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«Il Premio Stampa a me? Quando hanno detto che me lo volevano dare, sono rimasto, come dire… stupefatto». Ha esordito così il giornalista ferrarese Gian Pietro Testa nella sala del Consiglio comunale di Ferrara, invitato ieri dall’Associazione stampa cittadina per ricevere il premio alla carriera. Gian Pietro Testa è stato giornalista de “Il Giorno” insieme con Giorgio Bocca, inviato speciale de “l’Unità” e di “Paese sera”, chiamato a dirigere l’Ufficio Stampa del Comune di Ferrara a cui ha dato un’impronta organizzativa professionale in tempi pioneristici (anni ’80), fondatore della scuola di giornalismo di Bologna (anni ’90) e anche tra i primi sostenitori di questa testata Ferraraitalia (2013) nonché maestro di un’intera generazione (o più) di giornalisti che si sono trovati al suo fianco tra Bologna, Ferrara, Milano, Roma, Napoli.

Premio Stampa 2017: Elisabetta Sgarbi, Alberto Lazzarini, Serena Bersani, Vittorio Sgarbi, Giancarlo Mazzuca, Gian Pietro Testa e l’assessore Simone Merli

Come ha detto Riccardo Forni, presidente dell’Associazione stampa di Ferrara, «Gian Pietro Testa è stato un maestro per tanti di noi. Mi ricordo le collaborazioni con la rivista “Ferrara”, da lui fortemente voluta. Ha sempre avuto questa capacità di scegliere e di trasmettere educazione e formazione».

Eppure Gian Pietro Testa ha ribadito senza falsi pudori: «Lo stupore di essere stato scelto per il premio non è perché avessi paura di non aver fatto il mio mestiere, quanto per la consapevolezza di essere sempre stato un giornalista contro, ma contro veramente. E lo sono ancora adesso. Uno dice “è andato in pensione”. No, io continuo ogni tanto a scrivere un pezzetto. E sempre più antipatico [risate in sala]. Perché poi vengo spinto dai colleghi che mi spronano: “no, le devi dire delle cose”. Per cui quando mi ha telefonato Riccardo Forni “ti diamo il premio”, io non lo avrei mai creduto che dei colleghi scegliessero me, soprattutto in una città come Ferrara, che appena uno salta fuori con la testa, gliela tagliano. È l’Isis. L’Isis…? Sono nati a Ferrara, secondo me [risate in sala]. Appena uno salta fuori dal gregge… zacchete. Io sono d’accordo con Charles Bukowski, che ha scritto una cosa geniale: “A forza di stare dentro il branco, prima o poi si pesta una merda”. Che è vero! Allora, penso: “Come è successa questa cosa qui, che mi danno il Premio stampa?”. È successo perché sono degli amici, questo è il fatto, sono molto contento di averli, questi amici, con i quali ho potuto tra l’altro giocare a pallone. Che è la cosa più importante della mia vita. Altro che giornalismo. Io, quando riuscivo a fare un dribbling e a prendere in giro l’avversario, era la cosa più bella. Ricordo che ho iniziato a giocare a pallone che ero bambino. E quando ero già al liceo, a Bologna, ho preso con me a giocare Bulgarelli. Giacomino era un grande giocatore, quando aveva 13-14 anni. Era in banco con mio cugino, al San Luigi, e abbiamo giocato come dei matti, ci siamo divertiti moltissimo. Io ho continuato a divertirmi tutta la vita. Finché, disgraziatamente, un politico mi ha fregato. Un politico della mia parte, tra l’altro. Chi era? Renzo Imbeni. Una partita tra giornalisti e politici, giocata a Reggio Emilia. Io giocavo centravanti e lui giocava invece in difesa, allora si diceva ancora centro-mediano, adesso non si sa, perché tanto giocano lì in mezzo. Successe che mi è venuto addosso con una ginocchiata, che mi ha distrutto il ginocchio destro. Il giorno dopo partivo per l’Eritrea, perché sono stato in guerra. Là non è stato molto piacevole, mi chiamavano “lo zoppo”. Sono rimasto zoppo, anche se ho fatto la protesi».

