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di Marzia Marchi

C’è una miopia congenita nel modo di valutare la situazione del petrolchimico ferrarese. Una realtà che da tempo presentava conti rilevanti dal punto di vista ambientale e che ora sta presentando anche quelli sotto il profilo lavorativo. Miopia che ha fatto comodo a tutti, sindacati compresi. Da anni come ambientalista volontaria prima in Rete Lilliput e poi in Legambiente, ora in Greenpeace vado denunciando un sistema nefasto di silenzi e commistioni che ora si traduce nel disastro ambientale delle torce d’emergenza troppo spesso accese, di una situazione irrespirabile dell’aria di Ferrara, delle falde acquifere compromesse e da ultimo di un sito inquinato che perde via via produttività. Due accordi di programma sono a testimoniare quanto affermo, il primo del 2001 e il secondo del 2008. Accordi sottoscritti dalle imprese congiuntamente alle associazioni di categoria, sindacati e istituzioni (l’accordo di programma 2001 sulla riqualificazione e la compatibilità ambientale del polo chimico di Ferrara è stato sottoscritto dal Ministro dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato Enrico Letta, il Presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani, il Presidente della Provincia di Ferrara Pier Giorgio Dall’Acqua, il Sindaco del Comune di Ferrara Gaetano Sateriale, l’Osservatorio Chimico Nazionale, l’Unindustria di Ferrara, la Federchimica, le Organizzazioni Sindacali Confederali (CGIL, CISL, UIL) e di Categoria (FILCEA, FEMCA, UILCEM), l’EniChem S.p.A., la Basell Poliolefins S.p.A., la Hydro Agri Italia S.p.A., la Polimeri Europa S.r.l., la P-Group S.r.l., la Crion Produzioni Sapio S.r.l., la S.E.F. S.r.l., la C.E.F. S.p.A., la ENIPOWER S.p.A., l’Ambiente S.p.A., la SIPRO S.p.A. Nel secondo accordo, che di fatto rinnovava il primo senza che i punti salienti fossero stati realizzati, cambiano i nomi dei rappresentanti istituzionali e quelli di alcune aziende nel frattempo subentrate).
Il secondo accordo recita in premessa: “le parti firmatarie hanno individuato nel 2001 con l’accordo di programma la necessità di riqualificare il polo chimico di Ferrara e di promuoverne lo sviluppo compatibile”.

Il 26 gennaio prossimo in Prefettura sono convocate le aziende del Polo chimico per dare conto di un uso inconsueto e preoccupante delle torce di emergenza!
Che resta dei propositi dell’Accordo di programma del 2008? La valutazione è già contenuta in questa convocazione e nell’atteggiamento antisindacale che occupa le pagine dei giornali, non solo locali, in merito alle scelte aziendali in essere. Invece del rilancio e della conversione ‘green’, troppo superficialmente sostenuta dai rappresentanti politici istituzionali locali, anche di alto livello, accade che un’azienda partecipata dallo Stato come Eni voglia dismettere la propria quota in Versalis, azienda protagonista dei sinistri e ingiustificati boati di luglio scorso e dell’8 gennaio, per riversarla nelle mani di un non meglio precisato fondo di investimento internazionale. Quali gli effetti di due accordi di programma? Che l’azienda Solvay produttrice del Cvm (cloruro di vinile monomero) riconosciuto responsabile dell’inquinamento delle falde acquifere, della morte e malattia di un centinaio di ex dipendenti sia rimasta impunita con un processo in cui giudici, non evidentemente all’altezza di un Casson o di un Guariniello, hanno assolto i vertici perché “il fatto non sussiste”, complici prescrizioni e cavilli burocratici e – aggiungo io – un devastante silenzio politico. Mentre con 41.000 euro di oblazione se la sono cavata i vertici di Basell e Yara chiamati a rispondere di emissioni non autorizzate in atmosfera, avvenute dal 2007 fino al 15 ottobre 2010 e per aver utilizzato le torce pur in assenza di situazioni di emergenza dal 16 ottobre 2010 fino al 19 luglio 2011. I due vertici Basell erano inoltre imputati di aver provocato emissioni pericolose che causarono molestie agli abitanti della zona. Stessa imputazione (dal 2007 fino al 12 maggio 2011) per i vertici Yara.

Sempre in base all’accordo di programma si fece passare la costruzione della centrale turbogas Sef da 800 Mw – nonostante un forte movimento sociale contrario – come una panacea per lo sviluppo del Polo chimico salvo ammettere, due anni dopo la sua entrata a regime, che l’energia di Sef costava alle aziende interne circa il 10 % in più. Un fallimento ampiamente previsto.
Ora, leggendo il Piano di emergenza esterno del 2015, sul sito Ifm, alla voce scenario di rischio per Yara, principale “imputata” sull’accensione torce, situazione B1 si legge: “rilascio di gas di processo dalla sezione di sintesi”, sostanze pericolose ammoniaca, area di danno 22 addetti, area di attenzione 20.705 persone , elementi di vulnerabilità: strade, autostrada, canali, ferrovia, 4 asili nido, 11 scuole d’infanzia… insomma il disastro. E stiamo parlando di una sola tipologia di incidente, poi c’è lo scenario Versalis, prendiamo solo il caso C (torcia), : “irraggiamento a terra da torcia B/7 a seguito di eventi anomali (i famosi dischi di rottura?), sostanze pericolose: etilene, propano, propilene e altri gas infiammabili. Scenario Jet fire.
Il testo è pubblico, basta aver voglia di sapere.

Il petrolchimico, come amaramente profetizzato, non ha compiuto né una conversione ecocompatibile, né un processo di innovazione tecnologica anche perché è mancata una vera opposizione al suo funzionamento. Il tabù dei posti di lavoro ha fatto convergere sulle posizioni delle aziende chi doveva vigilare e condannare (vedi vicenda Solvay). Ora i nodi vengono al pettine e spiace per le vicende umane ma una battaglia per la salvaguardia dei posti di lavoro non può prescindere dall’analisi dei rischi ambientali che la presenza del polo chimico comporta per la città e dalla costruzione di una vera alleanza tra le istituzioni, i sindacati e i cittadini che, variamente costituiti, negli anni hanno avanzato dubbi e domande rimaste senza risposte. Questi cittadini avrebbero tutto il diritto di trovare una loro rappresentanza all’incontro in Prefettura del 26 gennaio.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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