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È stato dedicato alla “fantastica-mente” di Gianni Rodari il terzo incontro del ciclo “Viaggio nella comunità dei saperi. Istruzione e Democrazia”, tenuto da Daniela Cappagli e Roberto Cassoli. “Un poeta per bambini e per adulti”, lo ha definito Cassoli, nato il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta e morto il 14 aprile del 1980 senza aver compiuto 60 anni: “Rodari è morto e il mondo si è impoverito” commenterà Calvino. Il collega giornalista Tullio De Mauro lo ha descritto come uno “scompaginatore sapiente e irriverente del monolinguismo letterario” dell’Italia.
Figlio di un fornaio anticlericale, che “chiuse gli occhi per non vedermi vestito da balilla”, ricorda Rodari aggiungendo “L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. E’ fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di bronco-polmonite”. Si diploma maestro nel 1937 e nel 1944 si iscrive al Pci, diventa giornalista di Ordine Nuovo e poi de L’Unità: i colleghi di Milano lo vedono mentre scrive filastrocche e poesie sui muri della redazione. È a questo periodo che risale il personaggio di Cipollino, balenato nella sua fantasia mentre gira fra i banchi per controllare i prezzi di frutta e verdura per il giornale. Nel 1970 riceve il Premio Andersen, il massimo riconoscimento per la letteratura per l’infanzia.
Durante tutta la sua carriera di scrittore per l’infanzia costante è stata la sua attenzione per il mondo della scuola, come dimostra anche la sua collaborazione con il Movimento di cooperazione educativa per una ricerca pedagogica che si concentrasse non sul programma didattico ma sulla persona che deve crescere e formarsi. Secondo Daniela Cappagli la visione di Rodari del “rapporto fra istruzione e democrazia” può essere rintracciata, oltre che nel celeberrimo “Grammatica della fantasia” (Einaudi 1973), negli scritti teorici inediti raccolti in “Scuola di fantasia” (Einaudi 2014). Rodari pensa a una scuola che incoraggia la “curiosità della scoperta” come unico modo per apprendere, in cui l’insegnamento non è fatto di trasmissione di nozioni ma di sperimentazione attiva. Una scuola non autoritaria dove i ragazzi sono autorizzati “a guardar fuori dalla finestra per scoprire il mondo e incantarsi davanti allo spettacolo della vita”. Una scuola senza voti perché non ci può essere un sistema standardizzato se ciascuno ha tempi e modi di apprendimento diversi e perché i cosiddetti obiettivi non devono essere “l’elenco di quello che vogliamo dai bambini, ma di quello che dobbiamo fare noi per essere utili a loro”. In un mondo come il nostro “dove si respira aria che addormenta”, continua Cappagli citando Rodari, “la scuola non deve insegnare la lingua del sì per dire sì, ma la lingua della ricerca, della comunicazione sociale”, in altre parole “la lingua della creatività e della fantasia”. Curiosità, creatività, fantasia e soprattutto passione sono le parole d’ordine: “dovete vedere i vostri figli appassionati a ciò che fanno”, afferma Rodari rivolgendosi ai genitori. Sì perché la sua utopia era una società educante, dove tutti, insegnanti, genitori, famigliari, biblioteche e addirittura la tv, assolvessero il proprio compito di tirar su la generazione che sarebbe venuta dopo di loro.
“Bisogna rovesciare la scuola come una calza vecchia”: queste parole suonano rivoluzionarie ancora oggi, in un’Italia in cui il mondo della scuola è fatto di precariato, di edifici poco sicuri e di fondi spesso non sufficienti nemmeno per comprare il materiale didattico. Eccola qui l’utopia rivoluzionaria concepita dalla fantastica mente di Gianni Rodari: “Una scuola grande come il mondo”.

C’è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri e professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così…
Si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso!

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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