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Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d’espressione e, per così dire, un’anima. (Vincent van Gogh)

Qualche giorno fa su Repubblica, cronaca di Bari, è apparso un articolo curioso, anche se forse non insolito. Forse è capitato anche a voi a volte di aver avuto la stessa magica impressione: quella di un albero che parla, che cerca di trasmettere un messaggio, che comunica, che emana sentimenti, che provoca sensazioni, che pensa. Ecco allora l’antico, immenso e tenero ulivo pensieroso fare il giro del web (vedi).
Spesso la natura ci riserva grandi sorprese, soprattutto quando la nostra fantasia si lascia andare libera e leggera. A volte basta immaginare, a volte lei stessa ci suggerisce come e quando farlo. Un albero sta lì, spesso da secoli, talora da pochi anni, con la propria storia da raccontare, la propria vita da comunicare. Questo ulivo pugliese pare pensoso, quasi un tenero anziano barbuto perso nei suoi ricordi, accoccolato sulla riva di un fiume ad aspettare il vento. Grazie a lui ora ricordo che, qualche tempo fa, ho incrociato un albero altrettanto interessante.

Albero chino, Mosca, Simonetta Sandri
Albero chino, Mosca, Simonetta Sandri

Passeggiavo per le vie di una Mosca quasi primaverile, quando a un tratto, di fronte a un imponente e maestoso edificio governativo sormontato da enormi falci e martello, retaggio di un passato non poi tanto lontano, scorgo un vecchio tronco fare capolino da un cancello che stringe la sua vita dalla circonferenza alquanto imponente, occhieggiare al viandante curioso, quasi in un favoloso inchino. Tagliato, piegato, chino, come un vecchio signore stanco, ma con la forza ancora di sorridere a chi si fermi a portare una parola di conforto o anche solo a mostrare un cenno di curiosità. La mia mano si allunga spontanea in una carezza, toccare quel fusto dal legno scavato e profumato mi da un’energia che cercavo, sola, per le strade deserte. Sembra strano ma accarezzare un albero trasmette una scossa che sale dai piedi fino al cuore, quasi un fulmine che illumina a giorno un cielo grigio e nuvoloso. Se poi lo si abbraccia, a dispetto dello sguardo incuriosito e stupito dei passanti, la terra trasmette tutta la sua forza, quella della vita che continua, anche se ferita, mozzata, maltrattata, decapitata. Proprio come quell’albero senza testa, che, come una lucertola senza coda, continua a illuminare quella lunga strada, quella via che ognuno cerca di percorrere come meglio può, quelle pietre un po’ sconnesse calpestate da tante scarpe dalle mille storie.

Albero chino, Mosca, Simonetta Sandri
Accanto all’albero, Mosca, Simonetta Sandri

Rami non ce ne sono più, ormai, lui è rimasto lì solo, ma tenace, ancora con la voglia di dare linfa decisa e vitale a chi ne abbia bisogno. Perché con il suo sorriso di essere vivente piegato dalla vita, ma non spezzato, farà crescere altri rami giovani e rigogliosi. Quelli che ognuno di noi vorrà far nascere dalla radici che metteremo in un paese o in un cuore. Con forza e convinzione.

Allora caro albero monco ma gentile, grazie per la tua linfa, per il tuo respiro lento ma perseverante e continuo. Ti abbraccio ancora e, con una riverenza da ballerina di grande teatro, elegantemente ti saluto. Ora devo proseguire nel mio cammino.

Fotografia in evidenza Michele Grecucci, fotografie di Mosca, Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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