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Museo: spero di sbagliarmi, ma temo che nell’immaginario comune questa parola evochi ancora una serie di sale nelle quali vengono conservati ed esposti oggetti, opere, documenti, dove si può guardare ma è rigorosamente vietato toccare e dove bisogna entrare con un atteggiamento quasi reverenziale, guai a parlare con chi ci fa compagnia di ciò che stiamo vedendo, figuriamoci sorridere e ridere; un luogo dove imparare passivamente una lezione, non certo uno spazio di confronto e ri-costruzione continua dell’identità di una comunità.
Falso! O quantomeno: superato… Icom (International council of museums) definisce il museo come “un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che fa ricerca sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le raccoglie, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, educazione e diletto”.

Si moltiplicano anche in Italia le iniziative che, pur partendo dalla nostra grande tradizione di tutela, rendono il museo un luogo sempre più aperto e dinamico. Una valorizzazione dunque che non è solo sfruttamento del nostro enorme patrimonio, con conseguente maggiore affluenza di visitatori, ma che rende il museo e le sue collezioni parte viva e vivace della comunità, spazio aperto al dialogo e al confronto, un luogo dove passare del tempo e… divertirsi.
Insomma un’istituzione che possa essere un interlocutore autorevole, ma non distante dai cittadini dei quali è al servizio, in grado di favorire inclusione sociale e culturale e partecipazione attiva: un luogo ‘senza barriere’, sempre più accessibile per tutti, sia per quanto riguarda i suoi spazi fisici sia per quanto riguarda le conoscenze prodotte e trasmesse.
Da qui la sempre maggiore attenzione verso strumenti e percorsi che aumentino l’accessibilità delle collezioni dei musei: abbattimento delle barriere architettoniche e linguistiche, didascalie con QRcode o in Braille, ricostruzioni di alcuni oggetti in 3d e percorsi tattili o sensoriali, visite guidate in lingua Lis. Ma non solo. Interessanti esperienze sono state raccontate domenica al workshop “Musei e pari opportunità”, nell’ambito di Unifestival.

Il museo come presidio culturale con relazioni con le altre presenze qualificanti del territorio, come le associazioni, le scuole e l’università. È l’esperienza del Museo di Casal de’ Pazzi, inaugurato nel marzo 2015 nel quartiere di Rebibbia a Roma, che “conserva l’unico sito del Pleistocene sopravvissuto di una serie lungo l’Aniene, affluente del Tevere”, spiega la direttrice Patrizia Gioia. In aree suburbane come queste, formalmente senza storia, il museo può svolgere una funzione fondamentale nell’innescare un processo di riconoscimento dell’identità di una collettività e di riqualificazione del territorio e può magari avviare progetti per il reinserimento dei detenuti con cooperative sociali, come è nel caso in questione.
L’elefante preistorico del museo è diventato la “mascotte” del quartiere e persino Zerocalcare, che abita proprio a Rebibbia, si è fatto coinvolgere più di una volta nelle iniziative e firmando il registro delle presenze ha sintetizzato la strada fatta: “Siete l’orgoglio del quartiere!”.

Il museo non solo come specchio della società passata e presente, ma come strumento di innovazione e democratizzazione, come nel caso dei musei delle donne, che si occupano di femminile a tutti i livelli: culturale, artistico, economico. Sono ottanta nel mondo, venti solo in Europa e l’Italia è al terzo posto nel nostro continente. Dal 2012 i musei delle donne si sono messi in rete per conoscersi l’un l’altro e condividere esperienze, progetti e, a volte, combattere insieme la battaglia a favore dei diritti delle donne, come in Iran o in Senegal: così è nata la International Association of Women’s Museums, racconta la sua coordinatrice Astrid Schönweger del Museo delle donne di Merano.
Proprio grazie alla rete di contatti della Iawm e a Eccom (European Centre for Cultural organization and Manangement) è nato il progetto “She-culture”, finanziato con il programma europeo Cultura 2007-2013 e al quale hanno partecipato quattro musei delle donne (italiano, norvegese, danese e albanese), un centro culturale di donne e un’agenzia privata di progetti internazionali, entrambi spagnoli. Partendo dal fatto che, nonostante le donne siano la maggioranza dei fruitori e dei lavoratori del settore culturale, spesso le rappresentazioni che vi si trovano sono al maschile, il progetto aveva come obiettivo l’analisi e la valutazione delle politiche di genere nel settore culturale a livello europeo e nazionale. Tuttavia, oltre all’analisi dell’esistente, il progetto comprendeva anche azioni per il futuro, in particolare la realizzazione di una campagna sulle tematiche di genere: il risultato è stata la produzione di un video sui giocattoli come mezzi del perpetuarsi degli stereotipi di genere, al quale hanno giovani artiste dei paesi coinvolti (clicca qua per vedere il video della campagna).

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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