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Nasce a Ferrara la cooperativa “Palaur” che affianca i giovani nella battaglia di emancipazione dalla dipendenza da alcol e droga.

“La droga è la cosa più democratica che c’è in Italia” afferma Alice e nei suoi occhi c’è la consapevolezza di chi ha visto tanti giovani farsi rubare la vita dalla “roba”. Le fa eco Paola: “Un giovane fa una serata, un amico gli offre una pastiglia…è così che si inizia, senza neanche rendersene conto”. Il problema “droga” e il mostro “alcol” non sono relegabili ad un servizio del telegiornale sull’ennesima morte di un minorenne dopo una serata in discoteca. Non sono problemi lontani, non sono distinti da noi: sono infiltrati nel tessuto sociale, in maniera più subdola ed invisibile rispetto al passato, e perciò più difficile da riconoscere ed affrontare.

E’ con l’intento di offrire un sostegno ai giovani, e alle loro famiglie, che con l’alcol e la droga hanno avuto a che fare, o che hanno anche solo sfiorato il problema, che nasce a Ferrara, in via Ragno n 15, la cooperativa sociale PALAUR di cui Alice Cacchi e Paola Pieroboni, laureate in psicologia, ed Aurelio Zenzaro, educatore, sono i fondatori. Dopo anni di attività nelle comunità di recupero, Alice, Paola e Aurelio hanno deciso di intraprendere un nuovo percorso: aprire uno spazio cittadino che coniugasse il servizio di consulenza ai giovani sulle problematiche della dipendenza da alcol e droga, al reinserimento sociale dei giovani che hanno affrontato in passato il percorso della comunità di recupero. “Il passaggio dalla comunità residenziale alla società è un momento molto delicato e pieno di problemi: magari fuori ritrovi una famiglia disfunzionale oppure gli “amici” pronti a farti ricadere nel giro- spiega Paola- e la cosa più difficile di tutto il percorso di recupero è saper dire di no. Un tempo la dipendenza da alcol e droga era legata ad immagini di emarginazione e degrado, basti pensare al tossico che si bucava nella panchina dei giardinetti o all’ubriacone steso per strada. Ora la proliferazione delle droghe sintetiche hanno reso il fenomeno socialmente accettabile: le droghe sintetiche allentano i freni inibitori, ti fanno sentire “figo” ed è per questo che hanno facile presa sui giovanissimi alle prese con le tipiche crisi di autostima adolescenziali. Non parliamo poi dell’alcol, legato indissolubilmente ai momenti di convivialità. Quanti aperitivi si consumano con sempre maggior leggerezza?”.

La droga non conosce distinzioni di classe né ci si può sentire al sicuro dall’avere una famiglia più o meno unita. Come ci racconta Alice: “Nelle comunità di recupero la maggior parte delle persone con problemi di droga proveniva da famiglie disfunzionali o avevano vissuto dei grossi traumi nella loro vita. L’eroina e la cocaina era il rifugio per chi voleva mettere a tacere i propri problemi. Ora non è più così. L’età più a rischio è quella tra i 18 e i 26 anni, si desidera essere accettati dal gruppo. In genere c’è sempre l’amico che ti invita a provare, ed una volta provata la droga sintetica ci si sente bene. Invece la droga è un veleno, così come l’alcol, e il fegato di un giovane, molto ricettivo per la giovane età, subisce danni maggiori di un adulto”.

La notizia bomba di un figlio tossicodipendente esplode tra le mani dei genitori, spesso, troppo tardi. Dopo che si è cercato di mettere la testa sotto la sabbia e di non dar peso a comportamenti all’apparenza poco preoccupanti (perdita di peso, apatia, cattivi voti a scuola). Troppo spesso si pensa “non riguarda mio figlio” oppure “è solo un adolescente svogliato”, ma gli operatori di PALAUR invitano a tenere le antenne sempre alzate: “ Alle medie si fa già uso di cocaina -interviene Paola- noi, a livello generazionale, non siamo ancora pronti a cogliere la quotidianità dell’uso delle sostanze stupefacenti. I veri “esperti” sono i nostri figli, circondati, fin da giovanissimi, da questa realtà”. Il giovane fa fatica a rivolgersi alle comunità residenziali dove vengono imposte, specialmente all’inizio del percorso terapeutico, diverse restrizioni, dall’uso del telefono al ricevimento degli amici; lo stesso vale per il SERT, che risulta spesso essere un ambiente troppo medicalizzato. La cooperativa Palaur si prefigge di colmare quella zona d’ombra che precede o segue l’abuso di sostanze stupefacenti: il momento in cui si ha un primo approccio con la droga oppure quello, come detto, in cui il giovane riabilitato fa il suo nuovo ingresso in società. La famiglia è un importante sostegno ma la spinta deve venire sempre dal giovane coinvolto nel problema. Quando questo accade, ci racconta Alice “procediamo ad un primo colloquio conoscitivo e redigiamo delle skills training (che significa letteralmente “allenamento di abilità”) cioè schede tecniche in cui si evidenziano le abilità personali e relazionali di ognuno. Come comunità semiresidenziale svolgiamo la stessa attività delle comunità residenziali: adottiamo un medesimo protocollo terapeutico e puntiamo sullo svolgimento di attività che possano rafforzare l’autostima dei ragazzi (laboratorio di cucina, apicultura e produzione di miele, laboratori di informatica)”.

“La cosa più coinvolgente -spiegano gli operatori- sono gli incontri che organizziamo in sede con i gruppi famigliari”. Troppo spesso il vero problema, di cui la droga o l’alcol sono solo la punta dell’icerberg, è il “non detto” tra genitori e figli. Rapporti incancreniti dalla mancanza di comunicazione, dalla freddezza dei rapporti che diventa abitudine. Dice Paola: “Molto spesso chiedo, forzo, genitori e figli ad abbracciarsi. Basta il contatto fisico per sciogliersi in lacrime, per sciogliere nodi intrecciati in anni di malintesi. E’ l’inizio del processo di guarigione”.

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Simona Gautieri


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