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Fra spiagge bianchissime e onde blu oceano… saluti da Sydney!
Si conclude qui l’avventura della nostra giornalista Silvia Malacarne sul suolo australiano

È proprio vero che quando ci si diverte il tempo vola!!
Gli ultimi tre giorni a Sydney sono stati pazzeschi. Dopo aver depositato le valigie in albergo, un pullman ci ha portato in George Street: qui la band si è esibita davanti ai passanti che, attirati da buskers così diversi tra loro, si fermavano incuriositi e affascinati. La location era perfetta: alle nostre spalle avevamo la splendida Opera House. Dopo la performance sono riuscita a fare un salto veloce al Museum of Contemporary Art e poi a vagare senza meta per le strade di Sydney. Sono rimasta colpita da alcuni grattacieli particolarissimi che non avevo mai visto in nessun altra metropoli, ma ciò che più mi ha affascinato è stata l’incredibile diversità di gente, di culture, di abbigliamento, di classi sociali che si trovano a stretto contatto in poche centinaia di metri quadrati.

Appena tornati in albergo siamo stati immediatamente catapultati in un piccolo, ma grazioso ristorante dove abbiamo gustato un’ottima cena a base di pesce, accompagnata da ottimo vino. La serata si è conclusa in albergo: ci siamo ritrovati tutti in una stanza e ciascuno ha fatto ascoltare agli altri la musica del proprio paese. Il giorno successivo la band ha trascorso l’intera giornata in un immenso studio di registrazione per esercitarsi per l’esibizione finale, ma soprattutto per registrare lo splendido brano a cui, insieme, hanno dato vita. Noi Roadies invece siamo stati condotti in un posto sperduto, di cui non ci è stato volutamente rivelato il nome. Dopo ore di macchina ci siamo ritrovati di fronte a due piloti che ci hanno allungato un casco ciascuno e ci hanno fatto salire su macchine da corsa. Nonostante le cinture di sicurezza, il mio corpo si è letteralmente sollevato dal sedile, specialmente nelle curve dove i piloti derapavano in maniera incredibile. Abbiamo raggiunto i 190 chilometri orari… eravamo euforici, siamo rimasti tutti senza fiato.

Il ricordo più bello, più prezioso, che conserverò di questa folle esperienza, è però quello dell’ultimo giorno trascorso a Sydney. La mattina siamo stati lasciati liberi di fare ciò che volevamo, così io e il mio caro amico Thomas Cheval abbiamo optato per la famosissima Bondi Beach. Purtroppo il tempo non ci ha permesso di fare il bagno con i centinaia di surfisti che a quanto pare non temono il freddo; questo però non ci ha impedito di godere di un panorama mozzafiato: sabbia bianchissima e mare cristallino, di un blu intenso. Mi ha fatto sorridere vedere la gente che per strada camminava con la muta bagnata, la tavola da surf sotto il braccio, i più a piedi nudi anche nei bar e nei negozi, i ragazzi a torso nudo e le ragazze in bikini. Abbiamo fatto shopping, scattato fotografie folli, pranzato in riva al mare. Nonostante la temperatura fresca, era come se l’estate per noi non fosse ancora finita. Dopo una rapida doccia in albergo ci siamo presentati all’ingresso tutti vestiti eleganti, come mai avevamo fatto dal giorno del nostro arrivo in Australia e poi… siamo saliti sullo yatch più grande e lussuoso su cui avessi mai messo piede!
È stato tutto perfetto. Il sole faceva brillare il mare, la band si è esibita facendo ballare tutti gli ospiti, i camerieri ci hanno servito champagne e ostriche, i sorrisi splendevano sui volti di tutti. Eravamo felici e malinconici, il giorno dopo saremmo partiti e chissà quando avremo l’occasione di rivederci; in quel momento però non abbiamo fatto altro che goderci il momento e il magico scenario che ci avvolgeva: l’Opera House, una ruota panoramica, la musica e all’orizzonte un tramonto infinito. Abbiamo ballato, abbiamo applaudito i buskers che hanno vissuto un vero e proprio sogno, abbiamo brindato, abbiamo riso e sorriso, ci siano abbracciati e, mai come prima, ci siamo sentiti fortunati ed estremamente grati: grati per ogni istante, per ogni esperienza, per ogni momento condiviso che ci ha toccato nel profondo lasciando, nella vita di ciascuno di noi, ricordi indelebili.

Le puntate precedenti
Prologo
Prima Parte
Seconda Parte
Terza Parte
Quarta Parte

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Silvia Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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