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Fonte: Il Sole24ore

Questo eloquente grafico mostra l’espansione del bilancio della Banca Centrale Europea (Bce) e ci dice che ha superato i 4.000 miliardi. In realtà potremmo osservare lo stesso fenomeno se guardassimo il grafico della Fed americana o della Boj giapponese, ma cerchiamo adesso di comprendere per bene il dato.
Per qualsiasi azienda nel mondo, e anche per qualsiasi famiglia, se aumenta la cassa vuol dire che sono aumentati i soldi a disposizione e quindi è aumentata la capacità di spesa. Questo può avvenire perché ho venduto un maggior numero dei beni o servizi che produco o perché ho abbassato i costi. Per le famiglie, perché magari ha cominciato a lavorare anche uno dei figli oppure perché tutta la famiglia sta risparmiando per progetti futuri più di quanto spende.
Da dove arrivano invece i soldi della Bce che le hanno permesso di espandere il bilancio? Non produce beni e tantomeno ne vende. Elargisce servizi (o almeno dovrebbe), simili per esempio alla scuola che produce cultura, oppure alle forze armate che producono sicurezza, cosa rende quindi così speciale il suo bilancio?
Proprio il fatto di essere una banca centrale, non un’azienda e tantomeno una famiglia. Un grave errore di metodo, se davvero si vogliono capire questi fenomeni, è proprio fare questi paragoni. Si rischia di ragionare, per esempio, come Giannino quando urla da Radio24, ovvero si parla di economia senza capirne il senso, con l’aggravante di confondere le idee a chi cerca di avvicinarsi al tema.

Una Banca Centrale il denaro lo crea e se funziona bene ne crea esattamente quanto ne serve al sistema. Infatti, se ne immette in circolazione troppo poco si ha la deflazione, se ne immette di più del necessario, si ha l’inflazione. Quale di queste situazioni è la peggiore? La deflazione protegge i creditori, cioè chi i soldi li ha, mentre l’inflazione protegge i debitori, cioè chi i soldi non li ha e quindi li chiede in prestito. Negli anni Ottanta si pagavano, per esempio, interessi del 20%, ma se l’inflazione era al 18% allora si pagava realmente il 2% netto. Con l’attuale deflazione se l’interesse da pagare è il 3%, questo è un dato reale, senza sconti per lo Stato e per i cittadini che poi sono chiamati a ripagare in un modo o nell’altro.

Il “whatever it takes” di Mario Draghi, pronunciato nel 2013, era una minaccia ai mercati, un messaggio per dir loro che dovevano smetterla di speculare sui cosiddetti paesi a rischio dell’eurozona. E che cosa stava minacciando esattamente? Minacciava… di stampare moneta, tanta e fino a quando fosse stato necessario, senza limiti di sorta, attraverso i prestiti alle banche a basso costo (1.000 miliardi di Tro e Ltro) e l’acquisto di bop, utilizzando l’operazione in codice “quantitative easing” (a oggi oltre 2.000 miliardi di euro).
Ecco, di conseguenza, spiegata l’espansione di bilancio della Bce: ha stampato / creato soldi.

Dunque, scriviamolo di nuovo. Per uscire da quella terribile crisi è bastato che il governatore della banca centrale dicesse ai mercati che in caso di bisogno avrebbe stampato soldi. Non so se noi tutti abbiamo ben compreso la faccenda, ma i mercati, da parte loro, compresero molto bene e, infatti, i tassi sui nostri titoli di Stato sono scesi dal 7,5% di allora a circa il 2,5% di oggi.
Oltre l’espansione dei bilanci e i tassi di interesse ci sono anche altre riflessioni da fare. Vedo il punto interrogativo sulla testa dei lettori che chiedono: ma se uno Stato attraverso una Banca centrale può riacquistare i suoi btp (titoli di Stato) precedentemente emessi stampando semplicemente la somma di denaro corrispondente, allora a che serve emetterli? A questo punto si potrebbe direttamente immettere nell’economia i soldi necessari senza passare per i mercati finanziari e sottostare all’altalena degli interessi.
Per quelli più attenti si può andare addirittura oltre ed ipotizzare che lo Stato in questo modo potrebbe tranquillamente spendere per assorbire l’11% di disoccupazione e ricostruire dopo i terremoti, sistemare gli argini dei fiumi, assumere altri vigili del fuoco e forestali e via discorrendo.
Beh, credo proprio di sì: lo Stato in linea di principio potrebbe farlo. Ma lo Stato oggi non siamo noi. Lo Stato oggi è la politica e la politica è quella che si vede in tv, niente altro. E il grosso problema o limite all’intervento politico è contenuto nelle parole “senza passare per i mercati finanziari”. E non c’è niente da fare, si dipende sempre da qualcuno: eliminata la dipendenza dai cittadini si è passati alla sudditanza dai mercati, dalle banche e dalla finanza.

La speculazione, da parte sua, opera e vince solo se lo Stato non controlla i fenomeni macroeconomici. Questi, infatti, non funzionano da soli come blaterano i neo liberisti e se non li controlla lo Stato sono alla mercé del più forte, che ovviamente ne approfitta. E come dargli torto? Purtroppo a noi non sembra dispiacere più di tanto l’ovvia sudditanza di quelli che decidono in nostro nome, nonostante continuiamo a pagarli come se fossero nostri dipendenti. E riusciamo a convivere molto tranquillamente con tassi di disoccupazione oltre il 10%, con risparmi che evaporano, governi tecnici che si rimbalzano senza passare mai per le elezioni, pensioni che si allontanano dalla nostra visuale e i soliti noti che si ingrassano e dibattono della struttura delle pietre delle Dolomiti.
E ben vengano gli appassionati e distraenti dibattiti sullo ius soli e la teoria gender o su chi è stato il primo a presentare la legge sull’eliminazione dei vitalizi ai parlamentari.

Ma torniamo alle domande che a questo punto si rincorrono, sono conseguenti, con la speranza si cominci a svilupparle anche a livello dei bar di periferia, tra un gol di Totti e i drammi di Angelina Jolie: a chi conviene che l’Italia non abbia una Banca Centrale pubblica visto che qualche macro problema potrebbe risolverlo? A chi conviene che l’Italia sia costantemente sotto attacco della speculazione? Perché abbiamo creato una Banca Centrale Europea che non lavora per gli Stati e i cittadini, ma decide le sue azioni in autonomo e interviene solo dopo che i disastri si sono già palesati?

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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