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da: ufficio stampa Camera di Commercio di Ferrara

A tutti voi, premiate e premiati di oggi, e ai vostri famigliari, le mie più vive congratulazioni e un caloroso benvenuto alla cinquantatreesima edizione della giornata della “Riconoscenza provinciale”. Grazie per quel che avete fatto, per quel che fate e che continuerete a fare. La Giornata di oggi è un riconoscimento al contributo che date alla nostra comunità. Un territorio diventa comunità se vi sono persone che si rendono conto che ci si realizza se si realizzano anche gli altri; e che si è liberi e gratificati se liberi e realizzati sono anche gli altri. E voi lo avete fatto ed è questo che ha mosso e che muove i vostri comportamenti.
Ringrazio le Autorità, che ci hanno onorato della loro presenza, i rappresentanti delle categorie economiche e tutti coloro che hanno lavorato per la buona riuscita di questo evento. Un ulteriore, sentito ringraziamento va ad Elisabetta Gori, bravissima conduttrice che, ancora una volta, sarà l’animatrice di questa giornata, e agli insegnanti ed ai ragazzi della scuola alberghiera che sempre collaborano alle nostre iniziative.
Ferrara è una provincia di straordinarie energie, che trae dalla sua cultura, dalla sua rete sociale, dai suoi diversi territori, dal suo patrimonio civile, risorse utili all’innovazione e allo sviluppo dell’economia. La qualità delle nostre imprese non è uno slogan, una illusione, o un accorgimento propagandistico: è una realtà che suscita apprezzamenti nel mondo, e che tutti noi dobbiamo conoscere meglio per valorizzare ancor di più.
Anche per questo, oggi, ci complimentiamo con Scent, startup creata da uno spin off della nostra Università, che il 26 novembre scorso, a Milano, ha vinto – pensate – la quinta edizione del premio Gaetano Marzotto, nella sezione principale “Premio per l’impresa”.
I giovani fondatori di questa startup ferrarese, che la Camera di commercio premierà il prossimo mese di marzo, hanno ideato dispositivi in grado di rivelare l’insorgenza di formazioni tumorali sui pazienti attraverso l’esame delle variazioni chimiche che possono caratterizzare i gas emessi dal corpo umano. Una innovazione rivoluzionaria rispetto ai test attualmente in uso, solitamente basati su un’analisi di tracce organiche prelevate dai pazienti. Un’affermazione, quella di Scent, che mi auguro possa stimolare soprattutto i più giovani, affinché conoscano e trovino rinnovate ragioni di impegno.

La competizione di oggi si chiama “Innovazione e Cambiamento”. Non può esserci innovazione senza che qualcuno un po’ folle, e forse inconsapevole, decida di correre il rischio e di investire per cambiare l’ordine delle cose. Questo individuo un po’ folle, uomo o donna, giovane o meno che sia, è l’imprenditore!
E’ inutile nasconderci dietro ad un dito e fare finta di nulla. Il nostro Paese e, più in generale, anche larghe parti dell’Europa vedono nella figura dell’imprenditore l’immagine di qualcuno che persegue il suo interesse personale anche a discapito della collettività.
Manca, ahimè, una cultura a favore dell’impresa, ed il Rapporto 2015 della Banca mondiale lo dimostra:
• l’Italia si posiziona al 56° posto per la facilità di fare impresa, schiacciata dal peso della burocrazia e delle tasse: il nostro total tax rate è del 64,5%, contro una media dell’area euro del 44,2%;
• un italiano che voglia fondare un’impresa impiega 10 giorni contro la mezza giornata necessaria per una sola procedura in Nuova Zelanda. E ancora:
• il costo per aprire un’impresa in Italia è di 3.783 euro contro i 93 euro della Danimarca (applicando lo stesso costo della Danimarca, potremmo risparmiare 2,7 miliardi ogni anno);
• la quota dei giovani in cerca di lavoro è la più alta d’Europa (nel 2014 il 26,2% ): una vergogna assoluta, uno spreco di capitale umano;
• solo il 5% degli imprenditori italiani ha meno di 40 anni.
Eppure, in Europa, tra il 2009 e il 2014, nonostante la crisi e un aumento della disoccupazione del 3%, le Piccole e Medie imprese hanno creato quasi 2 milioni di nuovi posti di lavoro.