Gian Pietro Testa con la moglie Elettra Testi al Premio Stampa 2017 (foto Giorgia Mazzotti)

A questo punto è entrata in sala Elettra Testi, che ha preso posto nella prima fila della platea. E Gian Pietro, tra le risate generali, ha commentato: «Scusate, adesso bisogna che ricominci, perché è arrivata mia moglie. Sto andando un po’ disordinatamente. Quindi Forni mi ha detto: “sappiamo che tu non sei proprio d’accordo con i premi”. Ed è vero. Siccome il Pulitzer non me lo danno, posso benissimo parlarne contro. “Però – mi ha detto Forni – se vieni, devi dire senza paura quello che pensi”. Io sto cercando di dire quello che penso, ma faccio fatica a trattenermi. Il giornalismo, ad esempio. Io amo questo mestiere. Mi viene in mente quando Mazzuca è arrivato al “Giorno”. Il giornale era ancora il più bello d’Italia, con i suoi difetti, per carità, un po’ supponente. Ma la supponenza l’abbiamo lasciata tutta alla “Repubblica”. C’ha fregato tutto, dal “Giorno”. Ma soprattutto, il fatto di sapere tutto. Noi eravamo dei geni? Non è vero, eravamo dei poveri cretini. Come sono molti giornalisti. E il giornalismo, oggi purtroppo, è troppo in mano ai cretini. Almeno una volta c’erano i Montanelli, c’erano dei personaggi che rimettevano tutto insieme. È come quando fai la pasta. A me piace fare le tagliatelle. Lì raccogli tutto. E così c’erano questi personaggi, che mettevano tutto insieme e rifacevano la pasta, raffazzonavano. Adesso non c’è più nessuno, o pochi, perché sono in minoranza. Perché? Perché il giornalismo è caduto così in basso? Ci sono i titoli con degli errori spaventosi. Nessuno conosce più l’italiano. Ma dico: avete fatto le elementari? Non dico l’università, le elementari! Ci sono errori di ortografia e di composizione della frase che non sono accettabili. Ma perché è così importante? Perché saper scrivere vuol dire saper pensare. L’organizzazione della scrittura è l’organizzazione della propria mente. Ecco perché ho pensato che fosse il caso di creare la Scuola di giornalismo. In quel momento ero segretario dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna. C’era un amico, figlio di un amico carissimo, Agostini (morto il padre, morto il figlio), che lavorava per la Regione. E gli proposi di lavorarci sopra insieme. Trovammo i soldi e riuscimmo a fare questa benedetta scuola. Io uscirò presto da questa vita, sempre sconfitto. Ma ne sono contento. Questa fu una delle poche vittorie».

Gian Pietro Testa premiato da Serena Bersani e Alessandro Zangara al Premio Stampa 2017 (foto Giorgia Mazzotti)

A Gian Pietro Testa è stato consegnato il Premio Stampa 2017 alla carriera dal capo Ufficio Stampa del Comune di Ferrara Alessandro Zangara e dalla collega Lucia Mattioli insieme con la presidente dell’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna Serena Bersani.

Il Premio Stampa 2017 è stato attribuito alla famiglia Sgarbi – con Giuseppe, padre, i figli Elisabetta, scrittrice e regista, e Vittorio, critico d’arte, nella memoria di mamma Rina Cavallini. L’assemblea dell’Associazione stampa di Ferrara ha poi ritenuto di manifestare un segno d’attenzione ad Antonio Pastore, professore emerito di otorinolaringoiatria dell’Università di Ferrara e a Romano Perdonati, maestro panificatore ferrarese, con due Menzioni speciali per il loro continuo impegno nell’università e nelle attività della società civile.

Ulteriori informazioni e la registrazione integrale con video e audio della cerimonia di sabato 29 aprile 2017 sono consultabili su CronacaComune, quotidiano online del Comune di Ferrara.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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