorizza e deposita negli angoli più nascosti della sua anima non le permetterà neanche di ricostituire un rapporto col marito tornato successivamente e inaspettatamente dalla guerra. Rimarrà vedova negli anni che seguono, inferma e chiusa in casa per 8 anni della sua vita. Ma, racconta Margot come in un inno alla vita, nella sua unica, lunga testimonianza: “Ogni giorno mi vesto, mi metto i miei gioielli e mi trucco, non sono una donna sconfitta, malgrado quello che mi è capitato ho sempre cercato di essere felice, non ho mai perso il mio sense of humor. Sono solo diventata più sarcastica. Ho deciso di non prendere le cose in maniera drammatica, è stato questo il mio modo di sopravvivere.” Margot Wȍlk è morta nel 2014 a 100 anni e ci ha lasciato questo spicchio di storia sconosciuta che Rosella Postorino ha valorizzato, annoverandolo tra gli eventi di storia minore che meritano conoscenza e riconoscimento.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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