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Sulla vicenda fondazioni abbiamo sentito il parere il Paolo Calvano, attuale segretario provinciale del Partito democratico di Ferrara, in odore di promozione al regionale. A lui, che ha letto con attenzione tutte le puntate della nostra inchiesta sull’ “oro del Pci”, abbiamo chiesto innanzitutto se la “messa in sicurezza” del patrimonio dei Ds, decisa nel 2007, oggi, a sei anni dalla nascita del Pd, abbia ancora un senso.
“La scelta è stata fatta, al momento della creazione del nuovo soggetto, dai due partiti che l’hanno costituito: i Democratici di sinistra e La margherita. Entrambi hanno deciso di non conferire il loro patrimonio. Io su questo non esprimo giudizi”.
Non ritiene ragionevole che un’unione politica fra gli eredi della tradizione comunista e di quella democristiana suggerisse qualche cautela? Non era proprio scontato che le cose funzionassero…
“Spero che la scelta non sia dipesa da timori circa la capacità del Pd di decollare, perché questo avrebbe significato avere coltivato riserve mentali insidiose. Ma io guardo al presente e dico che ora il Pd ha una sua chiara fisionomia. In questa logica sarebbe sensata la cessione del patrimonio al Partito democratico”.
Il presidente della fondazione L’Approdo, Cusinatti, però ha insistito su un punto previsto dallo statuto: la continuità con i valori propri della sinistra…
“In questo senso, per quanto riguarda la collocazione del Pd, mi pare che i dubbi siano già stati sciolti e la recente volontà di iscrivere i nostri rappresentanti in Europa al gruppo parlamentare socialista sono la conferma della vocazione di una forza che è espressione di una sinistra moderna e riformista”.
Altri, più o meno velatamente, ritengono invece che le fondazioni intendano perpetrare se stesse per operare un potere di condizionamento esterno, agendo alla stregua di lobby.
“E’ l’idea del vecchio che vuole influenzare il nuovo, certo. Ma per quanto ci riguarda devo dire che il rapporto è molto chiaro: la fondazione affitta, a condizioni privilegiate, direttamente ai circoli i locali dei quali è in possesso; inoltre assieme a loro condividiamo alcuni progetti dei quali loro si prestano ad essere partner o sponsor, come è accaduto di recente con la scuola di formazione politica o in altre simili circostanze”.
La fondazione peraltro si regge su uno statuto che prevede cariche a vite e non impone specifici obblighi di informazione, tant’è che sino ad ora i responsabili si sono limitati agli adempimenti di legge, ma di quel che è stato fatto e speso, in precedenza, s’era saputo poco. Le che ne pensa?
“Credo che questi caratteri siano scarsamente compatibili con le nuove forme che la politica sta cercando di assumere e penso che la sussistenza di cariche a vita sia espressione e retaggio di una stagione precedente. Una cosa del genere è paradossale quando, in parallelo, ci si interroga sulla possibilità di svolgere più di due mandati politici”.
E’ quindi una situazione anomala che va affrontata.
“Certo, avendo però chiarezza su cosa si vuole fare. Anch’io mi domando se sia opportuno che il partito gestisca direttamente il proprio patrimonio. Ma questa è una decisione che esula dall’ambito locale”.
E a livello nazionale ne state parlando?
“Renzi è appena arrivato, il nuovo tesoriere si è insediato adesso anche lui. Il tema va affrontato tenendo conto delle modalità di finanziamento dei partiti, profondamente modificate dal governo Letta, e dovrà considerare le capacità di autofinanziamento dei soggetti politici”.
Ma in passato ne avevate discusso?
“A mia personale memoria, nel corso degli ultimi quattro anni no”.
Che idea si è fatto leggendo l’inchiesta di ferraraitalia?
“Ho l’impressione che si sia sviluppato un dibattito che si sarebbe dovuto fare prima, quando quelle decisioni sono state prese. Ma io ora devo guardare avanti e pensare al partito che vogliamo”.

7 – CONTINUA

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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