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C’è un evento profondamente radicato nella tradizione di un popolo, da non perdere nel viaggio verso l’oceano Atlantico racchiuso dal Golfo di Guascogna, decisamente amalgamato al sangue di chi lì vive e che, considerato i suoi protagonisti, divide il mondo intero sul tema sensibile del rapporto fra uomini e animali.
Si celebra nella terra dei tori e di molto altre tipicità, come il Rjoca (un vino intenso principalmente prodotto nel colore tinto), compresa fra le province autonome di la Rioja, la Navarra e di Álava.
Parliamo ovviamente in Spagna, a Pamplona, città dalla fortezza pentastellata, al centro dell’ampia provincia Basca, terra di forti sentimenti autonomisti, con una propria lingua e cultura e, per decenni, al centro di un conflitto dilaniante per l’intera comunità spagnola.
La corsa dei tori (el encierro de toros) più nota al mondo, venne narrata da Ernest Hemingway nella metà degli anni Venti del ‘900 nel suo romanzo “Fiesta“, che gli è valso anche un monumento a mezzo busto nella piazza principale della città. È l`evento di richiamo internazionale che si svolge nel corso della Fiesta de San Fermín a Pamplona o Iruñea nella lingua Euskera, un condensato di religione, storia, tradizione e commercio in programma dal 6 al 14 luglio di ogni anno.

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L’attesa

Ne scrivo con piacere, come un cronista che alla sua terza partecipazione osserva lo svolgimento dell’evento da un balconcino preso in affitto al terzo piano di edifici alti almeno cinque piani, e dal quale in ottima posizione può controllare dall’alto, da sinistra a destra, circa 100 metri del percorso. Le abitazioni che fronteggio a circa 5 metri di distanza, formano un canyon urbano rispetto al piano stradale sul quale a breve scorrerà il fiume di persone e tori. La corsa prende avvio tutti i giorni della Fiesta, salvo il giorno iniziale, in una cornice di grande attesa e di trepidazione, sempre puntualissima alle 8 del mattino quando le strade in sasso sono ancora umide e scivolose.
Il lavaggio di piazze e vicoli è d’obbligo dopo l’ubriacatura notturna di alcol e di festeggiamenti che lascia sul terreno carte, bicchieri, vetri rotti e un odore inconfondibile di necessità umane.
Per pochi secondi quella mia prospettiva diventerà un osservatorio privilegiato sul genere umano lì fremente: uomini e donne, giovani, comunque creduti maggiorenni, e meno giovani, un misto di follia collettiva, di dimostrazione di coraggio individuale, di incoscienza e una sfida alla vita che in diversi casi si è risolta in gravi ferite o, fortunatamente in rare fatalità, con la morte.
Si parte! I tori, e qualche bue, vengono liberati in branco su una stretta curva e lanciati come una mandria disordinata che si rincorre all’impazzata per le strettissime strade del centro storico cinquecentesco della cittadina di origine romana, ‘las calles histὸricas’ de Pamplona, e per un percorso complessivo di 800 metri circa fino all’arena.

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La corsa vista dal balcone

I tori sono accompagnati in questa folle corsa da due ali di persone in larga parte ancora stordite dal fiume di birra e vino bevuto la notte e dall’adrenalina che emerge il mattino con il tasso emotivo e quello alcolico alle stelle. Nulla spaventa i partecipanti e anch’essi si lanciano ad inseguire o a farsi inseguire dai tori per toccarli, che nel loro impeto travolgono qualunque ostacolo si ponga dinanzi loro. Un formicaio impazzito visto dall’alto di uomini e donne esperti per aver partecipato a precedenti inseguimenti, e meno esperti, provenienti da ogni continente e tutti insieme con il completo tipico della manifestazione di maglia e pantaloni bianchi e la tradizionale fascia in cintura e fazzoletto rosso, che corrono nello stretto vicolo e confondono il movimento disordinato delle gambe, delle teste e delle braccia che si intrecciano fra loro, causando la caduta a terra dei meno fortunati che tentano di proteggersi dagli zoccoli dei tori che corrono all’impazzata.
Tori da 700 chili di muscoli arrivano da dietro il gruppo a testa bassa, malfermi sul selciato scivoloso sbandando a destra e a sinistra con le corna pericolosamente in avanti, fanno risalire dal basso un insieme di urla di timore emesse dai corridori e poi di liberazione scampata l`eventualità non remota di essere calpestati o incornati.
Tutto avviene sotto i miei occhi e piedi, là in basso, in pochi secondi, massimo 30, drammaticamente coinvolgenti anche per chi non corre e poi, in un attimo, tutto si trasferisce alla curva successiva dove si sentono ancora urla, brusio e poi più nulla. L`intero percorso urbano di chi corre e di chi insegue si esaurisce nell`arco di 3-4 minuti al massimo. I tori ormai lanciati come proiettili entrano in arena, alla ‘plaza de toros’, attraverso uno stretto portone in legno, formando spesso un tappo insieme agli uomini che cadendo provocano un groviglio che intasa l’entrata.
Il rito più cruento e fatale, non sempre per il toro, è del pomeriggio, ma la corrida, questo spettacolo popolare, non la racconto. Alla fine si ha l’impressione che le indicazioni sui comportamenti vietati da tenersi durante la manifestazione e indicate sul sito sanfermin.pamplona.es nessuno le abbia mai lette. Per chi non volesse partecipare alla corrida pomeridiana, vi è nel centro la sfilata de ‘los gigantes’, ossia Comparsa de gigantes y cabezudos de Pamplona, una intensa e pittoresca continuazione della Fiesta scandita dal ritmo della musica e dai tanti bambini e adulti con numerosi figuranti in abiti di cartapesta, accompagnata da una ottima cucina e della quale si ritrovano tracce già nel XVI secolo.
Una tranquilla conclusione per una giornata vissuta al centro di una appassionata tradizione e di una fiammata di forti emozioni.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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