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16 Giugno 2018

Quale accoglienza

Tempo di lettura: 6 minuti


Sulla vicenda della nave Aquarius si sono sprecate le citazioni evangeliche. La più gettonata da cardinali (vada per loro, è il loro mestiere) fino agli amministratori locali è Matteo 25: “Ero straniero e mi avete accolto”. Nessuno però che dica come vengono accolte queste persone. Nessuno che si vergogni per come vengono ospitate. Gesù da straniero fu accolto ovunque come un ospite di riguardo da chi lo amava veramente e in questo sta il senso della massima evangelica. Noi, invece, il massimo che abbiamo fatto è come se avessimo accolto un ospite in casa nostra, ma lo avessimo messo a dormire in cantina o nel sottoscala e gli avessimo portato un piatto di pasta anziché invitarlo a sedersi alla nostra tavola.

E’ esattamente ciò che abbiamo fatto con la nostra presunta accoglienza. E questa ipocrisia, di cui ho già scritto su Ferraraitalia (leggi qui), non è più accettabile. Non si può più sentire. Perché nelle condizioni in cui si trova l’Italia c’è un evidente problema di sostenibilità sociale che non si è voluto vedere tra questi flussi migratori e le nostre tante sacche di marginalità, sofferenza, povertà vecchie e nuove. In un paese capace di creare da solo mostri abitativi (senza bisogno che vi siano emergenze), quartieri ghetto per i suoi stessi cittadini dove non arrivano servizi pubblici, non ci sono biblioteche, librerie, centri di ritrovo culturale, case popolari per chi non ha un tetto, presidi sanitari e scuole decenti. In un paese in cui il Sud arranca. È in questo contesto che ci è piovuta addosso l’ondata migratoria per la nostra collocazione geografica. Ne vogliamo tenere conto o no? L’Italia non è Ferrara (mi scusi il direttore che certamente comprenderà il senso). Fate un giro a Scampia, nella periferia romana, in alcuni quartieri di Torino e Milano, uscite dalle quattro mura cinquecentesche che rendono questa città quasi sospesa sulla realtà, dove pure ci sono grossi problemi di integrazione, a volerli vedere. Lo stesso discorso vale per la Grecia, che è messa peggio dell’Italia, su cui l’ondata migratoria è stata dirompente e devastante nell’indifferenza dell’Europa.

Sul come accogliamo è notizia di giovedì scorso l’arresto di due proprietari terrieri a Marsala che tenevano persone immigrate in condizioni di schiavitù in un capannone senza servizi igienici, con una paga di tre euro l’ora per 12 ore di lavoro nei campi e come vitto ‘compreso’ nella paga pane secco e acqua. Dai braccianti si facevano chiamare “padrone” e loro li chiamavano con il nome del giorno della settimana, la più becera negazione dell’identità personale. Questa è l’accoglienza dell’Italia nel 2018. E allora basta raccontarsela!
Salvini ha sbagliato a chiudere i porti? Forse. E volutamente non prendo posizione e rivendico il diritto a non schierarmi, a non essere intruppato nella logica “o con me o contro di me” tipica di certa sinistra di maniera con “scappellamento a sinistra” verso posizioni staliniste. Preferisco non schierarmi con la demagogia dell’“Ero straniero e mi avete accolto”. Sempre. E qui sì, mi schiero. Contro la demagogia. Di sicuro – e questa è la mia posizione netta – il salvataggio in mare è un obbligo morale, prima ancora che giuridico, al quale non ci si deve, e non ci si può sottrarre per nessuna ragione. Le persone vanno salvate, messe in sicurezza e poi le collocazioni andranno cercate con la collaborazione degli altri paesi europei. Punto. E allora in considerazione della sostenibilità sociale di cui parlavo più sopra varrebbe la pena che il dibattito sulle quote di immigrati da assegnare ai diversi paesi diventasse di dominio pubblico, che i cittadini comuni possano esprimere la loro opinione, fare proposte ed essere ascoltate da chi amministra la cosa pubblica.

