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La parola d’ordine, oggi, è sicurezza. Il diritto al lavoro, alla pensione, all’assistenza, all’alloggio – tutte conquiste che nel secolo scorso, grazie alle politiche di sostegno attuate dallo stato sociale, apparivano acquisite e indiscutibili – ora vacillano. Ovunque – e anche in Italia – le certezze che hanno accompagnato le nostre esistenze sono svanite. E la vita attuale, per milioni e milioni di donne e di uomini, è densa di insidie e di preoccupazioni.
Anche per questo i fenomeni migratori vengono percepiti come una minaccia. Frutto essi stessi di profondi squilibri geopolitici – eredità delle vicende coloniali – e ora generati da situazioni di miseria estrema e da pericoli incombenti (spesso aggravati da conflitti armati o persecuzioni attuate da regimi dittatoriali nei confronti della popolazione), divengono motivo di tensione e di paura per i cittadini di quegli Stati, meta dei disperati esodi, che individuano negli “invasori” un ulteriore elemento di sottrazione alle già risicate risorse di cui dispongono. E’ la guerra dei poveri che torna ad affacciarsi. Ma il paradosso è che deprivazioni e indigenza colpiscono ampie fasce della popolazione, mentre ristretti gruppi di individui possiedono ricchezze superiori a quelle di intere nazioni. Basti pensare che oggi dieci persone possiedono da sole il cinquanta per cento delle ricchezze dell’intero pianeta.

Lo scenario, dunque, è drammaticamente dissestato. Gli squilibri sono vertiginosi. Il tessuto sociale è sfilacciato, al sentimento di solidarietà si è sostituito quello, prevalente, di paura. L’altruismo cede il passo a un egoismo difensivo. L’idea di un costante progresso nel cammino sociale si scontra con ostacoli imprevisti. La prospettiva per le generazioni future è di vivere in un mondo peggiore rispetto a quello che noi abbiamo ereditato, in condizioni di maggiore incertezza e di instabilità e privi di quelle tutele che hanno garantito a tutti (o quasi), per decenni, dignitose condizioni di vita.
In questa temperie prospera la criminalità, che in parte costituisce l’estrema derelitta risposta al disagio.

Il punto di ripartenza, per un umano consorzio che intende – e deve – recuperare i caratteri di civile e solidale convivenza, può essere la città, il luogo in cui i rapporti personali in parte si alimentano ancora della fiducia che scaturisce dalla conoscenza e il legame sociale, per questo, non si è del tutto dissolto.
Occorre però un salto di qualità per recuperare, da un filantropico mutualismo di prossimità, una dimensione di relazione e di azione collettiva, fondata su un più esteso patto di cittadinanza.

Un tempo si era arrivati a dire: tutto è politica… Oggi si è alla esasperazione opposta: il rifiuto della politica come cosa sporca, cosa inutile. E al respingimento tout court dei suoi attori (tutti uguali, tutti corrotti…). Ma la politica non è altro che l’autogoverno della comunità, e in questa prospettiva nessuno può sentirsi escluso e ciascuno ha il dovere di rendersi disponibile e partecipe a un progetto di rinascita civile, solido e concreto. Per conferire respiro a tale scenario – che parte dall’oggi e guarda al domani – serve però pure una visione utopica, la definizione di un futuro desiderabile che dia senso al cammino e ai sacrifici necessari per compierlo. Utopia non è l’astratta terra promessa. E’ la stella polare che orienta i nostri passi e delinea l’orizzonte verso il quale indirizzarci. E attraverso il progetto si definiscono concretamente le tappe di approssimazione alla meta.

Bisogna ripartire da quella che i tedeschi definiscono weltanschauung, una visione del mondo che tenga insieme valori, credenze, ideali. E’ ciò che potremmo tradurre in ideologia se il termine non fosse stato corrotto dall’improprio uso propagandistico e dogmatico che ne hanno fatto nel secolo scorso regimi illiberali d’ogni fronte per piegarlo al proprio interesse di potere, bollare d’eresia ogni manifestazione di dissenso e confiscare così la libertà di pensiero e di opinione.

E bisogna necessariamente agire per superare la deresponsabilizzante dicotomia “noi-loro” quando si ragiona di politica, perché l’evidente presenza di una casta separata – quella degli eletti – deputata a governare le comunità, se ora trova riscontro nella realtà dei fatti, non ha fondamento dottrinario poiché la dimensione politica va riconsiderata nella sua classica e appropriata concezione: governo della polis, cui ogni cittadino è idealmente preposto. Serve, allora, un impegno attivo, personale, propositivo da parte di tutti coloro che a questa situazione non intendono più sottostare.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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