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Maria Taglioni
Maria Taglioni

A stupire lo spettatore, ancora una volta, la leggerezza, quella leggiadria che solo una ballerina abile, lucente e meravigliosa può trasmettere. Sembra volare, “La Silfide” che il Teatro Stanislavsky di Mosca ha offerto al suo affezionato e tenace pubblico, in questa stagione ricca di sorprese. Questa figura femminile della mitologia germanica, un genio del vento e dei boschi che possiede una figura agile e snella, pare veleggiare sulle ali di onde trasparenti e accoglienti che abbracciano il mondo, sulle note quasi sussurrate e gli allegri fischiettii di un piccolissimo alito di vento.
Nella sala si sentiva solo la forza delle musica, la potenza di arpe gioiose e il romanticismo che arriva da lontano. Da quella Maria Taglioni, danzatrice italiana (nata però a Stoccolma), considerata la prima ballerina romantica, che nel 1832 aveva trionfato all’Opéra di Parigi proprio con “La Silfide”, coreografia creata per lei dal padre Filippo. Una coreografia nella quale, sulla base della tecnica ballettistica italiana che associava il rapido gioco delle gambe a movimenti lenti del busto e delle braccia, comparivano insieme le due grandi innovazioni del balletto romantico: il tutù in mussola bianca e la danza sulle punte. D’un tratto. E fu ancora Maria a introdurre l’acconciatura à bandeaux che divenne successivamente quella tipica della danzatrice classica: due bande di capelli lisci ricadenti da ambedue le parti della fronte, raccolti dietro la nuca. Di nuovo lei a essere acclamata per l’azione danzata divenuta parte integrante della trama dell’opera e la levità della ballerina che, con l’ambientazione quasi spettrale e soprannaturale, rende questo balletto un prototipo del cosiddetto ‘atto bianco’, nel quale la protagonista e il corpo di ballo danzano con il tutù, che sarà in seguito creazione coreografica caratteristica del balletto romantico.

Carla Fracci in Silfide
Carla Fracci in Silfide

Maria arrivò con il padre in Russia, al Teatro Imperiale di San Pietroburgo, nel 1837 e in questo paese trascorse cinque stagioni teatrali, fino al 1842. In quel momento storico, la cultura romantica, con la sua propensione a indagare l’animo umano e la sua attenzione alla magia e al soprannaturale, si traduceva nella danza in un processo di spiritualizzazione del corpo delle danzatrici, considerate come coloro che potevano oltrepassare la soglia tra il mondo terreno e quello soprannaturale. I temi preferiti dai coreografi erano spesso gli stessi: l’amore impossibile, l’ambientazione esotica e soprannaturale, la donna simbolo di immaterialità, la presenza di spiritelli, fate, silfidi, villi, farfalle ed elfi, a sottolineare l’atmosfera di sogno che si imponeva sulla realtà. Per rendere sulla scena la magia delle atmosfere, cambiò il modo di danzare, per cui le ballerine iniziarono a usare le scarpette da punta e la tecnica dell’elevazione per sottolineare il distacco dal mondo terreno e rendere lo stile aereo, leggero e spirituale.

Silfide TaglioniE Maria Taglioni, che divenne l’emblema della ballerina romantica, rappresentò bene tutto questo, in particolare con “La Silfide” paterna: storia di un amore impossibile tra un uomo e uno spirito. Questo balletto sarebbe diventato il prototipo di tanti altri balletti romantici a temi fantastici, fiabeschi ed esotici e Maria l’impalpabile personificazione dell’aria. A “La silfide”, seguirono una serie di balletti coreografati ancora Filippo Taglioni, tutti simili per temi, contenuto e leggerezza di stile. Il successo riscosso in Russia fu enorme, l’ammirazione si trasformò in idolatria e scoppiò la cosiddetta ‘taglionimania’. Il pubblico faceva ressa all’uscita del teatro per vedere Maria; dolci, cappelli o tipi di acconciature presero il suo nome; nacquero valzer o commedie in suo onore; il suo nome era sempre sulle pagine dei giornali. Maria Taglioni fu, per lungo tempo, l’elemento di stimolo del mondo culturale della capitale russa.

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“La Silfide” è un balletto, in due atti, ispirato al racconto di Charles Nodier “Trilby, ou le Lutin d’Argail” (1822), ambientato nelle Highland scozzesi e narra del giovane James che, alla vigilia delle sue nozze con Effie, riceve la visita di una silfide innamorata di lui, da cui viene attratto sino al punto di abbandonare la fidanzata per seguire lo spirito della fanciulla fatata nei boschi. Qui incontra la strega Madge che gli dona una sciarpa magica con la quale dovrà avvolgere le spalle dell’amata per non farla fuggire più. Quando James insegue la silfide nella foresta e la circonda con la sciarpa, ella perde le ali e muore, circondata dalle compagne. Intanto, in lontananza, scorre davanti agli occhi di James, disperato per la morte dell’amata, il corteo delle nozze di Effie, da lui rifiutata, con un altro giovane, Gurn.

Lo spettacolo è davvero magico, commovente, toccante e coinvolgente. Con momenti allegri e costumi colorati, soprattutto nelle feste e nei riti scozzesi. L’ambiente dello Stanislavsky è il corollario ideale di uno spettacolo fatto di grandi professionisti, come il coreografo Pierre Lacotte (stage, set e costumi), gli assistenti alla coreografia Ghislaine Thesmar, Anne Salmon e Yukari Salmon e i meravigliosi ballerini Erika Mikirticheva (silfide), Dmitry Sobolevsky (James) e Aleksandra Dorofeeva (Effie). Da vedere, in qualunque teatro sia.

 

Silfide, Teatro Stanislavsky, Mosca, 7 Dicembre 2015
Silfide, Teatro Stanislavsky, Mosca, 7 Dicembre 2015
Silfide, Teatro Stanislavsky, Mosca, 7 Dicembre 2015

 

Più di due ore io dedicavo a ciò che chiamerò degli aplombs o adagio: reggendomi su un piede, prendevo delle pose che dovevo poi sviluppare con molta lentezza. Quando la posa era particolarmente difficile, cercavo di mantenerla contando fino a cento prima di cambiarla…. Queste pose vanno eseguite in punta di piedi, sollevando cioè il tallone in modo che non tocchi terra. Bisogna poi far ruotare il busto con molta grazia, con aplomb e sicurezza. Avevo raggiunto una grande perfezione in questo tipo di esercizi…..Ricorrevo a tali pose quando avevo bisogno di un po’ di riposo, mentre per gli altri ballerini esse rappresentano generalmente una fatica… Impiegavo altre due ore a saltare…..Prima di farlo effettivamente bisogna rendere elastico il collo del piede e i tendini…..Mi piegavo lentamente e il più profondamente possibile, in modo da toccare terra con le mani, senza curvare il dorso, solamente piegando le ginocchia e tenendomi molto dritta; mi rialzavo poi lentamente senza scosse e senza sforzo fin sulla punta dei piedi…..Poi cominciavano i veri e propri salti. Lo slancio deve partire unicamente dal tallone, senza alcun movimento del corpo. Le ginocchia devono appena piegarsi… In tutte le pose mi tenevo dritta senz’essere rigida, non mi si sentiva ricadere perché era sempre la punta del piede che arrivava prima e il mio tallone posava a terra lentamente” (da Mes souvenirs, testo di autore incerto, ma da molti ritenuto un’autobiografia di Maria, conservato a Parigi, alla Bibliothèque Nationale de France).

 

Fotografie Silfide Teatro Stanislavsky Mosca, Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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