Ma vediamo un po’ di dati. Le ultime linee guida dell’Ue sulla ricollocazione dei migranti presenti sul territorio dell’Unione o che sarebbero rientrati direttamente, risalgono al 2015. I parametri di riferimento per stabilire le quote sono il Pil, la popolazione, il livello di disoccupazione e i rifugiati già presenti sul territorio nazionale. Sulla base di questi parametri alla Germania sarebbero andati il 18,4% dei rifugiati, il 14,2 alla Francia e l’11,8 all’Italia. Seguono la Spagna con il 9,1, la Polonia col 5,6, ecc.
Secondo dati del ministero dell’interno aggiornati, invece, al 12 giugno scorso gli sbarchi dal primo gennaio di quest’anno sono stati in totale di 14.441 persone, in prevalenza tunisini (circa tremila). Di questi 12.742 dovrebbero essere (il condizionale è d’obbligo) ricollocati tra i vari paesi Ue in base agli accordi in vigore. La quota maggiore (5.435) dovrebbe andare alla Germania, alla Francia solo 640. Quindi la differenza tra gli sbarchi e le ricollocazioni assegna di fatto all’Italia una quota di 1.699 persone, quasi tre volte quelli della Francia. Non è chiaro dal sito del ministero se le ricollocazioni previste dagli accordi intra Ue siano già state effettuate o se devono ancora esserlo. Dalle parole di Salvini in aula, riferendo sulla vicenda Aquarius in risposta alla Francia, sembra di capire che le ricollocazioni sono già avvenute.
I dati Istat, invece, fotografano in dettaglio la presenza degli stranieri regolari residenti in Italia che al 1° gennaio 2017 erano 5.047.028. Restringendo il focus sulla nostra regione, l’Emilia Romagna, le presenze erano 529.337. Divise per provincia, nella nostra le presenze sono 29.931, il dato regionale più basso. Nella provincia di Bologna sono 117.861, Piacenza 40.113, in quella di Parma 61.286, Reggio Emilia 65.292, Modena 90.212, Ravenna 47.137, Forlì-Cesena 41.368, infine Rimini 36.137. Ovviamente dalle rilevazioni sfuggono tutti coloro che non sono registrati e non hanno permesso di soggiorno che si stimano essere circa 500mila a livello nazionale. La Lombardia è la regione col più alto numero di residenti stranieri: 1.139.463.
Secondo i dati pubblicati sul sito dell’amministrazione comunale di Ferrara, gli stranieri residenti nel solo comune, al 31 dicembre scorso, sono 13.616, al netto dei clandestini.
Stando ai numeri della nostra provincia e del comune l’emergenza non ci dovrebbe essere. Tanto più che gli stranieri da noi sono meno che nelle province di Piacenza e Rimini, come si può vedere dai dati sopra, nonostante abbiano una popolazione complessiva inferiore alla nostra: rispettivamente 286.758 e 336786, mentre la provincia di Ferrara ne ha 348.362. Eppure, gli episodi di cronaca che vedono coinvolte persone extracomunitarie sono quotidiani. L’insofferenza è a livelli allarmanti. Allora delle due l’una: o la stampa esagera e c’è qualcuno che rimesta nel torbido perché i giornali bisogna venderli; oppure qualcosa nella cosiddetta accoglienza in questa città non ha funzionato. Come sempre, probabilmente la verità sta nel mezzo. Politicamente, con questi numeri, chi amministra la città e il partito di maggioranza si è cullato che il fenomeno immigratorio poteva essere facilmente controllato e gestito. Il territorio non è stato presidiato con vere politiche di integrazione, né dalle istituzioni né dai partiti di governo (una volta esistevano le sezioni di partito, ora sono diventati quasi tutti ‘liquidi’). Ci si è fidati troppo del fatto che la città contenesse in sé gli anticorpi necessari per governare spontaneamente il fenomeno senza bisogno di particolari interventi dell’amministrazione nel favorire, guidare e governare l’incontro tra le diverse comunità. Si è pensato, un po’ troppo semplicisticamente, che la comunità autoctona e quella in arrivo da fuori si sarebbero naturalmente incontrate, riconosciute e accettate reciprocamente. Così non è stato. È stato lasciato uno spazio vuoto che è stato occupato dalla Lega e dai suoi pittoreschi personaggi che rischiano di conquistare il palazzo municipale alle prossime amministrative. E allora di chi sarà la responsabilità se i numeri sono questi? Di un’immigrazione fuori controllo o di una scarsa capacità di governo? Qualcuno dice che in democrazia chi vince le elezioni ha ragione ed evidentemente questa regola varrà anche alle prossime amministrative, chiunque vinca.

Se si guarda, invece, al quadro nazionale è evidente che più di qualcuno sul fenomeno migratorio ci marcia, e su questo non ci piove. Come ho già scritto su queste pagine di sicuro ci marcia questo sistema di produzione capitalistico che ha bisogno di braccia a basso costo e a bassi diritti. Sulle cooperative non voglio fare dietrologia, mi limito a citare atti di indagine in cui qualcuno, poi arrestato nell’ambito di mafia capitale, ha detto che con gli immigrati si fanno più soldi che con il traffico di droga (quindi un’interpretazione, come dire, autentica del fenomeno). Sarà vero? Sarà che le mafie hanno differenziato i propri investimenti, proprio come le imprese e la finanza? Può essere che qualcuno abbia in mente di
destabilizzare la nostra democrazia utilizzando i flussi migratori? Sarà che il traffico di esseri umani, manipolando le nostre emozioni, è diventato il nuovo business delle mafie e che la saldatura tra mafie e politica ha impedito finora di affrontare il tema in modo razionale?

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Giuseppe Fornaro


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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