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Lasciar andare. Non è solo una dichiarazione di intenti, è un’autentica svolta nella vita di ciascuno di noi. Un momento in cui ci troviamo a dover fare i conti con una realtà che ci chiama immancabilmente a rapporto, in tutta la sua crudezza e autenticità.
Lasciare che un figlio decida di allontanarsi, a volte dolorosamente, per raggiungere angoli di mondo lontani, lasciar andare un genitore che ha consumato la propria vita e ha raggiunto il capolinea consentito, lasciar andare un amore sbagliato, mal riposto, logoro o menzognero, perché a tutto c’è un limite e non possiamo che prenderne atto; lasciare che le persone inadatte, dannose, incompatibili con le nostre esistenze, si allontanino o vengano invitate a farlo, prima che le nostre stesse vite e identità ne raccolgano le rovine, le miserie, i risvolti cupi.
Non è cosa da poco quel lasciar andare. Presuppone un coraggio, a volte, che mai avremmo pensato di poter scovare e dover esercitare per risolvere situazioni di ristagno e inconcludenza. Lo spettro delle cose o situazioni che nel corso della vita dobbiamo lasciar andare è vastissimo. Dalle fotografie testimoni del nostro passato, agli oggetti che accumuliamo per riempire vuoti, alla casa che dobbiamo cambiare, un lavoro, un rapporto, una persona cara. La consapevolezza è l’unica cosa importante per non rischiare di rimanere immobilizzati all’interno di ciò che ci è dolorosamente capitato.

Esiste un termine, mindfulness, che significa vivere il presente e imparare a “lasciar andare”. E’ proprio quella consapevolezza che emerge se prestiamo attenzione in modo intenzionale e non giudicante, allo svolgersi dell’esperienza, momento per momento, in un presente reale e non un passato doloroso o un pensiero ansioso rivolto al futuro.
La letteratura ci regala pagine in cui leggiamo spesso ciò che non vorremmo mai ammettere razionalmente nelle nostre situazioni e nelle nostre esistenze: uno specchio in cui ci osserviamo, ci comprendiamo meglio, ci immedesimiamo mentre leggiamo, ed ammettiamo destini comuni ai protagonisti che ci fanno da alter ego, dandoci la possibilità di un confronto mediato. ‘Lasciar andare’, il primo dei fortunati romanzi di Philip Roth del 1962, è ambientato in parte a New York negli anniCinquanta, in parte a Iowa City e Chicago. La storia è un unico grande intreccio di passioni, azioni e inazioni che travolge Gabe Wallach, un giovane benestante di famiglia ebrea. Orfano di madre, lascia il padre che tende a riversagli addosso un affetto esagerato, soffocante. Nello Iowa, dove si reca, incrocia la sua vita con quella del collega Paul e di sua moglie Lobby Hera: un triangolo di avversione e attrazione senza vie d’uscita, dove la giovane donna, fragile e nevrotica, si aggrappa alla convinzione di aver creato un’assoluta comunione spirituale con Gabe.
E’ un romanzo non facile, caustico, a volte grottesco sulla necessità di andare e lasciar andare per allontanarsi da squallore, inferni domestici, terremoti emotivi, disperazione esistenziale, solitudine, che parla di gente pronta a demolire gli altri per motivi economici in ambienti di degrado e povertà, una ragazza di 19 anni che vende il proprio figlio per ‘lasciare’ una situazione troppo pesante per poi ritrovarsi prigioniera in una relazione con un operaio disoccupato con prole, a fargli da serva, e numerosi altri personaggi che entrano ed escono dal libro lasciandoci impressionati a riflettere. Amore, sesso, famiglie disfunzionali, sofferenza di affetti, religione ed ebraismo in particolare, appartenenza sociale sono le tematiche toccate da Roth con grande abilità di movimento.

‘Lasciami andare, madre’ è il romanzo del 2004 di Helga Schneider in cui l’autrice affronta drammaticamente l’immagine inquietante della madre e un passato che pesa come un macigno. Siamo nel 1998 a Vienna, il luogo in cui l’autrice ha deciso di incontrare la madre ormai anziana e in degrado cognitivo che non vedeva da 27 anni. Una figura genitoriale snaturata da scelte estreme, una donna che nel 1941 aveva abbandonato il marito e due figli piccoli per seguire quella che avvertiva come vocazione: arruolarsi nelle SS di Heinrich Himmler per lavorare come guardiana, dapprima nei campi di concentramento di Sachsenhausen e Ravensbrück, poi nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Un incontro definitivo, quello tra madre e figlia, che fa riemergere profonde ferite mai cicatrizzate, scomode verità e atroci conclusioni ma mette anche in evidenza la consapevolezza di un legame mai interrotto del tutto, sempre in bilico nel dubbio e nell’incertezza. Nel 1971 c’era già stato un tentativo di dialogo tra le due donne, bruscamente interrotto, nel corso del quale la madre aveva esibito con orgoglio la sua uniforme SS ed offerto alla figlia una manciata di gioielli sottratti ai prigionieri dei Lager. ‘Lasciami andare, madre’ è un grido di ribellione, una supplica, un’esortazione, perché il lasciar andare, in questo caso, diventa la sopravvivenza dell’anima. “Verso di lei provo un rancore tenace, ma temo di non avere ancora rinunciato a trovare in lei qualcosa che si salva. Di qui il dubbio: è stata davvero spietata come dice o si mostra irriducibile perché io la possa odiare, liberandomi dall’incubo?” Lasciar andare…

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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