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Nemmeno l’ineffabile Carlo Tavecchio, a pensarci bene, ha mai avuto niente contro mangiatori di banane, alias persone di colore, ebrei e omosessuali. Questo però non gli ha impedito, in tempi recenti, di vergare nei loro confronti un’intero catalogo pecoreccio, con un condensato di luoghi comuni di rara banalità poi prontamente smentito a suon di “ogni calunnia sarà perseguita nelle sedi opportune”, a buon intenditor poche parole. Capiscono sempre male i giornalisti e si sbagliano i microfoni che amplificano, che volete farci, e deve essere successa la stessa cosa anche quando Sarri ha dato del frocio a Mancini, scatenando una tempesta mediatica inversamente proporzionale al livello della discussione sul campo.

Sarri e Mancini
Sarri e Mancini

Premesso che “frocio”, insieme a “cornuto”, sono ancora saldamente in vetta alla top ten degli insulti preferiti dagli italiani, che quando guidano o quando guardano una partita di pallone sono la dimostrazione vivente che Pasolini è morto invano e che viceversa Ettore Scola, dolorosamente appena dipartito, ci lascia un’opera che non smetterà mai di essere attuale, sotto al profilo del neorealismo e dei suoi risvolti antropologici. Sarri ha schierato una difesa molto migliore di quella che mette in campo col suo Napoli: mi sono scusato subito, sul campo, e anche negli spogliatoi. Il classico insulto d’impeto, insomma, che gli costerebbe qualche turno di squalifica e l’etichetta di ruvidone aere perennius. Ma c’è un però. Anche perché lo stesso Mancini, sbollita la rabbia di uno che ha visto anche un po’ di mondo – “in Inghilterra uno come Sarri non potrebbe allenare, non lo farebbero nemmeno avvicinare al campo di allenamento” – ha lanciato una specie di mano tesa al collega che bravo sì, certo, ma così pane e salame, forse, non lo immaginava nessuno.

Il però è che Sarri ha applicato alla lettera il teorema Tavecchio: “Non volevo offendere gli omosessuali, ho tanti amici gay”. Proprio come il presidente che ha fatto della gaffe un marchio di fabbrica e quasi un’arte, anche Sarri, tesserato Figc, invoca la madre di tutte le attenuanti. La giustificazione, perché siamo molti lontani da un mea culpa, è costruita con ruvida arguzia. “Non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada” così Tavecchio che parlava dell’”ebreaccio” Anticoli. E poi: “Tenete lontano da me gli omosessuali”. Dopo l’impavida temerata, il brianzolo di ferro ha corretto il tiro secondo lo schema collaudato: “Ho ottimi rapporti con la Comunità ebraica, non solo di natura sportiva, e ho sostenuto la posizione di Israele nell’ultimo Congresso della Fifa”. Sugli omosessuali non si è pronunciato con la stessa efficacia, ma non stupirebbe se dichiarasse di avere un abbonamento in prima fila al Gay Pride di Roma.

Quindi, se il capo della ditta spara le bordate e poi sistema tutto con un oxfordiano spirito di fratellanza, non si vede perché non lo stesso metodo non possa essere utilizzato da un dipendente della stessa ditta, che peraltro produce calcio quindi è in ogni salotto e in ogni bar di questo paese, con immaginabili esiti pedagogici. O viceversa, se vogliamo Tavecchio è la sintesi perfetta del suo mondo: un mondo in cui proliferano replicanti del sor Carlo, alla voce educazione, senso civico e tolleranza.

Ma c’è di peggio. E il punto, come si dice, non è nemmeno questo. Perché l’attenuante che la Disciplinare potrebbe valutare, nel giudicare la virulenta esternazione di Sarri, è la seguente: Roberto Mancini risulta in tutto e per tutto un eterosessuale. Ergo, “frocio” per lui non può essere un insulto. Appartiene ad un altro genere, quindi non può essere offeso. Più o meno, seguendo questa logica ferrea e moderna come le locomotive a vapore, come un cattolico a cui venga dato dal musulmano. Oppure, perché no, se un venditore di frutta e verdura sia apostrofato con “coltivatore diretto”. Ma il problema è che, guarda caso, per insultare qualcuno gli si dice omosessuale, o musulmano, e non certo coltivatore diretto. Quindi questa, casomai, è un’aggravante, perché Mancini è eterosessuale e scomodare gli omosessuali, per insultarlo, non può non tradire tutto l’apparato culturale che c’è dietro a certi atteggiamenti. Tutto questo assomiglia molto al celeberrimo “non sono io che sono razzista, solo loro che sono negri”. Sta di fatto, appunto, che per insultare qualcuno gli dicono “frocio”, perché il fine non giustifica i mezzi e tantomeno li nobilita… Oltre al fatto, evidentemente, che solo dalle nostre parti si riesce a mettere pezze molto, ma molto peggiori del buco che c’è sotto.

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Salvatore Maria Righi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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