L’Europa, l’Italia, la nostra comunità hanno un bisogno disperato di più imprenditori . E’ indispensabile agire nella direzione di uno sforzo di sistema per promuovere la cultura dell’imprenditorialità, specialmente tra le nuove generazioni.
Cito, a tal proposito, le parole di un importante imprenditore israeliano, Yossi Vardi: “In Israele ci sono 600.000 startup su 8 milioni di persone; da noi tutte le mamme vogliono che il loro figlio ne apra una; quando il bimbo ha sette anni gli dicono che dovrà vincere il nobel, questo fattore culturale è stato fondamentale nel nostro sviluppo”. Vi domando: è così anche in Italia?
I tempi sono maturi per riconoscere all’impresa il ruolo che merita. Per pensare “in grande” dobbiamo prima pensare “al piccolo”. Nelle ultime settimane i richiami in questo senso si sono fatti più insistenti, a reclamare le ragioni di quella che è stata definita – dalla stampa più autorevole – “l’architrave di passioni e competenze che regge alla base il sistema economico” del Paese. Quei sei milioni di produttori “invisibili” che tengono insieme – attraverso una fittissima rete di rapporti – il tessuto non solo economico, ma anche sociale dell’Italia.
Dobbiamo diventare uno Stato che fa il tifo per chi fa impresa e nel quale tutti siano promotori di questa finalità: startup nation dovrà essere un vero e proprio piano nazionale per mobilitare e attrarre nuovi investimenti, persone e competenze nel Paese.
Servono maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, maggiori incentivi nei confronti delle imprese innovatrici, servono strumenti finanziari specifici per finanziare nuove startup e giovani talenti. Servono partnership pubblico-privato efficaci, legami tra università e impresa più stabili, attenzione al mercato del lavoro, potenziamento qualitativo dell’istruzione. Sono queste, a mio parere, le chiavi per avviare una nuova fase di crescita.
Se il federalismo sarà il banco di prova più importante dei prossimi decenni del Paese, allora deve essere il federalismo che serve alle imprese. Quel federalismo fatto di responsabilità nella solidarietà, di valorizzazione delle eccellenze per metterle al servizio di tutti. Non quello che moltiplica le normative, che ricostruisce a livello locale burocrazie antiquate, che frammenta anziché unire i mercati.
Dobbiamo fare avanzare il Paese alla stessa velocità, sospingendo la nave più lenta, non rallentando quella che guida il convoglio!
Veniamo dalla crisi economica più grave e lunga dopo la Seconda guerra mondiale. Una crisi che ha causato ferite profonde, allargato le disuguaglianze, rallentato la mobilità sociale. Ora, tuttavia, registriamo segnali di ripresa, che rappresentano una sfida oltre che una opportunità per troppo tempo attesa.
E’ l’intero sistema Paese, non solo un suo segmento o la sua élite, che deve compiere il salto in avanti. Dalla crisi – penso sia ormai evidente a tutti – non usciremo riproducendo le condizioni di prima. L’orologio non può tornare indietro!
Con la stessa forza con cui si è abbattuta sulle economie di tutto il mondo, la crisi ha però riportato all’attenzione l’importanza dei valori “tangibili” per lo sviluppo: la produzione dei beni e le regole che ne governano lo scambio. Questa ritrovata consapevolezza – unita all’esercizio della responsabilità – è la risorsa più preziosa su cui possiamo contare per recuperare quel bene insostituibile che è alla base di ogni prospera convivenza: la fiducia.
Un obiettivo possibile solo se tutti insieme, nessuno escluso, riusciremo a condividere la visione di una società diversa, più rispettosa dei sacrifici delle persone, più giusta verso chi si impegna ad osservare le sue regole, più ricca di opportunità per chi ne fa parte. L’esperienza di chi fa impresa sa da sempre che i grandi sconvolgimenti sono anche momenti in cui si aprono le più grandi opportunità.
