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L’immane scontro che ha bloccato il cento per cento dell’Itaglia e il cinquanta per cento dell’Italia si è concluso con uno straordinario consenso da parte delle masse adoranti per i due colossi in gara. La partita Napoli-Juventus e il Festival di Sanremo hanno fatto il pieno dell’audience.
Chi scrive ha una specie di allergia permanente per la nobile arte del calcio e una moderata curiosità per le canzonette e quindi è un testimone se non affidabile perlomeno non coinvolto in faziosità da curva Sud.
Affannosamente alla ricerca di qualsiasi film che potesse essere un’alternativa alla serata milionaria di utenti televisivi, visto la miseranda offerta che tutte le tv offrivano, dopo un melenso film di Verdone in vena di Family day, approdo sul palco del mitico Ariston addobbato come mai mente umana avrebbe potuto pensare: luci psichedeliche, fumi, scale e scaloni, “brillò” – come avrebbe detto la nonna – e naturalmente, per scandire la novità, l’assoluta mancanza di fiori e di verde.
Come essere su un altro pianeta.
In attesa che i noiosissimi cantanti finissero le loro nenie (all’inizio del Novecento un termine raffinato li avrebbe definiti melologhi), minuziosamente osservo le mises. Il bronzeo Conti indossa smoking inventati per un’improbabilissima concezione di cos’è distinzione e classe, del resto rigorosamente banditi dal borghesissimo e conservatore pubblico. Il monumentale valletto, colosso vivente, il Garko tutto dente e niente in testa, sghignazza alle proprie battute che lui stesso tenta di spiegare al pubblico. Un’allampanatissima e carina dama di cuori arriva sculettando ed esibendo pezzi di corpo studiosamente esibiti. Manca solo l’ostensione della ‘natura’ – quella di Courbet naturalmente – ma purtroppo, come si sa, è proibita perfino da facebook! Si chiama Madalina Ghenea. Infine una trasformista formidabile, Virginia Raffaele, che gioca con le icone del nostro tempo: sarte, ballerine, attrici e naturalmente con se stessa. Non male. Specie se racconta la sua infanzia al Luna Park romano gestito da suo nonno dove ha passato l’infanzia. Se vero o verisimile un pezzo degno di Fellini, se falso un’ottima presa per i fondelli.
Secondo le più astute modellizzazioni del sentimento, ecco allora profilarsi il rigorosissimo impianto mediatico. Il dentone sventato, ma bell’esempio di maschio italiano, senza alcun compromesso d’identità sessuale pur con il grande sventolìo di nastrini colorati in difesa della legge Cirinnà. Anche se dubito che tutti siano trascinati e coinvolti dall’adesione ai principi della famiglia allargata. La rumena che vive in provincia e che sogna il palcoscenico, ma soprattutto il festival, che la farà principessa disneyana con tanto di vestiti atti all’uopo che nulla nascondono. Delle origini circensi della Raffaele già s’è detto e del bronzeo Conti se ne discuterà per mesi (o forse giorni).
Insomma l’Itaglia che s’appassiona e commenta può, secondo l’antico costume espresso dal motto ‘panem et circenses’, raccogliere benignamente i gravissimi insulti che felpetta nera Salvini rivolge alla magistratura, bollata sprezzantemente come “una schifezza”. Il viso si trasforma nell’insulto, la bocca si torce per esprimere tutto il disgusto verso chi osa, la magistratura appunto, sfiorare gli innocenti della Lega. L’ombra della salivazione rende ancor più velenoso l’insulto.
Siamo fatti così noi itagliani sempre pronti a confondersi e fondersi con il vincitore di turno.
Amici americani assicurano che mai Donald Trump vincerà le elezioni. Esattamente con le stesse parole che sentii decenni fa in Usa prima del giorno della vittoria (da declamare secondo l’incipit verdiano del Macbeth) che proclamò un mediocre attore Ronald Reagan a imperatore del mondo.
Certo non c’è gara tra Salvini, Grillo e perfino Renzi e il colosso Trump. Ma facciamo attenzione….
Sicuramente tra noi radical-chic lo sbeffeggìo imperversa come severamente ricorda il consulente ferrarese di Renzi, Marattin, mentre all’interno del Pd se le danno di santa ragione i probabili successori al posto ottimamente ricoperto dal sindaco Tiziano Tagliani. “Vengo anch’io! No tu no… cantava un grande saltimbanco della satira”.
Ma per rendere più credibile il clima sanremese si vedano i tal kshow dove loro, i politici, cercano di offrire l’apparenza di sé. Voci impostate, tono querulo di cui è maestra la Santanché. Tono affermativo rassicurante della Serracchiani. Occhio rotante e sempre stupito di Alfano. Voce beffarda e molto chic di Massimo Cacciari; con tutto il coro di commentatori onnipresenti sempre quelli e che ripetono tutti lo stesso concetto.”E’ tutto sbagliato”.
Se la vita è teatro, il teatro in questo caso è quello dell’Ariston, benedetto anche dal Primo Ministro in visita all’estero che ringrazia la Rai d’aver confezionato sì bello e applaudito show.
Mai che nessuno a questo punto pronunci come nelle favole le ingenue parole :”Il re è nudo”?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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