Tuteleremo il nostro modello sociale, i nostri valori, la coesione che riteniamo indispensabile, soltanto se saremo capaci di migliorarci, di essere al tempo stesso più competitivi e più solidali, se avremo la forza di crescere nelle conoscenze, di diffonderle, di creare lavoro, di premiare i giovani, il merito, le eccellenze, e insieme di allargare le opportunità (amici, è il senso della giornata di oggi).
Talvolta la polemica offusca la visione del bene comune. Non si tratta di negare la competizione tra idee e interessi diversi, né il confronto dialettico. E’ necessario che il pluralismo si esprima e che la democrazia sia viva. Ma dobbiamo anche allenarci a riconoscere gli obiettivi da condividere e le necessarie convergenze. Perché così saremo tutti più forti. E saranno più credibili il Paese e le sue istituzioni.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovare certezze e un futuro da condividere. C’è bisogno di riaffermare un insieme di valori che sia comune a tutti. Valori senza i quali non può esistere una identità collettiva utile a costruire un nuovo Paese: l’Italia di domani.
Voi, premiate e premiati di oggi, ne siete ricchi e lo dimostrate ogni giorno: capacità ed impegno personale, amore per l’arte e la cultura; forte desiderio di conoscenza; etica imprenditoriale e responsabilità sociale; solidarietà, altruismo e generosità sono i vostri tratti distintivi. Siamo orgogliosi di voi.
In questa direzione, nella Vostra direzione, faremo in modo si muoverà la “futura” Camera di commercio, aprendo nuove strade, allargando gli argini, investendo nella formazione e nei saperi, dicendo la sua dove ci sarà bisogno di lei!
E ci muoveremo con le caratteristiche degli imprenditori:
• con perseveranza;
• con passione sconfinata;
• con generosità;
• vedendo opportunità dove altri non le vedono;
• attivando e motivando talenti.
Oggi, le Camere di commercio sono chiamate a cambiare. Lo stiamo già facendo – con impegno e tempestività ma non senza sacrifici – tagliando i costi, facendo economie di scala, qualificando la spesa. Perché vogliamo fare meglio ed essere ancora più utili alle imprese.
Per questo, abbiamo chiesto al Governo e al Parlamento una riforma in tempi rapidi, che dia certezze sulla mission e sulle risorse del sistema camerale, valorizzando appieno la ricchezza dei territori attraverso Camere di commercio sane sotto il profilo finanziario, forti ed efficienti dal punto di vista organizzativo, efficaci nelle loro azioni. Che è poi il nostro modo di affermare un principio di cittadinanza economica e, quindi, di pari dignità e pari opportunità di tutte le imprese di fronte al mercato.
Perchè Noi apparteniamo alle imprese. Nessun’altro può indicarci le priorità da seguire. E’ questa la nostra forza. E’ questo il patrimonio che abbiamo il dovere di custodire gelosamente!
E a proposito di coraggio, di intraprendenza e di innovazione, Papa Francesco ha detto, di fronte al Parlamento europeo e al mondo intero: “E’ giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. E’ giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica e di valori umani”.
Le difficoltà poste sul nostro cammino rendono, infatti, sempre più evidente che nessun Paese europeo può risolvere da solo i problemi posti dalle crisi economiche, così come quelli delle minacce del terrorismo internazionale e dagli inediti, epocali flussi migratori. Lo sanno bene gli imprenditori, a confronto con uno scenario sempre più concorrenziale su scala globale, che richiede il sostegno di istituzioni, regole e scelte politiche a livello continentale.
Progettare il futuro, a partire dalle difficoltà e dalle sfide che stiamo vivendo, è la strada per governare bene anche il presente, con i suoi problemi cosi gravi. Come amava ricordare Jean Monnet: ”Non possiamo fermarci quando il mondo intero è in movimento”.
Un grande allenatore di tanto tempo fa, prima di andare in campo, ricordava ai suoi uomini una verità dello sport come della vita: “Chi non dà tutto, non dà niente”. Ecco, da padrone di casa di questa nostra Giornata di festa voglio fare mio questo appello. Chi vuole essere generoso verso il futuro deve cominciare a dare tutto al presente!
A noi tutti, dunque, l’augurio di mantenere questo spirito, capaci di ricollocare i Vostri valori ed il Vostro esempio nelle condizioni nuove che la storia ci consegna.

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CAMERA DI COMMERCIO


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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